lunedì 23 ottobre 2017

Per un fisco georgista in Italia


Ieri in Lombardia e Veneto si è votato per referendum consultivi nei quali si chiedeva agli elettori se volessero maggiore autonomia regionale. L'argomento più forte per convincere gli elettori ad andare a votare e votare sì è stato quello fiscale. In poche parole, dato che Lombardia e Veneto sono regioni ricche, l'imposizione fiscale che grava sui cittadini potrebbe diminuire se le imposte pagate in tali regioni fossero esclusivamente usate per la spesa di tali regioni e non trasferite altrove. Al di là del fatto che ciò non sia stato chiaramente esplicitato dai quesiti referendari e che sia possibile realizzare autonomia fiscale di questo tipo attraverso una maggiore autonomia nel quadro legale e politico italiano, l'argomento è sicuramente centrale in politica. L'imposizione fiscale è eccessiva in tutta Italia e purtroppo non solo nel bel Paese.

Per «pressione fiscale» si intende il rapporto tra il complesso del gettito fiscale ed il PIL, essendo così la parte di reddito che il fisco ci toglie. Il motivo della forte pressione fiscale italiana (ma vale anche per molti altri posti al mondo) è dovuto anche al susseguirsi di leggi che vengono varate dal parlamento e che solitamente, appunto, introducono e/o incrementano la spesa pubblica e di conseguenza i tributi (o il debito, che poi diventa comunque nuovi e/o maggiori tributi).

Secondo l'ISTAT la pressione fiscale è stata nel 2016 del 42,9%. Nel 2011 era pari al 41,6%, nel 2012 e 2013 del 43,6%. Nel 2014 e 2015 del 43,3%. Sempre, quindi, superiore al 40%. Facendo un confronto con il resto dell'UE, possiamo vedere per il 2015 valori che vanno dal 24,4% al 47,9%. La cifra italiana, quindi, è al di sopra di quella media europea - 40% nell'UE e 41,4 nella zona euro. Di fatto metà delle retribuzioni ci vengono tolte dal Leviatano. Secondo l'ultimo rapporto sul fisco della Corte dei Conti il cuneo fiscale in Italia è del 10% superiore a quello della media europea ed è del 49%. Per «cuneo fiscale» si intende la somma tra trattenute, oneri ed imposte, a carico dell'azienda e del lavoratore, relative al costo del lavoro. In questo caso, essendo un valore percentuale, si intende tale somma rapportata percentualmente al costo del lavoro, colcolando così l'incidenza del prelievo contributivo e fiscale sul costo del lavoro.

Relativamente al peso complessivo esercitato dal fisco (altrimenti chiamato total tax rate), è stato per il 2016 del 60,9%, superiore di due decine di punti rispetto a quello della media delle imprese europee. Uno studio recente dell'OCSE mostra come in Italia l'aliquota IVA (22%) è superiore alla media dell'OCSE (19,1%). Solitamente quelli che più si lamentano del peso del fisco sono i lavoratori autonomi, imprenditori e professionisti, ma da uno studio recente diffuso dal Corriere della Sera possiamo vedere che il 60% delle imposte viene dai lavoratori subordinati (che sono poco più della metà dei contribuenti), il 34% viene dai pensionati e solo il 5% viene dai lavoratori autonomi!

La legislazione attuale, infatti, prevede tutta una serie di redditi come interessi, canoni di locazione, plusvalenze immobiliari, redditi agrari, di lavoratori autonomi minimi che sono soggetti a imposte sostitutive rispetto all'IRPEF. Alcuni di essi, addirittura, non sono soggetti ad alcuna imposizione. I redditi da lavoro subordinato e le pensioni pagano l'IRPEF, invece, per intera ed immediatamente ed addirittura senza neppure accorgersene.

Perché, comunque, tassare i redditi, distorcendo il mercato e facendo sempre più aumentare il potere del Leviatano? La Costituzione, all'articolo 53 così recita:

«Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.»

Ciò non significa necessariamente che debba essere tassato il reddito. Un'imposizione fiscale sul valore della terra combinata con un reddito di cittadinanza aumenterebbe l'effetto redistributivo senza avere effetti distorsivi sul mercato.

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