sabato 12 dicembre 2009

Comunicazione per gli ex colleghi di Inlinea srl

Se non vi limitate ad interrompere l'attività per qualche giorno non partendo i bonifici entro il 20, anche io, da fuori ormai, appoggerò qualsiasi forma di giusta rivendicazione. Non chiamiamola protesta! Chi ne ha le scatole piene (e mi riferisco non solo agli operatori, ovviamente) che aspetta a farsi licenziare come ho fatto io semplicemente pretendendo i contributi INPS in termini di legge? Nessuna altra spiegazione ufficiale o ufficiosa mi è stata data al mio licenziamento e quindi per adesso mi tengo questa!

domenica 15 novembre 2009

Preti contrari all'imposizione della croce nelle scuole

Dal blog di Don Franco Barbero
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Accanimento terapeutico sul Crocifisso
di don Paolo Farinella
 
«Cattolici, seguite l’esempio di don Milani, staccate voi il Crocifisso dalle scuole»

Ancora una volta devo cambiare argomento perché, inattesa, la Corte europea di Strasburgo ha sentenziato che il Crocifisso nelle aule scolastiche configura «una violazione della libertà dei genitori ad educare i figli secondo le loro convinzioni e della libertà di religione degli alunni». A sentenza ancora calda, «s’ode a destra uno squillo di tromba, / a sinistra risponde uno squillo» e agli squilli striduli rispondono le campane dell’Osservatore Romano e limitrofi. Che strano mondo! Tutti parlano del Crocifisso come segno unificante dell’identità culturale del nostro Paese, il governo addirittura ricorre contro la sentenza e ognuno usa il Crocifisso come una clava: e tutti vanno a Messa a pregare Dio, ma tu ti preghi il tuo ed io mi prego il mio. Povero Crocifisso! Tutti lo vogliono, nessuno la calcola, e ognuno lo usa per il proprio brodo e la propria indecenza. Se io fossi il Crocifisso – absit iniuria verbi – tra le due e le tre di notte (orario canonico legale), mi riprenderei la croce e me ne andrei su Plutone.
Veniamo da una estate in cui chi faceva i gargarismi con «i valori cristiani» ha fatto scempio di minorenni, di prostitute, di famiglie e di mercato di cariche in cambio di sesso. Si assassinano immigrati con una legge infame in nome della «civiltà cristiana». Non si è lesinato fango immorale sui propri nemici o presunti tali per conto della dignità della persona. Si è visto un presidente del consiglio screditato moralmente e civilmente, ma in cerca disperata di preti e vescovi complici per risalire almeno in facciata la china dell’immondizia. S’è potuto ascoltare anche l’assordante silenzio dei vescovi che pure avrebbero dovuto essere rappresentanti affidabili di quel Crocifisso schiodato, rinchiodato e riucciso sull’altare degli interessi dei «doveri istituzionali», svendendolo come merce di scambio e prestandosi a quel gioco delle parti che padre Ernesto Balducci così denunciava: «A tenere buona l’anarchia ci pensano i poliziotti, a tenere buone le inquietudini evangeliche ci pesano i burocrati di Dio».
Abbiamo, siamo, restiamo allibititi perché per noi credenti di strada, il Crocifisso non sarà mai un «simbolo di civiltà cristiana», tragica bestemmia teologica, ma «scandalo, stoltezza e debolezza di Dio» (1Cor 1,23), il cuore del mistero stesso della Trinità che nessuno può ridurre a cultura, a morale, a valori, pena lo svuotamento del senso cristiano che annuncia al mondo la gratuità assoluta di un Dio che si svuota di se stesso per un amore senza confini, a perdere, per tutta l’umanità e che san Paolo chiama «Agàpē» (Fil 2,1-11 e 1Cor 13,1-8). Permettere che il Crocifisso sia difeso da cavalieri atei perché espressione della cultura dominante significa solo trasformare il «mysterium crucis» in «mysterium iniquitatis», diventandone complici e ancora carnefici.
Sono convinto che il Crocifisso, appeso alle pareti dei luoghi pubblici da un re ateo e da un governo che definiva Gesù «sporco ebreo», non avrebbe mai dovuto starci e oggi dovrebbero essere gli stessi cattolici a staccarlo dalle pareti, spolverarlo e in ginocchio riportarlo nel cuore della fede che è una proposta e mai una imposizione. Nel 1953 nel 1° giorno di scuola popolare, don Lorenzo Milani, ucciso da quella stessa gerarchia che oggi lo annette al sistema, tolse il crocifisso dalla parete della sala parrocchiale «perché non doveva esserci neppure un simbolo che facesse pensare che quella fosse una scuola confessionale», spiegando: «se uno mi vede eliminare un crocifisso non mi darà dell’eretico, ma si porrà piuttosto la domanda affettuosa del come questo atto debba essere cattolicissimamente interpretato perché da un cattolico è posto» (Lett. 20-5-1953 a A. Parigi). Sì, i cattolici dovrebbero amare così il Crocifisso da essere loro stessi a levare i crocifissi dallo stato comatoso di ornamento impolverato.

venerdì 13 novembre 2009

Sulla libertà di espressione

Repubblica, solitamente, è carta straccia per me, ma vorrei fosse sempre garantita la sua libertà di espressione, così come, per me, un regista può far dire quello che vuole ad un attore in un film da lui diretto. Abolirei addirittura il reato di calunnia, in base al mio liberalismo. Ciò, ovviamente, dovrebbe valere per tutti. Sono tutt'altro che immune dalle simpatie politiche, ma sui principi non casco nella trappola del "noi" e "voi". L'allora ministro Diliberto, ad esempio, pur essendo di sinistra, politicamente mi fa schifo da un pezzo (umanamente lo rispetto comunque) perché non rispetta ed offende sia gli avversari che realtà statali straniere quali Israele.

giovedì 5 novembre 2009

No al crocifisso nei luoghi pubblici!

Sono cristiano, siciliano ed italianissimo e proprio perché tale non voglio il croficisso nei luoghi della Pubblica Amministrazione o comunque finanziati da essa. Il crocifisso, che porto sempre con me e da ieri pure sotto forma di un bellissimo semplice rosario, è estremamente importante per i credenti come me, tanto importante per me che ho timore pure ad usare la parola "sacro" per esso e proprio per questo non voglio imporlo a nessuno né tantomeno mescolarlo con le cosa di Cesare, seguendo il Vangelo. Solitamente sono atei o simili che intendono brandire il crocifisso come fosse una spada, in questo caso usata con l'intenzione di dividere gli italiani dagli stranieri.

domenica 25 ottobre 2009

Denunciamo Inlinea srl!

Ho consegnato venerdì scorso a Lorenzo Inserra, in qualità di responsabile della sede catanese di Inlinea srl, una lettera in cui intimo la suddetta società a versarmi i contributi previdenziali di legge. La spedirò alla sede legale della società in questione ed all'INPS entro martedì prossimo. Invito tutti i colleghi ed ex colleghi a copiare la lettera ed a spedirla appena possibile, oltre che a diffonderla tra i colleghi ed ex colleghi che lavorano o hanno lavorato per Inlinea srl.
Chi non avesse ricevuto la lettera e/o non la trova potrà scaricarla usando il seguente indirizzo:

http://utenti.lycos.it/maxmex/INPS.rtf


Ogni lavoratore di Inlinea che non ha i propri contributi versati potrà così avviare una procedura che condurrà l'INPS a farglieli comparire come contributi figurativi, come mi è stato spiegato da un avvocato. Cerco di compattare tutti coloro che sono stati danneggiati, di conseguenza non escludo nessuno. Invito a diffondere perciò questo messaggio tra i lavoratori ed ex lavoratori di Inlinea (non solo del teleselling, ovviamente) ed invito colleghi ed ex colleghi anche a verificare la propria situazione previdenziale all'INPS, facendosi dare uno stampato della stessa. Stampata anche quella che ora è solo la mia lettera, dopo averla modificata nei dati, essa potrà essere spedita agli indirizzi riportati nella stessa lettera. L'unico dato che chiedono all'INPS agli iscritti alla gestione separata è il codice fiscale.
Riguardo la conseguente denuncia penale mi sto informando sul da farsi e vi faccio sapere al più presto. Informatevi anche voi, se potete, ovviamente. Immagino, allo stato attuale delle mie conoscenze, che la denuncia potrà essere collettiva e con questa scusa, poco piacevole di certo, mi potrò rivedere anche con chi non vedo da tempo e questo sì mi farà tanto piacere. Al più presto segnalerò il caso ai mezzi di comunicazione di massa, perché, se ho tollerato da sempre ritardi negli stipendi, ora non tollero più gli ulteriori ritardi sempre più prolungati ed accompagnati da contributi previdenziali previsti dalla legge non versati, oltre che le prese in giro.
Per tutto ciò non servono controcoglioni, che potrebbero solo darmi fastidio. Tra tutti i colleghi ed ex colleghi le persone che più di altre si stanno mostrando interessate a questo discorso e che dicono che si unisconono a me in questa richiesta di rispetto della legge e della correttezza sono infatti (fino ad ora almeno) quasi tutte donne e non mi sembra un caso che persone quali le donne, notoriamente prive di coglioni, siano piene di coraggio e senso della giustizia. Lasciamo che i coglioni si occupino di ciò che sanno fare.

mercoledì 14 ottobre 2009

Riforma presidenziale? Sì, ma nel solco della legalità!

Penso che una seria riforma in senso presidenzialista in Italia sarebbe auspicabile, ma soltanto a condizione che si intenda rispettare fin da prima di subito la legge! Imporre situazioni di fatto illegali, incostituzionali, riformare le leggi in base ad esse per poi non rispettare le riforme attuate significa vivere nell'arbitrio e nella prepotenza del potere!

venerdì 9 ottobre 2009

Buon compleanno, John Winston Ono Lennon

Nell'anniversario della nascita di John Lennon pubblico qui il testo di una sua canzone.
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Mother
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Mother, you had me but I never had you,
I wanted you but you didn't want me,
So I got to tell you,
Goodbye, goodbye.
Father, you left me but I never left you,
I needed you but you didn't need me,
So I got to tell you,
Goodbye, goodbye.
Children, don't do what I have done,
I couldn't walk and I tried to run,
So I got to tell you,
Goodbye, goodbye.
Mama don't go,
Daddy come home.
Mama don't go,
Daddy come home.
Mama don't go,
Daddy come home.
Mama don't go,
Daddy come home.
Mama don't go,
Daddy come home.
Mama don't go,
Daddy come home.
Mama don't go,
Daddy come home...

mercoledì 7 ottobre 2009

PD nella giusta direzione

Se per politica si intende l'odio nei confronti di chi non la pensa come noi essa non mi può interessare se non il tanto che basta per allontanarmene. Io che da sempre sono stato molto critico nei confronti del regime partitocratico italiano (e di conseguenza molto critico nei confronti dei partiti di governo così come di quelli di opposizione, non escludendo praticamente nessuno), credo che il PD, anche se ancora timidamente, sta andando nella giusta direzione. Il confronto tra i candidati alla segreteria mi sembra di un buon livello e mai ho visto tra i partiti italiani una tale apertura al mondo dei simpatizzanti (se escludo le elezioni online di qualche anno fa di Radicali Italiani) che il PD sta manifestando con le primarie. Pure i tre candidati mi sembrano di buon livello. Insomma, mi sento sempre più vicino al PD e spero che non faccia stupidate in questi ultimi mesi del 2009. Sto valutando, infatti, di iscrivermi al PD e mi sono dato come scadenza entro la quale decidere l'inizio dell'anno prossimo.

giovedì 1 ottobre 2009

Live and let die

I fenomeni senza interpretazione non esisterebbero neppure, ma da qui a dire che tutto è lecito e dobbiamo stare zitti ed inerti di fronte all'ingiustizia (come ci stiamo abituando a fare) ce ne passa! Ognuno guardi ciò che gli piace guardare e se gli piace guardare ciò che non gli piace, beh, ognuno sia masochista pure come vuole, ma gli consiglierei pure di andare a fare una bella psicoterapia! Della vita e delle scelte altrui che non ci toccano e che non causano danno a nessuno perché occuparsene? C'è tanta di quella felicità e tanto di quel dolore da vivere che mi pare perdita di tempo e di vita occuparsene. I pareri non richiesti, poi, servono solitamente a litigare.

mercoledì 16 settembre 2009

Luoghi in cui ho vissuto

Enna la ricordo piena di ipocrisia e chiusura mentale, ma ricordo anche con nostalgia le bellissime vedute, i monumenti, il castello, la torre. Insomma, Enna è bella, gli ennesi ancora non se ne sono accorti, troppo occupati a parlarsi male tra loro ed a parlare male degli altri, sempre stando ai miei ricordi. Niscemi è un altro comune tra i più brutti della Sicilia, ma alcuni tra i suoi cittadini sono ottime persone. Caltanissetta è città piena di ipocrisia ed interesse per l'apparenza più e prima che per la sostanza. A Catania, invece, mi trovo relativamente bene. L'importante è frequentare le persone giuste e quelle non mancano mai in una città più grande.

domenica 13 settembre 2009

La comunità di base Viottoli commenta la lettura biblica odierna

Dal sito www.viottoli.it
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“Ma voi...” - ma noi... Chi è Gesu’ per noi?
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Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà (Marco 8, 27-35).
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Marco è un buon catechista: ricostruisce e racconta la vita di Gesù in modo da stimolare crescita nella fede da parte della sua comunità; con il metodo classico dei maestri antichi: mette in bocca a Gesù la domanda e in bocca al “capo” dei discepoli la risposta giusta, come a dire “ecco quello che davvero dovete credere!”.
La domanda è quella che tutti e tutte ci siamo fatti/e più di una volta, a mano a mano che ci addentravamo nello studio della Bibbia: chi è Gesù per me? Nei tre Vangeli sinottici troviamo lo stesso brano in forma pressoché identica (Mt 16,13-23 e Lc 9,18-22): domanda e risposte che erano evidentemente molto importanti per le prime comunità. E per Gesù, come per chiunque, è importante essere riconosciuto: il riconoscimento ti fa star bene, ti dà la misura dell’efficacia di quel che stai facendo e seminando intorno a te.
Cosa stava facendo Gesù?
Stava insegnando, con gesti e parole, la condivisione e la responsabilità. Il capitolo 8 comincia con un’oceanica merenda, resa possibile dalla condivisione di quel poco che ciascuno ha con sé, e si conclude con l’invito a portare la propria croce personale sulle orme di Gesù, che ha portato la sua fino alla morte.
Essere il Messia, come professa Pietro al v 29, significa esattamente, per Gesù, portare la sua croce fino al Calvario, come Marco gli fa sintetizzare al v 31: “Molto soffrire, essere rigettato e ucciso...”. Questo è per lui cammino di responsabilità nella vita: non scendere a compromessi con il potere (“anziani, gran sacerdoti e scribi”), ma vivere con coerenza, a costo di rimetterci la vita.
Solo così sarà possibile “risorgere”, per lui e per noi: “Chi perderà la sua vita per causa mia e dell’evangelo la salverà” (8,35). Lui continua ad essere vivo, per noi e in noi, proprio perchè ha accettato le estreme conseguenze per la sua vita di profeta coerente del Dio dell’amore universale.
C’era chi, come al v 11, continuava a chiedere dei “segni”: chissà quanti, nella comunità di Marco, continuavano a nutrire dubbi e chiedere garanzie! I dubbi su Gesù erano più che giustificati, alla luce della fine spaventosa che aveva fatto. E nelle risposte che Marco mette in bocca ai discepoli e a Pietro mi sembra di poter cogliere anche l’eco di una “tentazione” permanente: Gesù viene identificato con un profeta famoso in Israele o con una “funzione salvifica”, quella del Messia, l’inviato di Jahve a riscattare e liberare Israele.
Forse, nelle intenzioni di Marco e dei sinottici, il ruolo assegnatogli serviva a rendere più autorevole Gesù agli occhi della comunità. Forse c’era già chi lo idealizzava, lo vedeva “di più” di quello che Gesù era stato veramente... e questo “di più” ha finito per imporsi e venir cristallizzato in dogmi assurdi (divinità, trinità, ecc...). In realtà, mi sembra, Gesù non è stato riconosciuto come tale. E la conferma la trovo nei vv 31-33: lo stesso Pietro è qualificato da Gesù come “Satana” perchè, non accettando la prospettiva della croce, dimostra di pensare secondo gli uomini, non secondo Dio.
Gesù non è quel Messia
La risposta di Marco ai dubbi che serpeggiano in comunità mette l’accento sulla relazione con Gesù, non sui segni eclatanti che ciascuno e ciascuna può pretendere e aspettarsi, come da un mago del circo. Gesù non è quel Messia che gli antichi profeti avevano vaticinato: la salvezza che porta al mondo non è la liberazione politica dal giogo romano, non è la supremazia universale del popolo “eletto”, non è nulla di egoisticamente umano.
E’ piuttosto la “salvezza” che Gesù annuncia a Zaccheo in Lc 19,9 (“Oggi la salvezza è entrata in questa casa”), dopo che lui ha annunciato la propria radicale conversione di vita: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e, se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto” (Lc 19,8). La salvezza sta nelle relazioni d’amore, di giustizia, di condivisione; non è un evento magico a cui si può accedere con gesti di culto individualmente egoistici.
“Ma voi...”: Gesù si aspetta un’altra risposta da chi lo accompagna da tempo e dovrebbe ormai conoscerlo abbastanza bene. Gesù punta sulla responsabilità individuale di chi vuole essergli discepolo o discepola: il Regno di Dio è dentro ciascuno/a di noi, cresce con la crescita del riconoscimento reciproco della comune universale figliolanza nei confronti di quel Dio che giuriamo di amare e che per Gesù è l’unico “oggetto” della fede.
Infatti “intimò loro di non parlare a nessuno di lui” (v 30), forse perchè, con l’idea che ne avevano, avrebbero reso un cattivo servizio alla causa del Vangelo. Non è Gesù l’oggetto della fede, non deve esserlo. Predicarlo come Messia, Salvatore, Redentore... ci porta, come è successo nella storia del cristianesimo, a farne un idolo da adorare invece che un maestro di vita da seguire e imitare, accettando di portare la nostra croce personale.
La croce abbiamo finito per appenderla ai muri e l’abbiamo trasformata in arma da brandire contro chi viene da lontano a disturbarci... altro che amore universale! Altro che relazioni di fratellanza universale nel nome del comune unico Padre! Se non ci riconosciamo tra di noi come fratelli e sorelle senza se e senza ma, è segno che non riconosciamo davvero Gesù: continueremo a presentarlo come Messia, Cristo, Salvatore..., ma la salvezza per noi non sarà ancora la giustizia imparata e praticata da Zaccheo.
E Gesù continuerà ad essere rigettato dagli anziani (presbiteri), dai gran sacerdoti e dagli scribi. Ci stiamo tutti e tutte in queste categorie: quando predichiamo noi stessi/e e le nostre dottrine, invece di metterci in ascolto sincero e vicendevole; quando pretendiamo la conversione di chi ci sta intorno invece di lavorare quotidianamente alla nostra; quando continuiamo a vivere come sacerdoti sul piedestallo invece di camminare a braccetto con chi non ha le nostre stesse risorse e i nostri stessi strumenti intellettuali e culturali... con chi ha pensieri diversi...
E’ bene che continuiamo a chiederci: chi è Gesù per me? E a risponderci con sincerità. Ma non nel chiuso del nostro io superbo e autosufficiente, bensì negli spazi aperti di ogni gruppo, di ogni comunità, guardandoci negli occhi e riconoscendoci vicendevolmente degni e degne di quella salvezza che Gesù ha praticato e predicato e che non ci aspetta nel paradiso dei morti, ma ci accompagna e ci spinge sui sentieri faticosi dei vivi, come erano quelli polverosi e sassosi della Palestina.
Se non ci riconosciamo universalmente fratelli e sorelle nella quotidianità della nostra vita, risulterà inutile e sbagliato quello che pretendiamo di conoscere di Gesù e del suo “evangelo: la buona notizia è messaggio di amore e di giustizia, non invito a praticare culti idolatri.
Beppe Pavan

venerdì 11 settembre 2009

Gli antimafiosi di professione

Sciascia ci indicò come rischio ciò che oggi è divenuto più che un rischio. Abbiamo infatti visto personaggi pubblici fare carriera politica in nome dell'antimafia o della lotta alla corruzione o della pulizia morale e così via, divendendo così inattaccabili agli occhi dell'opinione pubblica, ovvero divenendo idoli da idolatrare piuttosto che uomini con i quali condividere o meno le loro opere.

martedì 8 settembre 2009

Il proclama di Badoglio dell'8 settembre 1943

L'8 settembre 1943 il Capo del Governo maresciallo d'Italia Pietro Badoglio annunciò, tramite la radio, l'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile. Questo a seguire è il testo del proclama che lesse Badoglio.
«Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza»

venerdì 4 settembre 2009

Sofri nonviolento

Sofri ha scelto di rispettare socraticamente la legge fino in fondo, affermando la sua innocenza dall'accusa di essere un mandante di un omicidio ed assumendosi pienamente la responsabilià morale di avere pubblicamente condannato a morte Calabresi con la sua attività pubblicistica ed avendo scelto poi la nonviolenza. Mi pare che tutto ciò in Italia sia raro a vedersi ed implica già solo di per sé buon uso dell'intelletto e coerenza tra pensiero, parola e scelte di vita.
Smettiamo di valutare le cose, come solitamente facciamo da italiani, in base a moralismi accusatori o assolutori o vedendo tutti come se fossimo uguali. Diamo a ciascuno il suo e valutiamo con giudizio.

sabato 29 agosto 2009

Attacco alla libertà di stampa

Inaccettabili le intimidazioni del Premier alla stampa
Prendiamo atto con stupore della denuncia presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri contro il gruppo editoriale “L'Espresso”.
Riteniamo che questa iniziativa giudiziaria, sia una vera e propria intimidazione inaccettabile alla libertà di stampa.

E' palese che questa inverosimile operazione mira ad azzittire le voci non allineate e critiche verso l'operato del Governo che si rifugia nella querela per sottrarsi al confronto e al chiarimento di situazioni e vicende che eufemisticamente potremmo definire “torbide”.

Auspichiamo forti iniziative di protesta sia da parte delle forze politiche di opposizione che dalle organizzazioni della stampa.

Gabriele Oliviero

Membro del Coordinamento nazionale N.P.A.

giovedì 27 agosto 2009

Laico perché cristiano

"Laicismo" solitamente è un'espressione usata dai fanatici "vaticani" per contrastare il pensiero laico. Il concetto odierno di laicità, invece, deriva dalla tradizione religiosa cristiana ed io, infatti, mi lascio influenzare sì dalla mia religione anche nelle mie idee politiche. Sono laico e liberalsocialista proprio perché cristiano cattolico!

domenica 23 agosto 2009

Il viaggio della morte

Dal sito dell'UNHCR

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UNHCR, ALLARMATO DAI RACCONTI DEI CINQUE SOPRAVVISSUTI DI QUEST’ULTIMA ULTIMA TRAGEDIA DEL MARE

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati esprime il proprio sconcerto per i racconti forniti delle cinque persone di nazionalità eritrea, uniche sopravvissute a bordo di un gommone partito circa 20 giorni fa dalla Libia e rimaste in mare senza cibo, acqua nè benzina.
Dalle prime testimonianze dei cinque eritrei soccorsi a Lampedusa, sembrerebbe una tragedia del mare che ha coinvolto circa 80 persone, la maggior parte eritrei, a bordo di un gommone partito dalla Libia a fine luglio. Dopo tre giorni di navigazione, i migranti sarebbero rimasti senza cibo, acqua e benzina. Persa la rotta, l’imbarcazione sarebbe andata alla deriva e le persone a bordo avrebbero iniziano a morire a causa degli stenti. I cadaveri sarebbero stati via via gettati in acqua dai pochi sopravvissuti.
I cinque eritrei raccontano di aver incrociato sulla loro rotta un peschereccio, il quale, dopo avergli dato dell’acqua e del cibo, si sarebbe allontanato. Il 20 agosto un motovedetta della Guardia di Finanza ha raggiunto l’imbarcazione. I cinque passeggeri rimasti sono stati fatti sbarcare a Lampedusa per ricervere le prime cure mediche, viste le loro precarie condizioni di salute.
Oltre alla tragicità di quanto avvenuto, ciò che più allarma l’Alto Commissariato per i Rifugiati è che, in questo terribile viaggio, il gommone abbia incrociato altre imbarcazioni, senza che alcuna di queste prestasse soccorso a quanti erano a bordo. Ciò si pone in contrasto con l’antica tradizione marittima del soccorso in mare, che pare oggi essere pericolosamente messa in discussione.
L’Alto Commisariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati considererebbe di grande preoccupazione l’eventualità che l’inasprimento delle politiche del governo nei riguardi di chi arriva via mare possa avere l’effetto di scoraggiare i capitani delle navi e dei pescherecci dal soccorrere chi è in difficoltà.

venerdì 21 agosto 2009

A proposito di Padania

Anche il Pakistan è nato a suo tempo "grazie" a dei politicanti imbecilli che l'hanno inventato senza alcuna radice storica, culturale, sociale se non la differenza religiosa tra indiani islamici ed indiani non islamici. E' stata una sciagura che ancora oggi miete vittime. Questo per dire che le idee più assurde rientrano nell'ambito del possibile ed a volte finiscono per essere, purtroppo, realizzate.

Non sono per l'unità ad ogni costo e non ho nulla contro i separatismi, in linea di principio, come sicialiano sicilianista, anzi, simpatizzo per i veri autonomisti, ma mi rendo conto con Gandhi, Ernesto Rossi, Spinelli e Pannella, che nessuna indipendenza ha ormai alcun valore. L'interdipendenza è dato di fatto che va saputo governare con un serio e sano federalismo, non solo europeo. Altro che Padania!

sabato 15 agosto 2009

Ferragosto radicale in carcere

Ricevo dall'associazione Radicali Catania e qui pubblico
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Comunicato dell'associazione Radicali Catania
Catania, 13 agosto 2009

Ferragosto in carcere, parlamentari di tutti gli schieramenti visitano gli istituti di pena
Nell'ambito dell'iniziativa nazionale "Ferragosto in carcere" promossa dai Radicali, la più imponente iniziativa di sindacato ispettivo mai realizzata in Italia, a cui hanno aderito oltre 150 deputati, senatori, parlamentari europei e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici, domani 14 agosto una nutrita delegazione di parlamentari visiterà le strutture penitenziarie di Catania e provincia. Alle 9.00 avrà luogo la visita della Casa Circondariale di Catania Bicocca, alle 12.00 quella del carcere di Piazza Lanza. Nella stessa giornata di domani verranno verificate le condizioni del carcere di Giarre e dell'istituto per minori di Acireale.
Partecipano all'iniziativa i parlamentari nazionali Giuseppe Berretta e Giovanni Burtone (Pd), Salvo Fleres e Salvatore Torrisi (Pdl), il deputato regionale Giuseppe Arena (Mpa), il segretario provinciale del Partito democratico Luca Spataro e il segretario dell'Associazione Radicali Catania Gianmarco Ciccarelli.
L'obiettivo della mobilitazione è effettuare una ricognizione approfondita della difficilissima situazione delle carceri italiane, per conoscere meglio e direttamente come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti, per essere così capaci di interpretare i bisogni e di proporre le soluzioni legislative e organizzative adeguate, sia immediate che a medio e lungo termine.

giovedì 13 agosto 2009

Chiesa laica e laica costituzione!

Quando per Chiesa intendiamo la chiesa cattolica, allora faremmo bene a scrivere Chiesa Cattolica, se lo considerassimo nome proprio di una chiesa. Io non lo considero tale, anche perché di chiese cattoliche ve ne sono più di una e non tutte sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica Romana. Le chiese vetero-cattoliche, alle quali mi sento molto vicino, ad esempio, riconoscono il primato papale, come successore di Pietro, ma rifiutano il dogma dell'infallibilità.
Molte altre chiese cristiane si definiscono "Chiesa Cattolica" o una sua componente, tra queste la Chiesa Ortodossa d'Oriente, la Chiesa Ortodossa d'Occidente, le chiese luterane e anglicane, la Chiesa Cattolica Tradizionalista ed altre chiese cristiane. Nessuna di queste riconosce il papa come autorità infallibile e nessuna di queste fa parte della Chiesa Cattolica Romana.
Sono cattolico e vivo quest'appartenenza come un'adesione morale, sentimentale e culturale ad una grande tradizione religiosa, non come un'adesione ad un'associazione, che ha un'organizzazione ben precisa. Chiesa non è nome proprio di nessuna delle denominazioni religiose in genere, cristiane in particolare e, ancora più nello specifico, neppure di nessuna delle denominazioni cattoliche! Infatti ognuna di esse, compresa quella Cattolica Romana (considerandola con l'insieme delle chiese particolari ad essa in comunione), aggiunge al termine Chiesa degli aggettivi nella propria denominazione ufficiale o di corrente uso. Si può decidere di chiamare Chiesa una delle chiese cattoliche, quella più potente e rilevante socialmente e politicamente (specie in Italia), ma non condivido tale decisione e mi provoca imbarazzo, da cattolico, pur se nel senso che ho appena specificato.

Vorrei abolire l'art. 67 della Costituzione. Vorrei un parlamento fatto da parlamentari che si sappia il più possibile quali interessi difendono. Non ho nulla contro il sistema dei gruppi d'interesse tipo quello statunitense. In Italia, invece, si riempiono la bocca di espressioni che evocano l'interesse generale per farsi sempre poi i propri interessi particolari attraverso quelli che dovrebbero essere pubblici poteri.
La Costituzione stabilisce principi su cui deve fondarsi l'intero ordinamento e ciò mi va più che bene. Quando stabilisce principi che debbono essere rispettati dalla legge ordinaria (violando la quale si hanno sanzioni) lo accetto. Se stabilisce principi di comportamento, senza stabilire sanzioni relative alla violazione di quei principi, non lo accetto.

lunedì 10 agosto 2009

Concerto a Niscemi, ricordando Impastato

Qualche ora fa ballavo mentre i Modena City Ramblers cantavano qui a Niscemi questa bella canzone (colonna sonora del film omonimo su Peppino Impastato), il cui testo qui riproduco.
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I cento passi

"Sei andato a scuola?Sai contare?""Come contare?""Come contare?1,2,3,4,sai contare?""Si,so contare""Sai camminare?""So camminare""E contare e camminare insieme lo sai fare?""Si!Penso di si!""Allora forza!Conta e cammina!dai... 1,2,3,4,5,6,7,8...""Dove stiamo andando?""Forza!Conta e cammina!9... 90,91,92,93,94,95,96,97,98,99 e 100!Lo sai chi ci abita qua?A?U zù Tanu ci abita qua!!""Cento passi ci sono da casa nostra,cento passi!"
(tratto dal film "I cento passi" di M.T.Giordana)

E' nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio..
Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di Giustizia che lo portò a lottare..
Aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell'ambiente da lui poco onorato..
Si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un'ideale ti porterà dolore..
"Ma la tua vita adesso puoi cambiare solo se sei disposto a camminare, gridando forte senza aver paura
contando cento passi lungo la tua strada"..
Allora.. 1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!

"Noi ci dobbiamo ribellare" (dal film)

Poteva come tanti scegliere e partire, invece lui decise di restare..
Gli amici, la politica, la lotta del partito.. alle elezioni si era candidato..
Diceva da vicino li avrebbe controllati, ma poi non ebbe tempo perchè venne ammazzato..
Il nome di suo padre nella notte non è servito, gli amici disperati non l'hanno più trovato..
"Allora dimmi se tu sai contare, dimmi se sai anche camminare, contare, camminare insieme a cantare
la storia di Peppino e degli amici siciliani"
Allora.. 1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!(x 2 volte)

Era la notte buia dello Stato Italiano, quella del nove maggio settantotto..
La notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l'alba dei funerali di uno stato..
"Allora dimmi se tu sai contare, dimmi se sai anche camminare, contare, camminare insieme a cantare
la storia di Peppino e degli amici siciliani"..
Allora.. 1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!..1,2,3,4,5,10,100 passi!(x 2 volte)

"E' solo un mafioso, uno dei tanti"
"E' nostro padre" "Mio padre! La mia famiglia! Il mio paese!Io voglio fottermene!Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare!" (dal film)

sabato 8 agosto 2009

Per un'interpretazione della regola aurea

Osserva un pipistrello e vedi se va in cerca di cibo, sonno, sesso, rifugio, calore, contatto con i propri simili. Vedi se si dirige solitamente verso qualcosa che la sua specie, quindi, potremmo dire che trova attraente. Vedi se rifugge qualcosa che, quindi, potremmo dire che la sua specie trova repellente. Vedi se esistono così pure gusti particolari dei singoli individui di pipistrello. Potremmo così capire tutto sommato che vorremmo gli altri diano ad un pipistrello e cosa vorremmo non diano, se vogliamo seguire la regola aurea.
Cosa vorremmo fosse fatto a noi? Innanzi tutto vorremmo essere considerati per quello che siamo e vorremmo ricevere ciò che vogliamo per noi. Quindi fare agli altri quello che noi vogliamo per noi significa considerarli per quello che sono e dare loro ciò che essi per sé stessi desiderano.

giovedì 6 agosto 2009

Ovadia propone un'Europa disarmata

Ieri a Bolzano, durante un incontro in municipio del Centro della pace in ricordo dell'anniversario del lancio della prima bomba atomica su Hiroshima (del quale lancio cade oggi il triste anniversario), Moni Ovadia ha fatto la proposta secondo la quale l'Europa diventi un continente disarmato. Ovadia auspica un "continente disarmato e un esercito europeo di pura difesa". Ovadia ha detto: "Se vuoi la pace, non prepara la guerra ma la pace" ed ha invitato ad insegnare la pace già negli asili.

martedì 4 agosto 2009

Repubblica Democratica del Congo devastata dalla guerra civile

Tratto dal sito dell'UNHCR
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Migliaia di civili fuggono dalle violenze nella Repubblica del Congo orientale. © UNHCR/P.Taggart
Migliaia di civili fuggono dalle violenze nella Repubblica del Congo orientale. © UNHCR/P.Taggart
Si stima che siano circa 56mila i congolesi sfollati in seguito alle ultime violenze iniziate lo scorso 12 luglio nell’est della Repubblica Democratica del Congo. In migliaia hanno abbandonato le loro case per sfuggire alle conseguenze della campagna militare del governo contro i ribelli Hutu delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR) e i loro alleati nella provincia del Sud Kivu.
Molti villaggi sul Moyens Plateaux nel territorio di Uvira sarebbero ormai deserti, dopo che i residenti sono fuggiti nelle foreste vicine e in altre aree più sicure. Gli sfollati si concentrano soprattutto sulle colline a ovest di Luvungi e Bwegera, e verso sud nelle città di Lumera e Mulenge, sul Moyens Plateaux. Moltissimi sfollati interni sono scappati verso i villaggi intorno alla strada tra Kamanyola e Luberizi, nella piana di Ruzizi, nei pressi del confine tra Congo e Burundi.
Si stima che circa 30mila sfollati interni nella piana di Ruzizi siano ospitati dalle comunità locali. Alcune famiglie stanno ospitando e sfamando fino a 3 o 4 famiglie sfollate mettendo a dura prova le loro scarse risorse. Le scorte di cibo si stanno esaurendo poiché alcune famiglie non possono accedere ai loro terreni a causa della mancanza di sicurezza.
Alcune persone hanno tentato di fare ritorno ai loro villaggi, ma sono dovute scappare nuovamente. Continuano anche sporadici attacchi contro i civili ad opera delle FDLR. Il 29 luglio le FDLR hanno attaccato il villaggio di Lubumba, a circa 10 km a nord-ovest di Luvungi nel Moyens Plateaux, saccheggiando diverse case e un ospedale.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e altre organizzazioni umanitarie si stanno organizzando per dare assistenza a circa 20.000 sfollati interni nella piana di Ruzizi. Verranno distribuiti dei kit d’emergenza, che comprendono coperte, materassi, utensili, taniche e sapone. La scarsa sicurezza e le condizioni delle strade ostacolano gli sforzi di raggiungere molti degli sfollati.
L’UNHCR sta anche coordinando le attività di protezione, tra cui la registrazione degli sfollati interni da parte delle autorità locali e delle organizzazioni non governative, il monitoraggio e l’organizzazione di sistemi di allerta preventiva in caso di nuovi movimenti di popolazione.
Circa 536mila persone sono sfollate a causa del conflitto nel Sud Kivu. Ci sono oltre un milione e 800mila sfollati interni in Congo, la maggior parte dei quali nell’area orientale.

venerdì 31 luglio 2009

Chi è chiesa?

La chiesa non è costituita solo dalle sue gerarchie ed il clero anzi, solitamente, ne è la parte peggiore! Chiesa sono tutti i poveri cristiani senza voce che amano nella loro vita quotidiana chi entra in contatto con loro. I santi della vera chiesa di cristo li troviamo dappertutto attorno a noi e non li riconosciamo. Sono tutte le persone per le quali dovremmo essere riconoscenti, per qualsiasi ragione.

martedì 28 luglio 2009

La laicità nella scuola secondo Guido Calogero

CHE VUOL DIRE SCUOLA LAICA?

di Guido Calogero

da "Il Mondo" del 6 dicembre 1955 ( ripubblicato in: Scuola sotto inchiesta, Torino, Einaudi, 1957)

Capita spesso, quando ci si batte per qualcosa, di sentirsi dire che sarebbe più urgente battersi per qualcos’altro. Per quanto concerne le proposte di rinnovamento di certe nostre tradizioni educative, che si sono avanzate su queste colonne, non ho motivo di lamentarmi, perché il coro dei consensi è stato superiore ad ogni mia aspettativa. Tuttavia, qualche amico mi ha per esempio osservato che è molto rischioso propugnare una maggiore libertà di scelta e di approfondimento degli studi, specie per la preparazione all’esame di maturità, quando chi se ne avvantaggerebbe di più sarebbe probabilmente la scuola privata, che invece occorre tenere fermamente legata ai suoi obblighi. La battaglia fondamentale è infatti (essi dicono) quella tra scuola privata e scuola di Stato, tra scuola confessionale e scuola laica; e ogni altra controversia dev’essere considerata secondaria rispetto a quella, tanto più in quanto possa proprio indebolire e distrarre le capacità di resistenza nella lotta. Sarebbe come se Priamo, invece di far chiudere e rinforzare le porte delle mura di Troia di fronte all’avanzata dei Greci, si preoccupasse di riverniciarle.

Sennonché, tutte le volte che noi consideriamo le cose con simile semplicismo apocalittico finiamo per metterci nelle peggiori condizioni anche per combattere contro ciò che può essere realmente più grave e pericoloso. Se in Italia la scuola laica è in pericolo, questo significa che molti Italiani non hanno ancora capito che interesse abbiano a difenderla. E non si suscita quell’interesse solo ripetendo che essi debbono difenderla. Bisogna far loro capire in che consiste quell’interesse, ragionando, per così dire, sulla pelle dei loro figli, cioè spiegando loro che cosa una scuola seria deve dare ai loro figli, e che cosa non deve dare, affinché essi ne escano cittadini capaci e ragionevoli, i quali non mandino a male le loro faccende private e pubbliche creando così la loro stessa infelicità. Ed ecco che non si può non parlare della struttura stessa della scuola, e di come i docenti debbono insegnare e di quel che i ragazzi debbono imparare.

Di fatto, la battaglia per il laicismo educativo non è altro che la battaglia per una scuola più intelligente contro una scuola meno intelligente. È proprio per ciò che essa si presenta da noi in primo luogo come difesa della scuola di Stato – cioè della scuola che, dovendo essere assicurata dallo Stato a tutti i cittadini, quale che sia il loro orientamento religioso, ideologico o politico, deve restare indipendente da ogni presupposto di tal natura – nei confronti della scuola privata, la quale, essendo quasi sempre organizzata dai gruppi caratterizzati confessionalmente, si appella a famiglie, e forma scolaresche, sempre educate in modo più o meno unilaterale. La fondamentale legittimità di questo aspetto della difesa della scuola laica consiste nel fatto che un’educazione condotta, comunque, in base a certi orientamenti dottrinali presupposti come indiscussi, o discussi in maniera insufficiente, crea uomini moralmente e civicamente meno solidi di un’educazione la quale non presupponga alcun tabù ed alleni continuamente i giovani all’attenta e rispettosa discussione di qualunque idea e fede, propria ed altrui. In una situazione come la nostra, il pericolo della diffusione di un tipo di educazione conformista, in cui i docenti cerchino soprattutto di formare giovani che la pensino come loro, coincide ovviamente, in larga misura, con quello della diffusione della scuola privata, la cui organizzazione finanziaria e strutturale è possibile quasi soltanto ai gruppi cattolici. Di qui la necessità di difendere vigorosamente contro di essa la scuola di Stato, la quale nonostante tutto continua a offrire una maggiore garanzia di non confessionalità; di qui la necessità di non accedere alla richiesta della sovvenzione statale a scuole private, salvo dalla condizione (di accertamento pressoché impossibile in Italia) che esse non fossero né cattoliche né comuniste né comunque dominate da un unitario orientamento dottrinale.

Ma questo porta a considerare il secondo aspetto della questione. Mentre è chiaro che, nella situazione presente, la scuola di Stato va difesa in quanto è meno confessionale di quella privata, non bisogna dimenticare il pericolo che diventi invece altrettanto confessionale la stessa scuola di Stato. Il laicismo non è qualcosa che appartenga di per sé allo Stato in quanto si differenzia dalla Chiesa. Ci possono essere Chiese fortemente liberali, come quella quacchera, e Stati fortemente confessionali, anche se poco religiosi, come lo Stato fascista, o quello nazista. Il laicismo non si identifica col non andare a messa, anche se un in un paese in cui troppa gente va a messa può anche consistere nel non andarci per reagire a quel conformismo. Il laicismo consiste nel fatto di non accettare mai, in nessun caso, l’organizzazione e l’esercizio di strumenti di pressione religiosa o politica o sociale o morale o economica o finanziaria al fine della diffusione di certe idee e della repressione di certe altre idee, e di procurare invece, sempre più, l’equilibrio della loro possibilità di dialogo individuale. Se quindi oggi dobbiamo soprattutto guardarci da quanto di confessionale può essere introdotto nella scuola di Stato dell’influenza governativa cattolica, la stessa attenzione dovremmo avere quando, in ipotesi, il potere di governo fosse invece, poniamo, marxista, e il marxismo fosse considerato la base fondamentale dell’insegnamento e tutti o quasi i professori fossero o si dichiarassero marxisti, come per esempio gli insegnanti dell’Istituto Gramsci. Né avremmo dovere diverso (intendiamoci bene) anche quando la maggioranza al governo dello Stato, e quindi anche della scuola di Stato, fosse composta di liberali, e questi riempissero le scuole solo di liberali aderenti alle dottrine enunciate nei loro libri. Una scuola laica è una scuola in cui non c’è mai nessuno che abbia ragione senza la possibilità e la probabilità che qualcun altro gli dia torto.

Ma questo secondo aspetto della questione del laicismo scolastico, il quale c’impone di preoccuparci sempre del fatto che nella scuola si ascoltino le voci più diverse (giacché quel che anzitutto rende adulti, nella formazione morale e civica degli uomini, non è tanto il far vedere certe cose in un certo modo, quanto il far vedere che ci sono altri uomini che le vedono altrimenti), ci fa nello stesso tempo scorgere anche il terzo e il più radicale aspetto della cosa, e cioè che è vana, o almeno senza intrinseco fondamento, la nostra difesa del laicismo nella scuola, se anzitutto laici non siamo noi nel nostro modo di insegnare. Non è un laico – quali che siano le sue idee in sede religiosa o filosofica o politica – un professore che quando è in classe dice "qui il padrone sono io", e non tollera che i suoi scolari discutano quanto egli ha detto, e invece di conversare pacatamente con loro e di aiutarli a discutere anche tra loro in modo da scoprire a poco a poco le varie difficoltà e da aiutarli a superarle (educandoli così, proprio con tale continuo esercizio ed esempio, a quella legge del dialogo che è la regola fondamentale di ogni moralità e civiltà) si limita a dar loro cose da studiare a memoria, e poi a interrogarli per vedere se se ne ricordano, e a segnar voti sui registri, e a mettercene di cattivi in condotta se non stanno zitti. Non è un laico un professore che non la smette d’insegnare in quel modo autoritario e antiquato, anche se il Preside e il Ministro continuano ad imporglielo invece d’incoraggiarlo a fare il contrario.

Tutto ciò non significa, si capisce, che non dobbiamo fare tutto il possibile in relazione al primo e al secondo aspetto della questione, anche se non sempre riusciamo a soddisfare alle esigenze del terzo. Tanto varrebbe, che so io, non occuparsi del miglioramento delle condizioni di vita dei carcerati per il solo fatto di ritenere che il nostro codice penale è antiquato e considera illecite molte cose che sarebbe meglio considerare lecite; o non approvare le giustissime ragioni per cui professori e maestri chiedono allo Stato una maggiore spesa per i loro stipendi per il solo fatto che ci sono anche riforme scolastiche che si possono fare senza spesa. Non dimentichiamo, tuttavia, che è inutile, alla lunga, essere "liberali" e "laici" sui giornali e nel Parlamento se anzitutto non lo si è col proprio portiere, coi propri figli e coi propri scolari. Qualunque valore noi chiediamo alla civiltà di garantirci, il suo metro ultimo siamo noi: e solo in quanto noi abbiamo sperimentato e dimostrato in noi medesimi, nella nostra vita di tutti i giorni, che convivere dialogando è meglio che convivere addottrinando, abbiamo il diritto di preferire una scuola laica a una scuola confessionale, una scuola che discuta a una scuola che inculchi verità.

lunedì 27 luglio 2009

Tante religioni sono rami dello stesso albero

La Verità contiene tutto l'esistente. L'umiltà religiosa così come la laicità razionale mi impongono di affermare che non posseggo la Verità, ma essa mi possiede, pur se ho sentore della sua esistenza e pure il principio di non contraddizione mi conduce a pensare alla sua esistenza.
Ho comparato da quando ero bambino le religioni del filone abramitico con quelle persiane, quelle indiane, quelle cinesi e pure con ciò che so dell'animismo africano, americano precolombiano ed oceanico per non contare le tradizioni morali classiche dell'Occidente e le religioni politeistiche delle grandi civiltà ormai defunte. In ognuna di esse esiste il principio di fare agli altri ciò che si vuole gli altri facciano a noi, variamente espresso. Non ho mai affermato che un entità sovrannaturale ci fornisca la morale. Riguardo al bene, esso è variamente interpretato, ma l'umiltà e l'antiidolatria mi impongono proprio il rispetto di questa varietà e quindi per me non c'è reale distinzione tra laici e credenti, bensì tra liberali e non! Gesù non ha mai detto di impedire che gli altri compiano il male, specialmente se tale male ricade direttamente solo su chi lo compie! Le gerarchie clericali hanno preferito il potere al Vangelo! I testi sacri per me non lo sono affatto in sé stessi, ma la loro sacralità dipende dalla capacità di amare di chi li legge. Le "pagine più brutte e inumane" dei testi sacri parlano, nella mia interpretazione gandhiana, dei nostri sentimenti, delle battaglie che si svolgono nei nostri cuori. Non mi scandalizzano così le contraddizioni, poiché non leggo tali testi come testi scientifici o filosofici.

sabato 25 luglio 2009

Obama può riuscire a riformare la sanità USA

Invito chi vuole confrontare i risultati del sistema sanitario statunitense con il nostro a leggere le seguenti pagine, per comprendere perché Obama potrebbe farcela a convincere la classe dirigente del suo Paese ad accettare la riforma del sistema sanitario statunitense dotando gli Stati Uniti d'America di una sanità pubblica degna di tale nome, essendo ad oggi, che io sappia, l'unica realtà occidentale a non averla:

http://rethinkamerica.blogosfere.it/2007/08/la-speranza-di-vita-degli-americani-
continua-a-scendere.html

http://archivio.medicinaepersona.org/__C1256C23002924DE.nsf/wAll/
IDCW-73YBRZ/$file/26%20-giappone%20e%20italia%20%20sanit%C3%A0%20
migliore%20tra%20i%20G7.pdf

giovedì 23 luglio 2009

La mia fede

La mia religiosità di eretico è abbastanza semplice. Si basa sull'antiidolatria, sull'umiltà e sull'amore verso il prossimo assunti come principi in base ai quali affrontare le scelte nella vita. Credevo da bambino ingenuamente al Signore così come me lo presentavano pur non essendo mai andato al catechismo. Era mia nonna che da brava cattolica mi impartiva lezioni religiose con le parole, ma ancor di più con la sua stessa vita. Crescendo venne l'età in cui si mette in discussione ogni certezza e mi chiamai ateo. Credo sia durato solo qualche giorno. Ho infatti impiegato poco tempo per rendermi conto che mi veniva a mancare l'uso di un linguaggio attraverso il quale comunicare sentimenti, valori, speranze che condividevo e condivido con chi si dichiara credente. Giunsi così presto, anche grazie alla lettura dell'autobiografia di Gandhi, all'idea che ciò che accomuna tutti i giusti di ogni tempo e di ogni luogo è l'amore verso la Verità e verso il prossimo e tutto ciò lo trovavo pienamente nella mia tradizione cristiano-cattolica, pur se sepolto da secoli di dogmi.
Ogni grande tradizione religiosa insegna fondamentalmente la stessa cosa e me ne accorsi abbastanza presto. Cosa portò Buddha, Gesù, Confucio e Socrate, che verosimilmente non vennero a contatto tra loro, ad affermare che l'amore verso la Verità e verso l'altro debbano essere posti a fondamento della vita?
La scienza, per ciò che riguarda la morale, non dimostra alcunché e non dimostra come vero nulla neppure nei suoi ambiti propri, da ciò che ci spiega l'epistemologia contemporanea.
Non credo che il cuore della religione sia l'onnipotenza divina, che rifiuto di credere, dato che esistono la sofferenza, il male e le ingiustizie. Riguardo l'onniscienza non credo neppure che vada presa alla lettera. Che ci sia o meno una coscienza onnisciente mi lascia indifferente. Tutto ciò che esiste sempre è esistito e sempre esisterà e lo suppongo conosciuto da una coscienza infinita e ciò mi basta. Sulla bontà divina pure non c'è da prendere nulla alla lettera. Ciò che ritengo importante è non estraniarmi da chi crede sia meglio fare il bene ed evitare il male, indipendentemente da ogni altra cosa a cui creda, da quale sia la sua visione del mondo. Ciò che accomuna ogni persona "di buona volontà" è per me il Signore, la "sede del bene", per usare un linguaggio semplice, che può essere ulteriormente semplificato o poetizzato, come fa ogni grande tradizione morale/religiosa. Non penso, poi, che la moralità umana venga da un essere soprannaturale.
La storia della creazione è evidentemente una favola. L'anima dell'uomo è la sua stessa vita oppure la sua mente, nulla di più nulla di meno.
Sull'insignificanza degli esseri umani di fronte alla vastità dello spazio avrei molto da obiettare, comunque, poiché questo è un concetto elaborato e contenuto dallo spirito umano, che supera così di gran lunga ogni cosa, fosse anche infinitamente più grande di lui come dimensioni fisiche,ma si può parlare di dimensioni fisiche infinite?

giovedì 16 luglio 2009

Malasanità nissena

Articolo del giornale La Sicilia di oggi
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Niscemi. L'apertura, dopo venti anni di attesa, dell'ala nuova del nosocomio locale non ha per nulla risolto il problema sanità a Niscemi, anzi, in alcuni casi, lo ha fatto incancrenire. Per questo, martedì sera, c'è stato l'ennesimo incontro a Palazzo di Città tra istituzione comunale, associazioni di volontariato, sindacati e club service, organizzato dall'amministrazione comunale per dire ancora una volta no ai tagli dei posti letto, no ad un personale medico ridotto al lumicino in alcuni reparti del “Suor Cecilia Basarocco”, dove due medici, nel reparto medicina, debbono garantire il lavoro nel reparto e le emergenze, dove vi è un solo medico in servizio nel reparto di radiologia. Nessuno dei tre medici può andare in ferie, o cadere ammalato, pena il blocco delle attività dei reparti e quelle connesse. E c'è stato chi ha proposto di evidenziare tale situazione davanti la Procura della Repubblica, «visto che ogni altro tentativo per normalizzare la situazione è andata a vuoto».
Alla fine del dibattito, che ha avuto anche toni accesi, si è deciso di sottoscrivere l'ennesimo documento in cui evidenziare le criticità che sono state ribadite, e ribadirle, poi, in un confronto con il direttore generale dell'Asl 2 di Caltanissetta: potenziamento delle attrezzature, potenziamento dell'organico medico, per evitare la chiusura del reparto di medicina e di radiologia, riparazione della Tac ferma da un mese, locali per i poliambulatori e potenziamento della medicina di base. Nel dibattito sono intervenuti, oltre al sindaco Giovanni Di Martino e al presidente del consiglio comunale Franco Alesci, rappresentanti di varie organizzazioni e rappresentanti della società civile.
Durante il dibattito, è stata resa nota la toccante lettera-denuncia al sindaco di Niscemi e ai vertici dell'Asl 2, perché vittima della malasanità, della dottoressa Maria Concetta Tommasi, madre di una bambina di 5 anni, che si trova, dopo tante peripezie, ricoverata al reparto di chirurgia di Niscemi. "In seguito alla caduta dal balcone della mia abitazione, in seguito al terribile trauma vengo prima portata all'ospedale di Niscemi, poi a quello di Gela, poi da Gela a Niscemi, da qui al Sant'Elia di Caltanissetta. Ancora, da Caltanissetta a Niscemi, come una pallina impazzita da ping pong. Tutto questo perché la Tac dell'ospedale di Niscemi non funziona. Io ho riportato varie fratture: colonna vertebrale, bacino, ecc… Prima di essere accettata a Caltanissetta, ero ricoverata a Niscemi. Passano 8 ore e, grazie all'intervento del direttore sanitario di Niscemi, dott. Franco Cori, vengo trasferita di nuovo a Caltanissetta, che ha reparti attrezzati per il mio caso. Dopo gli interventi al Sant'Elia, chiedo di restare ricoverata in quella struttura, per le competenze specialistiche e poi perché mio marito e i parenti risiedono a Caltanissetta. Nulla da fare. Non esistono motivi umanitari".
E' una storia di allucinante malasanità!
Giuseppe Vaccaro

mercoledì 8 luglio 2009

La libertà di Pietro Spina

Parole di Pietro Spina, personaggio dal romanzo di Ignazio Silone "Vino e pane" (il contesto è il regime fascista), che consiglio di leggere:

"La libertà non è una cosa che si possa ricevere in regalo" disse Pietro. "Si può vivere anche in paese di dittatura ed essere libero, a una semplice condizione, basta lottare contro la dittatura. L'uomo che pensa con la propria testa e conserva il suo cuore incorrotto, è libero. L'uomo che lotta per ciò che egli ritiene giusto, è libero. Per contro, si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi: malgrado l'assenza di ogni coercizione violenta, si è schiavi. Questo è il male, non bisogna implorare la propria libertà dagli altri. La libertà bisogna prendersela, ognuno la porzione che può."

lunedì 6 luglio 2009

La maghetta Fia

In tv adesso stanno trasmettendo "Fia, piccola maga", un bel film di Elsa Kvamme del 2003, con Nina Andresen Borud, Sergio Bini, Klara Døving, Minken Fosheim, Johannes Fürst, Stig Henrik Hoff, Trond Høvik, Mina Kvamme Isdahl, Bendik Østbye Johannessen, Roar Kvassheim (prodotto in Norvegia). La trama riguarda Fia, una bambina di 8 anni che deve prendersi cura di sua madre, la quale non è in grado di badare a lei. L'assistente sociale decide di darla in adozione ed il suo unico sostegno è un suo amico illusionista.

mercoledì 1 luglio 2009

Appello del senatore Ignazio Marino

Carissima/o,

Ti scrivo per chiederti un piccolo sforzo per una importantissima causa. Nelle prossime settimane il testamento biologico sarà al centro del dibattito in Parlamento, e la maggioranza intende approvare una legge che limita la libertà di scelta del cittadino imponendo alcune terapie, come l'idratazione e l'alimentazione
artificiale. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non saranno vincolanti: spetterà sempre al medico l'ultima parola. Qual è allora l'utilità di questa legge, se non si garantisce al cittadino che la sua volontà sia rispettata? La verità è che il ddl della destra è stato scritto per rendere inapplicabile il ricorso al testamento biologico. Oltretutto, la dichiarazione dovrà essere stipulata davanti ad un notaio, e rinnovata con cadenza triennale: vi
immaginate cosa significa andare ogni tre anni davanti a un notaio accompagnati dal proprio medico di famiglia? Al contrario della nostra proposta poi, non è presente nemmeno un cenno alle cure palliative, all'assistenza ai disabili, alla terapia del dolore.

Ti chiedo dunque di diffondere il più possibile l'appello, invitando tutti i tuoi contatti a sottoscriverlo: dobbiamo mobilitarci immediatamente per raccogliere centinaia di migliaia di adesioni e difendere il nostro diritto costituzionale alla libertà di cura. Se saremo tanti, il Parlamento non ci potrà ignorare. Nel prossimo dibattito in Senato il mio impegno personale è quello di dar voce alla vostra opinione, che credo coincida con quella della maggioranza
degli italiani. Che vogliano utilizzare ogni risorsa della medicina o che intendano accettare la fine naturale della vita, i cittadini vogliono essere liberi di scegliere.

Ti ringrazio infinitamente e conto su di te per far circolare il più possibile l'appello per il diritto alla libertà di cura sul sito

www.appellotestamentobiologico.it

e grazie perché abbiamo già raggiunto quasi 100.000 firme!

Ignazio Marino

domenica 28 giugno 2009

Cartone verde

Sto guardando adesso alla tv "Ferngully Le Avventure Di Zak e Crysta", un cartone animato che ha per regista Bill Kroyer (della sceneggiatura si è occupato Jim Cox). Il film è del 1992 e si tratta di un lungometraggio d'animazione alla realizzazione del quale hanno partecipato animatori provenienti dai più importanti studi cinematografici d'animazione hollywoodiani. L'ecologica storia del cartone animato in questione narra di come Crysta, un essere alato dalle sembianze umanoidi, entra in contatto con il mondo degli esseri umani e conosce uno di essi. Quest'ultimo è Zak, che, a causa di un incidente, sviene e quando sta per finire inghiottito da una macchina viene salvato da Batti, un pipistrello ("bat", in inglese vuol dire pipistrello) amico di Crysta. La voce americana di Batti è di Robin Williams. I tre, ormai divenuti amici, arrivano a Ferngully e vi trovano tutti gli alberi tagliati. Gli umani, infatti, hanno mire speculative su Ferngully. Crysta si rivolge alla vecchia saggia Magi, la quale le ricorda che la magia della creazione è dentro un piccolo seme. Nella storia è presente anche il mostro Hexxus, il quale aiuta gli speculatori e minaccia l'armonia di Ferngully. Il mostro viene poi sconfitto e nel mentre l'amore tra Crysta e Zak cresce e così lui vorrebbe restare nel mondo fantastico, ma sente il dovere di tornare tra gli esseri umani.

mercoledì 24 giugno 2009

Il Togo ha abolito la pena capitale

Notizia tratta da www.nessunotocchicaino.it
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TOGO: ABOLITA LA PENA DI MORTE

23 giugno 2009: il parlamento del Togo ha votato all’unanimità l’abolizione della pena di morte nel Paese.
Alla votazione dell’Assemblea Nazionale, riunita in seduta plenaria e presieduta dal Presidente El Hadj Abass Bonfoh, ha assistito anche il Primo Ministro spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero, impegnato nella campagna per una moratoria universale della pena di morte nella prospettiva della sua abolizione completa.
“Il parlamento Togolese ha levato una voce a favore della giustizia e della dignità umana,” ha dichiarato Zapatero.
Da parte sua, il Ministro della Giustizia, Kokou Tozoun, ha detto: "Penso sia stata la decisione migliore che abbiamo preso quest’anno... noi non abbiamo il diritto di dare la morte a nessuno se siamo convinti, come siamo, che la morte non è una cosa buona da dare."
La legge, composta da cinque articoli, afferma il principio dell’abolizione della pena di morte, stabilisce la sua conversione in ergastolo e prevede la sostituzione in tutta la legislazione congolese di ogni riferimento alla pena di morte con le parole “reclusione a vita”.
L’ultima esecuzione in Togo risale al 1978, mentre l’ultima condanna a morte risale al 2003.
Al momento dell’abolizione, i detenuti nel braccio della morte togolese erano almeno sei. (Fonti: Xinhua, 23/06/2009; BBC, 24/06/2009

domenica 21 giugno 2009

Risposta a Luigi Pavone sulla privatizzazione della scuola dell'obbligo

Caro Luigi,
scrivendo "lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato” esprimo la preferenza (liberale, liberista e taoista) per uno Stato che imponga il meno possibile. Riguardo le letture sui monopoli ti consiglio di iniziare con un qualsiasi manuale di microeconomia. Il testo su cui ho studiato io è "Introduzione alla microeconomia" del professore Salvatore Vinci, poiché quel pazzo del professore Sebastiano Impallomeni pensa, giustamente, basti. L'editore è Liguori. Ti consiglio poi un qualsiasi testo di scienza delle finanze, relativamente al concetto di "bene pubblico" in economia ed alla questione se, in che senso ed in che grado l'istruzione sia bene pubblico in senso economico. Il testo su cui ho studiato è quello a cura di Paolo Bosi, "Corso di Scienza delle finanze", casa editrice il Mulino.
Nell'attesa che tu possa farti questa minima conoscenza della scienza economica posso comunque farti notare che le strutture educative chiamate scuole hanno caratteristiche tali che chi li realizza, in regime privatistico, ottiene rendimenti marginali crescenti ovvero costi medi decrescenti. Le attività economiche in queste condizioni hanno costi d'investimento talmente alti che può sostenerli solo un offerente unico, ovvero siamo in un caso di monopolio naturale! Se ti interessa la dimostrazione rinvio ai manuali di microeconomia.
Puoi dirmi che la scuola non rientra in quelle condizioni ed allora continuo a chiederti di che scuola parli, poiché il regime che prefiguri non è un regime totalmente privatistico, visto che parliamo ora di scuola dell'obbligo. Vi devono essere delle caratteristiche previste dalla legge affinché una scuola sia considerata legale (e quindi io mandando mio figlio in tale scuola non venga perseguito) o non legale (e quindi mandandovi mio figlio io venga perseguito). Quali sono queste minime caratteristiche? Se non me le esponi difficilmente posso dirti se sono o meno d'accordo ad un tale regime.
I costi per "aprire una clinica" non sono "argomento contro la sanità privata", bensì argomento a favore dell'intervento pubblico, se riteniamo la salute bene da tutelare politicamente. Qui stiamo accettando la scuola dell'obbligo, ovvero riteniamo che l'istruzione sia bene da tutelare politicamente. Ciò non è contro le scuole private, bensì a favore dell'intervento pubblico, innanzi tutto a favore dell'obbligatorietà stessa e poi della garanzia pubblica che le scuole siano accessibili in tutto il territorio ed a tutta la popolazione.
I sussidi di disoccupazione rendono il mercato del lavoro di certo differente da un mercato senza sussidi. Il mercato del lavoro (qui faccio riferimento sia alla microeconomia che alla macroeconomia) è mercato come quello di qualsiasi altro bene. Chi usufrisce del sussidio sarà meno disponibile al lavoro (meno domanda di lavoro si chiama in economia) e per realizzare i sussidi bisogna in qualche modo finanziarli, ad esempio con l'imposizione (che ha le sue conseguenze economiche). Tutto ciò fa parte di un'economia non totalmente liberista, per definizione. In teoria anche il settore alimentare può morire in un'economia liberista, se ognuno produce da sé, nel proprio orto, gli alimenti, ad esempio, quindi i "morsi della fame" non hanno nulla a che vedere con l'obbligatorietà per legge di comprare un bene o un servizio. A proposito di istruzione, sono sempre a tua disposizione per lezioni private di economia o scienza delle finanza.
Ciao,
Massimo

giovedì 18 giugno 2009

Tre sì ai quesiti referendari

Tratta dal sito www.referendumelettorale.org
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LETTERA AGLI ELETTORI
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Ti diranno che è inutile. Ma invece il 21 giugno è una data che potrebbe cambiare la storia del Paese.
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Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali, scrive agli italiani
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Lettera agli italiani
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Cara elettrice, caro elettore,
il 21 e 22 giugno siamo chiamati a votare per il referendum elettorale.
La politica scommette sul fatto che non andrai a votare. Che andrai al mare pensando di dar loro uno schiaffo.
Io capisco la tua indignazione, la tua rabbia, la tua rassegnazione. Tutti abbiamo la tentazione di pensare che mai nulla cambierà e che l’unica cosa che possiamo fare è quella di arrangiarci e non pensare alla politica. Almeno così non ci facciamo il sangue amaro. Tante volte ho pensato anch’io che la lotta sia impari e che non avremo mai la meglio sulle tante schifezze quotidiane a cui dobbiamo assistere.
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TI DIRANNO CHE E'INUTILE. MA INVECE IL 21 GIUGNO E' UNA DATA CHE POTREBBE CAMBIARE LA STORIA DEL PAESE.
Molti politici ti dicono che è un referendum inutile. Altri che tutti i referendum sono inutili.
E tu sarai tentato di dar retta alla tua rabbia e al tuo disgusto disertando le urne come estremo atto di protesta. Ma così, purtroppo, farai il loro gioco.
Perché se il referendum fallirà tutto resterà esattamente come prima. In questo caso non è come alle politiche. Non votare non è uno sfregio alla politica, ma è una resa di noi cittadini. Per questo sono in tanti i politici che ti invitano a non votare.
Ti sei mai chiesto perché di questo referendum si parla così poco? Del perché nessuno ti spieghi esattamente di cosa si tratta? Del perché, in questi mesi chi ha promosso questo referendum è apparso così poco nelle trasmissioni televisive? E’ molto semplice: perché se non sai che ci sarà un referendum e non sai di che cosa si tratta, è molto più probabile che tu non vada a votare. E tutto resterà come prima.
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CHI SONO ED IL PERCHé DI QUESTA INIZIATIVA
Mi chiamo Giovanni Guzzetta ed ho promosso, insieme ad altri 820 mila cittadini, questo referendum.
Sono nato in Sicilia e cresciuto a Roma. Ho 43 anni. Insegno all’Università. Ho due figli, Francesco e Silvia, di 11 e 9 anni. Non sono mai stato iscritto ad un partito politico, ma credo profondamente nell’importanza della politica per la vita di tutti noi.
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LA POLITICA DECIDE COMUNQUE DELLA NOSTRA VITA. ANCHE SE NOI DECIDIAMO DI NON INTERESSARCENE
Oggi la politica decide dove deve andare gran parte di tutto quello che guadagno ogni anno. Decide com’è la scuola dei miei figli, gli ospedali dove ricoverarmi, quale sarà la mia pensione, come sono i servizi cui, come cittadino, ho diritto. E non riesco ad accettare di non contare nulla.
Penso che l’Italia si meriti di più. E se non faccio qualcosa adesso, tra dieci o quindici anni i miei figli saranno tentati di andare fuori dell’Italia per trovare un lavoro migliore, servizi migliori, pensioni migliori, opportunità migliori. E torneranno in Italia in vacanza con qualche volo Ryanair.
Penso che l’Italia sia un grande paese e non voglio che i miei figli abbiano la tentazione di cercare altrove i riconoscimenti e le opportunità cui ogni persona ha diritto.
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AL MOMENTO, LE REGOLE DELLA POLITICA HANNO ZITTITO COMPLETAMENTE LA VOCE DEI CITTADINI
La politica Italiana ha due macroscopici problemi. E la legge elettorale contro cui abbiamo promosso il referendum ne è la principale causa. Il primo problema è che noi non scegliamo più persone, ma solo simboli di partito. I parlamentari sono tutti nominati. Il merito è mortificato. E se il merito è mortificato nella politica, che dovrebbe essere il motore dello Stato, lo sarà ancora di più nel resto della società: nelle professioni, nel lavoro, nell’università, nei partiti.
L’altro grande difetto della politica è che oggi siamo governati da coalizioni di partiti. Nelle quali i partiti minori minacciano, ricattano, cercano visibilità e tengono per il collo gli alleati.
Lo abbiamo visto nella scorsa legislatura con il Governo Prodi, ma lo abbiamo visto anche in questa. Il governo ha buttato via 330 milioni di euro perché la lega ha impedito che si facesse l’election day accorpando il referendum alle europee. Malgrado il dramma del terremoto, malgrado lo stato in cui versano gli apparati di pubblica sicurezza, malgrado la crisi.
Il referendum riguarda questi due problemi.
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CHE COSA PUO' SUCCEDEDERE CON IL TUO VOTO
I primi due quesiti stabiliscono che il partito che ottiene più voti degli altri possa governare da solo, senza subire ricatti. E che si trovi di fronte un’opposizione grande, unita, coerente.
E’ quello che succede nelle grandi democrazie. Si chiama bipartitismo. Ma ve lo immaginate Obama che va in televisione a dire che non potrà fare una grande riforma perché un alleato di governo minaccia di farlo cadere? Oggi la politica perde gran parte del tempo nelle beghe interne alla coalizione, piuttosto che occuparsi dei problemi del paese e l’opposizione si frantuma nel tentativo reciproco dei partiti di rubarsi a vicenda qualche voto.
Il terzo quesito riguarda le candidature multiple. Quel meccanismo per cui i big si candidano in tutte le circoscrizioni e scelgono loro, dopo le elezioni, quali dei trombati nominare al proprio posto. Nello scorso parlamento i trombati ripescati sono stati più di un terzo dell’intero parlamento.
Credo che una politica migliore sia possibile. E credo che lo sia stato ogni qual volta i cittadini hanno fatto sentire la propria voce.
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L’UNICA ARMA E' IL REFERENDUM
Vogliamo una politica più semplice. Meno partiti e più decisioni utili alla gente.
Vogliamo una politica in cui i parlamentari non siano nominati dalle segreterie dei partiti ma scelti dagli elettori.
Vogliamo che i cittadini il giorno delle elezioni possano scegliere il partito che si assume la responsabilità di governarli senza dover fare continuamente compromessi con i ricatti dei propri alleati.
E’ per questo che, insieme a tanti altri, ho deciso di impegnarmi in prima persona. E, da cittadino, insieme a tanti altri cittadini, l’ho fatto con l’unico strumento che la Costituzione ci offre: il referendum.
Certo la politica avrebbe potuto farlo. Ma sono anni che non lo fa e si perde in chiacchiere. Chissà perché? Oggi ci vuole una scossa e con mezz’ora del tuo tempo andando a votare per il referendum puoi contribuire a darla.
Il referendum è l’unico modo per scrollare una politica sempre più chiusa in se stessa e sorda ai bisogni delle persone.
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SE ANDRAI A VOTARE DETERMINERAI UN CAMBIAMENTO CHE NESSUNO SI ASPETTA. E DALLE SEGRETE STANZE DEI PARTITI DOVRANNO FARE I CONTI ANCHE CON TE
Il 21 e 22 giugno, se tu vincerai la tua disillusione e andrai a votare, potrai essere il protagonista di un cambiamento che oggi nessuno si aspetta. Potrai dimostrare a quanti dispongono della tua vita nel chiuso delle loro stanze che anche tu puoi essere determinante. E il giorno dopo, loro dovranno fare i conti con l’Italia dei suoi cittadini. Un’Italia di donne e uomini liberi e di carattere. Che ricordano la grandezza del nostro ingegno e la passione dei nostri sentimenti.
Perché domenica a vincere sia quella Italia, il paese in cui orgogliosamente crediamo, è necessario agire.
E se a convincerti non basta ciò che tu pensi di tanti politici, rifletti su quello che la politica pensa di te, in che conto ti tiene, come ti considera.
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ADESSO L’INFORMAZIONE è TUTTO. PASSAPAROLA!
Facciamo un tam tam tra amici e conoscenti. Perché l’informazione sarà poca e la nostra unica risorsa siamo noi stessi.
Passaparola!
Manda questa mail o un SMS a quante più persone conosci e fatti anche tu promotore di questa riscossa. L’Italia si merita di più.
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Giovanni Guzzetta
Presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali

martedì 16 giugno 2009

Il governo iraniano reprime anche l'informazione

Il governo iraniano sta reprimendo anche l'informazione. Il giornale del candidato ufficialmente sconfitto Mousavi è stato bandito. Il quotidiano riformista Sarmayeh ha scritto che domenica la polizia ha fatto irruzione nella sede del giornale, ha ha effettuato una perquisizione ed ha sigillato l'edificio. Sempre secondo Sarmaye, anche il giornale Velayat è stato costretto a sospendere la pubblicazione. Quest'ultimo provvedimento sarebbe legato alla pubblicazione di una caricatura. Già sabato mattina il giornale Asr Eghtesad era stato censurato poiché intendeva titolare «Il verde della primavera prosegue», con riferimento al colore del partito di Mousavi. Da domenica in Iran è vietato accedere a YouTube, dove erano stati pubblicati gli scontri a Teheran ripresi con i telefonini. Sono stati colpiti anche i giornalisti stranieri. La tv pubblica spagnola Tve è stata cacciata dall'Iran dopo avere trasmesso servizi sulle manifestazioni di protesta.

domenica 14 giugno 2009

Appello antirazzista di Spazio Lib-Lab

UNA RAZZA SOLA: QUELLA UMANA.

Il testo che segue esprime la grave preoccupazione di “Spazio Lib-Lab” per i recenti indirizzi adottati dal Governo Italiano in tema di immigrazione e diritti umani, che consolidano una lunga serie di provvedimenti legislativi ed amministrativi, di atteggiamenti e comportamenti gravemente lesivi dei più elementari diritti umani.
Chiediamo a chiunque ritenga di poterlo condividere, di diffonderlo e sottoscriverlo come indicato in calce al documento stesso.

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La recente “svolta” voluta dal ministro (leghista) dell’Interno Roberto Maroni, e trasformata dal presidente del Consiglio in precisa volontà politica, offende i diritti naturali ed inviolabili dell’uomo, quali riconosciuti dalla Comunità Internazionale, ed oltraggia la nostra storia.
E, una volta ancora, vincola, per contrasto, tutte le forze politiche che facciano propria una visione liberale dei diritti ad un programma preciso: quello di schierarsi a difesa delle Convenzioni Internazionali, della Costituzione, della civiltà europea, del diritto di qualsiasi uomo alla vita, alla sicurezza, al vivere in pace, alla salute, alla propria visione culturale, alla possibilità di progredire.

Un “richiedente asilo” è colui che è fuori del proprio paese e presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Fino al momento della decisione finale da parte delle autorità competenti, egli è un richiedente asilo, ed ha diritto di soggiorno regolare nel paese di destinazione. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità, o in maniera irregolare, attraverso i cosiddetti ‘flussi migratori misti’, composti cioè sia da migranti irregolari, che da potenziali rifugiati.
Questa è la definizione di “richiedente asilo” che ne dà la “Carta di Roma”: un fondamentale documento approvato dall’Ordine Italiano dei Giornalisti per promuovere una corretta informazione su una materia delicata come l’immigrazione. Tale definizione si fonda a sua volta su quella datane dalla Convenzione di Ginevra del 28 Luglio 1951, che qui si riporta:
“chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”.

E’ essenziale, in questo testo, l’attenzione alla volontà individuale, sottolineata dai concetti di “timore” e di “volontà”. La risposta alla “richiesta di protezione” da parte delle autorità del Paese cui questa richiesta è rivolta, va quindi data sulla base del fatto che il “timore” sia o meno “giustificato”. Questa definizione fu data nel 1951, quando i problemi erano ben diversi da quelli attuali; ma, a maggior ragione, spicca la lungimiranza di tale dichiarazione. La fuga di intere popolazioni dai Paesi di origine ha sicuramente, per molti, motivazioni economiche. Ma per non pochi altri la motivazione sta nel fatto che in non poche parti del mondo, a molti non sono assicurate le minime condizioni di esistenza, per effetto diretto od indiretto di conflitti tribali, dittature, governi fondati sull’appartenenza etnica, situazioni di violenza endemica, persecuzioni religiose e razziali.

Queste definizioni mostrano quanto siano deboli e miserabili, oltre che ipocrite, le argomentazioni rese dal presidente del Consiglio, secondo il quale verrà accolto “solo chi ha le condizioni per ottenere l’asilo politico“. Non si comprende infatti come sia possibile accertare la sussistenza dei necessari requisiti se, a partire dalle acque internazionali, si rispediscono indietro le imbarcazioni senza aver loro consentito di toccar terra, ed avendo evitato di accertare se esse trasportino o meno richiedenti asilo, e con quali motivazioni.
E l’ipocrisia raggiunge il culmine quando si afferma che, dopo aver respinto a partire dalle acque internazionali i potenziali “richiedenti asilo”, cosa ne avvenga dopo non è più cosa che riguardi lo Stato Italiano, in quanto sarà poi la democratica Libia ad occuparsi della faccenda. Con quali garanzie per i diritti umani ed individuali è facile immaginare.
Occorre a questo punto ricordare come gran parte di questi “migranti”, provenienti dall’Africa sub sahariana, già sono transitati per la Libia, Paese al quale si sono ben guardati dal rivolgere richiesta di asilo. In quali condizioni si sia svolto quel viaggio, vien reso noto dai racconti degli scampati; o meglio, da quanto di questi racconti riesce a filtrare sulla stampa, come fu dopo il caso della Pinar; ma è cosa ben nota alle Organizzazioni Internazionali ed ai Governi che fingono di non sapere. Si tratta di gente che è stata sistematicamente depredata di tutto, violentata, obbligata a prestare il proprio lavoro o il proprio corpo pur di andar avanti nell’esodo transahariano verso Nord.
Ritenere che in quel paese, ed in quelle condizioni, possa venir accertato lo “status” di rifugiato, in modo sia pur severo, ma giusto, è solo ipocrita utopia. Gli oggetti dei “respingimenti” italiani saranno destinati ai campi di concentramento libici, finanziati in parte dall’Italia, nei quali è regola la sottoalimentazione, usuale la violenza, e non infrequente il decesso. Ed ai quali non hanno accesso le Organizzazioni Internazionali, anche perché l’amica Libia non ha mai aderito ad alcuna convenzione al riguardo. I respinti dall’Italia finiranno con l’aver di fronte a sé due sole alternative: venir ulteriormente “respinti” nei Paesi dai quali sono partiti, con quali conseguenze è facile immaginare, o restare come schiavi in Libia.
Rinverdendo così le tradizioni schiavistiche dell’Africa berbera e poi islamica nei confronti dell’Africa nera. E, giustamente, Laurens Jolles, delegato dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha richiamato l’Italia alle sue responsabilità che, a questo punto, non sono più solo morali, ma anche giuridiche.

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Ma alla radice, vi è un’altra questione. Ed è il fatto che si teme che l’Italia venga “contaminata” culturalmente e razzialmente. Il capo del governo lo ha detto chiaramente: “la sinistra ha aperto le porte ad una idea che era ed è quella di un’Italia multietnica. Noi abbiamo un’idea diversa”. Emerge qui, con brutalità, uno dei noccioli del problema; il principale.
E’ una visione gretta e strabica, per la quale il riconoscimento di diritti ad un altro comporterebbe la riduzione dei propri: è lo stesso concetto che viene utilizzato per negare diritti alle coppie di fatto, dal cui riconoscimento giuridico deriverebbe, secondo questa visione, la riduzione dei diritti della famiglia tradizionale. A base di questo ragionamento sta la concezione della diversità come pericolo per l’organizzazione sociale. Si motiva e precisa così il rifiuto di un’Italia multietnica, in quanto questa distruggerebbe l’identità culturale e religiosa degli italiani. Il mantenimento di quest’identità richiederebbe, secondo questa visione, la non-presenza dei “diversi”, o quanto meno il loro isolamento in un ambito giuridicamente delimitato e subordinato, e la loro esclusione dalla sfera dei diritti.
A motivare questo atteggiamento vengono addotte diverse argomentazioni: da quelle brutalmente e francamente razziste, ad altre più subdole, ma altrettanto razziste nel metodo e nelle conclusioni, come quella della non integrabilità ed incompatibilità di culture troppo “diverse”.
Ma predomina, come argomentazione ormai trasferita dall’inconscio alla cultura ed alla politica del Paese, quella della richiesta di sicurezza che arriva dalla società italiana, dopo aver per anni fomentato sui media la psicosi dell’identificazione dello straniero proveniente da alcune aree del mondo come persona strutturalmente predisposta al crimine per motivi di DNA; e l’esser straniero, non necessariamente extracomunitario, è diventata automatica presunzione di sospetto in ogni indagine di polizia giudiziaria.

La questione della sicurezza, che è questione generale, e che riguarda tutti i residenti nei confini della Repubblica, viene così ad identificarsi con la questione della lotta all’immigrazione, clandestina o meno che sia, motivata o meno che sia dalla richiesta di asilo, in base al troppo facile sillogismo: meno immigrati vuol dire meno delinquenti.
E si pensa così di poter risolver la questione col sigillare le frontiere, negando l’applicazione dei principii umanitari universalmente riconosciuti, ed applicando una sistematica negazione dei più essenziali diritti, sino a configurare, in certe aree del Paese, punte di sistematiche ed oltraggiose politiche di apartheid, che riguardano anche gli immigrati “regolari”. La giusta richiesta della conoscenza della lingua, delle leggi, che molte altre democrazie applicano sì, ma in modo inclusivo, mettendo a disposizione degli immigrati strumenti educativi e formativi, diviene in Italia strumento e motivazione di esclusione, non essendo disponibile nel nostro Paese alcun canale di integrazione culturale; che d’altra parte, oramai si dichiara apertamente di voler impedire.

Il recente varo del DDL “sicurezza” esemplifica bene questa situazione.
I CIE, ex CPT, nei quali la sostanziale detenzione durerà sino a 6 mesi, non sono posti nei quali agli internati, senza distinzione di status tra richiedenti asilo, irregolari appena arrivati, o “sans papiers” inviativi successivamente al loro arrivo in Italia, si insegni alcun rudimento della lingua e delle leggi italiane: sono soltanto carceri in attesa del carcere, quello vero, o dell’espulsione, nelle quali viene fornita un’assistenza sanitaria carente, nessuna assistenza o consulenza legale, un’alimentazione insufficiente, nessun rispetto.
La negazione di diritti diviene evidente; ed è stato messo in moto, benché attenuato rispetto alle proposte iniziali, un meccanismo in base al quale qualsiasi immigrato tenderà ad evitare il più possibile il contatto con ogni forma di struttura pubblica, vedendovi il rischio della denuncia. Ne seguirà, inevitabilmente, lo sprofondare nell’arcipelago illegale o criminale, del lavoro nero, dell’affitto nero, del fornir bassa manovalanza alla criminalità.

Tutto ciò colloca l’Italia in una posizione anomala rispetto al resto d’Europa dal punto di vista del rispetto delle Convenzioni Internazionali e del rispetto dei diritti umani, quali generalmente riconosciuti in tutto il mondo civile. Oltre a questo, quella del governo italiano è una posizione che confligge con la storia del nostro Paese e con quella europea.
Sarebbe opportuno ricordare che l’intera l’Europa, ed anche i singoli Paesi che la compongono, hanno forti caratteri multietnici: che sia per effetto di invasioni pacifiche o no, lontane o vicine nel tempo, per effetto di scambi commerciali, di lavoro, di trasferimento dei produttori di cultura, l’Europa che noi conosciamo è andata costruendosi sulle contaminazioni, etniche e culturali, e l’Italia non è da meno. E non è inutile, al riguardo, ricordare l’epopea della nostra emigrazione.
A tal proposito, giova ricordare che nel resto d’Europa nessun governo, di destra quanto si vuole, si oppone alla “società multietnica” in quanto tale. Si prenda, per esempio, la Germania del cancelliere Angela Merkel, le cui politiche sull’immigrazione, conformemente alla linea politica della Grosse Koalition, sono sempre state finalizzate all’inclusione.

Ma anche all’interno di un quadro generale che, in Europa, sta attuando misure molto restrittive nei confronti dell’immigrazione, l’interpretazione del governo italiano resta del tutto preoccupante, in quanto non viene motivata dalla preoccupazione per le difficoltà economiche e sociali che indubbiamente forti flussi immigratori pongono, ma viene motivata e gestita come una questione “razziale”. Il “non vogliamo una società multietnica”, detto dal Capo del Governo, e non da un manifestante di destra, significa questo.
La recente “svolta”, sancita dal pieno avallo del governo lascia presagire involuzioni che devono destare la massima preoccupazione in chiunque abbia a cuore i diritti. Non solo i diritti dei migranti: i diritti di tutti.

Vogliamo, al riguardo ricordare la lapidaria parola che Albert Einstein, arrivando negli USA come esule dalla Germania nazista in quanto ebreo, ebbe a scrivere sul modulo dell’Ufficio Immigrazione ove veniva richiesto di indicare la propria razza: “UMANA”.

Alla cultura della purezza etnica, che ha ben tristi e dolorosi precedenti, occorre opporre una visione aperta ed inclusiva, fondata sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri e non sulla carità. Tra diritti e carità vi è la differenza sostanziale che i primi sono relativi all’uomo in quanto soggetto giuridico cosciente ed autonomo; la seconda, all’uomo in quanto essere vivente. Nel clima di indistinto disprezzo che oggi circonda chiunque provenga da determinate aree geografiche o appartenga a determinate etnie, le posizioni che la Chiesa Cattolica ha assunto al riguardo non sono da sottovalutare. Ma carità od assistenza non fanno di un essere umano un Uomo, quando non siano accompagnate dall’attribuzione di diritti e doveri, e dalla consapevolezza degli stessi.

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Resta, ovviamente, il “che fare?”.
L’unica nota di realismo che arrivi da questo Governo sta nell’affermazione che il peso della questione dell’immigrazione, clandestina o motivata con la richiesta dello status di rifugiato, non possa venir fatto gravare solo sui Paesi più vicini alle coste africane: Spagna, Italia, Malta, Grecia. Su questo, siamo d’accordo.
La questione dell’immigrazione sarà uno dei temi centrali degli anni a venire: il volerla contrastare combattendola frontalmente alle frontiere e negando diritti all’interno è pura utopia, che non risolve il problema, e creerà solo le condizioni per uno scontro di civiltà tra i ricchi ed i poveri del Mondo Antico ed il conflitto interno tra i poveri e gli ancor più poveri.
E le politiche di negazione dei diritti essenziali e dell’integrazione non potranno portare ad altro risultato che a quello di alimentare le fila del disadattamento sociale, dei fondamentalismi anti-occidentali, dell’illegalità, della criminalità.

Nel dibattito europeo, più che in Italia, esiste lo spazio, politico e pubblico, per rappresentare con forza e saldare tra loro i temi dell’inclusione, del rispetto dei diritti e dei principii internazionalmente riconosciuti, della libertà di culto, della laicità, del rispetto delle regole democratiche. E per individuare soluzioni comuni e condivise, che tengano conto delle difficoltà che un’immigrazione di massa crea, ma che non fondino sul principio razziale gli interventi che si dovranno adottare per governare il fenomeno.
Perché non c’è alcun dubbio che questo fenomeno vada controllato e governato, in maniera omogenea in tutta Europa, per l’elementare ragione che la logica delle barriere non regge sul medio periodo, e non è neanche pagante. E per il fatto che questa logica inutile non può essere adottata se non facendo ricorso a misure anti-umane che, in quanto tali, non possono trovar altra premessa che quella della presunzione dell’inferiorità razziale ed altro criterio che quello della separazione razziale.
E’ quest’ultima, purtroppo, la strada imboccata dal governo italiano, ed è questo il punto essenziale che ci distingue dal resto d’Europa. Dove, invece, il fenomeno, pur essendo regolamentato e, in alcuni casi, contrastato a causa delle conseguenze economico-sociali che esso produce, e delle quali un qualsivoglia governo non può non tener conto, non viene visto dai governi in termini di appartenenza razziale.

Non si tratta di “aprire” le frontiere a chiunque voglia entrare in Europa.
Si tratta invece di:

1- trattare chiunque nel rispetto pieno delle Convenzioni Internazionali e più generalmente, della dignità e dei diritti umani.
2- Distinguere, anche nei CIE, tra “richiedenti asilo”, internati in attesa di espulsione, e recidivi.
3- Allargare le condizioni per la legalizzazione.
4- Agire contro le organizzazioni che gestiscono il traffico dei “clandestini” e contro coloro che ne sfruttano il lavoro, lecito o illecito che sia.
5- Fornire a chiunque arrivi in Italia la possibilità di avere a disposizione adeguati strumenti per la propria tutela: da un minimo di conoscenza della lingua, alla possibilità di avvalersi di idonea assistenza legale.
6- Non rifiutare ad alcuno, regolare o no che sia, la possibilità di accedere ai servizi pubblici essenziali: sanità, istruzione, giustizia; quella di poter creare ed allevare famiglie regolari; e quella di accedere al lavoro regolare.

Istanze, queste, che devono essere portate e rappresentate anche in Europa per dire con forza al mondo civile che, con buona pace dei sondaggi citati dal cavaliere, esiste una parte grandissima dell’Italia che sceglie la civiltà contro la barbarie.
Un’Italia che crede in una visione diversa dell’immigrazione. Consapevole che una buona integrazione richiede lunghi e pazienti sforzi per venir costruita, e che non è possibile veder risultati nel breve termine. Ed altrettanto certa che quella che si sta seguendo non è la via giusta per costruire: l’integrazione si fonda su diritti e doveri riconosciuti, e nel dir questo siamo certi di non peccare d’ingenuità.
Sappiamo benissimo, infatti, che molti immigrati, arrivati in Italia, cadono nella spirale del crimine. Ma questo avviene in primo luogo perché le prime e più efficienti agenzie che si occupano della loro “accoglienza” sono le organizzazioni criminali, di matrice italiana e non.
Contro di queste occorre agire, con severità e determinazione. La “cattiveria” auspicata dal Ministro dell’Interno Maroni non va riservata agli indifesi, ma a coloro che traggono vantaggio dalla condizione di soggezione nella quale questi si trovano a causa della negazione di diritti e di qualsiasi possibilità di integrazione che viene loro riservata.
Le prime vittime di questa situazione, in Italia, sono gli onesti, ai quali viene sistematicamente resa la vita impossibile: poche possibilità, lavoro nero, sfruttamento, abitazioni fatiscenti, segregazione, difficoltà di praticare le proprie religioni.

Ed occorre, al riguardo, osservare che queste condizioni, ed il clima di “apartheid” che si è creato nel Paese, non fanno alcuna distinzione tra immigrati “regolari” ed “irregolari”. Il negare la costruzione di una moschea, così come il proporre la segregazione sui vagoni della Metropolitana di Milano, non fanno distinzioni al riguardo: ciò offende e nega diritti agli uni come agli altri.
Da tutti, lo Stato Italiano, deve esigere il rispetto incondizionato della propria legge penale, civile, fiscale. Da tutti, la società italiana deve esigere il lavoro e la partecipazione all’economia del Paese.

Ma, se si vuole questo, si devono creare le condizioni minime perché ciò possa avvenire.


PierPaolo Caserta, Gim Cassano, (16-05-2009)
Loredana Acanfora, Francesco Ancona, Associazione per il Libero Pensiero (Viterbo), Amedeo Bellini, Guido Bertrando, Andrea Bitetto, Giuseppe Cappelli, Maria Luisa Cascella, Marianna Coco, Barbara Codispoti, Simonetta Cormaci, Comitato Piero Gobetti, Cinzia Dato, Giovanni De Medici, Francesca Gallo, Marzia Gelardi, Maurizio Giancola, Nino Gulisano, Ciro Lattero, Enrico Lecis Cocco-Ortu, Andrea Liberati, Maria Carmela Liggieri, Roberta Lucarelli, Enzo Marzo, Annalisa Mauro, Nello Mazzone, Ignazio Monaco, Pietro Muraglia, Monica Musri, Giancarlo Nobile, Ernesto Paolozzi, Paolo Patanè, Aldo Penna, Costanza Pera, Saro Pettinato, Sandro Picciola, Raffaele Prodromo, Beatrice Rangoni Machiavelli, Eliana Rasera, Maurizio Scarano, Enzo Strazzera, Roberta Tescari, Luigi Tardella, Maria Gabriella Tinè, Gianluca Ursini, Francesco Velo, Cristina Vietti, Ugo Vietti, Francesco Verducci, Olimpia Volpe, Maria Zaniboni, Valerio Zanone.


Chi, individuo o soggetto collettivo, intenda dare la propria adesione al testo che precede, può farlo inviando al seguente indirizzo: unasolarazza@gmail.com un messaggio contenente nome e cognome ed indirizzo e-mail; e, se lo ritiene, indirizzo e n° di telefono.