lunedì 27 luglio 2009

Tante religioni sono rami dello stesso albero

La Verità contiene tutto l'esistente. L'umiltà religiosa così come la laicità razionale mi impongono di affermare che non posseggo la Verità, ma essa mi possiede, pur se ho sentore della sua esistenza e pure il principio di non contraddizione mi conduce a pensare alla sua esistenza.
Ho comparato da quando ero bambino le religioni del filone abramitico con quelle persiane, quelle indiane, quelle cinesi e pure con ciò che so dell'animismo africano, americano precolombiano ed oceanico per non contare le tradizioni morali classiche dell'Occidente e le religioni politeistiche delle grandi civiltà ormai defunte. In ognuna di esse esiste il principio di fare agli altri ciò che si vuole gli altri facciano a noi, variamente espresso. Non ho mai affermato che un entità sovrannaturale ci fornisca la morale. Riguardo al bene, esso è variamente interpretato, ma l'umiltà e l'antiidolatria mi impongono proprio il rispetto di questa varietà e quindi per me non c'è reale distinzione tra laici e credenti, bensì tra liberali e non! Gesù non ha mai detto di impedire che gli altri compiano il male, specialmente se tale male ricade direttamente solo su chi lo compie! Le gerarchie clericali hanno preferito il potere al Vangelo! I testi sacri per me non lo sono affatto in sé stessi, ma la loro sacralità dipende dalla capacità di amare di chi li legge. Le "pagine più brutte e inumane" dei testi sacri parlano, nella mia interpretazione gandhiana, dei nostri sentimenti, delle battaglie che si svolgono nei nostri cuori. Non mi scandalizzano così le contraddizioni, poiché non leggo tali testi come testi scientifici o filosofici.

13 commenti:

luigi ha detto...

Se ho capito bene: la Verità (ma bisognerebbe usare una diversa stringa di lettere, perché a me sembra che l'uso della parola "Verità" sia un altro, vedi uno dei miei commenti alla tua dichiarazione di fede, per esempio Verità* o VERITA') è l'insieme di tutte le cose esistenti, l'insieme di tutte le cose esistenti contiene tutte le cose esistenti, io sono un membro della Verità* e non viceversa. Fin qui tutto chiaro. Ma la Verità* contiene sé stessa?

Lo studio comparitivo delle religioni può essere qualcosa di molto interessante, soprattutto se oltre alle convergenze si soffermi anche sulle diversità. Comunque, a me non risulta che in tutte le religioni sia contenuto il princio secondo cui bisogna "fare agli altri ciò che si vuole gli altri facciano a noi", anche perché non mi pare proprio sia uno dei precetti cristiani. In ogni caso, la mia opinione è che si tratti di un principio che bisogna rigettare in quanto ingenuamente fondato sul presupposto secondo cui ciò che giudichiamo bene per noi sia bene anche per gli altri.
ù
di fare agli altri ciò che si vuole gli altri facciano a noi

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
riguardo la questione che poni, ovvero se la Verità (spero non ti offendi se non cambio la stringa) contenga sé stessa, mi pare si possa rispondere di no, poiché la natura degli elementi e dell'insieme in questione è diversa.
Mi soffermerò pure sulle differenze tra le religioni. Il principio espresso dalla massima in questione è stato chiamato "regola aurea" ed è contenuto nella Toràh come nel Vangelo, solo per restare nelle sacre scritture giudaico-cristiane. Per ciò che riguarda le scritture greche cristiane:
Matteo 7,12: “Fate anche agli altri tutto quel che volete che essi facciano a voi: così comanda la legge di Mosè e così hanno insegnato i profeti “.
Luca 6,31: ” Fate agli altri quel che volete che essi facciano a voi “.
Il testo va interpretato di certo non alla lettera.

luigi ha detto...

Tu hai definito Verità* (è importante cambiare la stringa delle lettere perché l'uso della parola "Verità" è molto diverso, ed è meglio, quando possibile, evitare la confusione) come l'insieme delle cose esistenti, se adesso affermi che la Verità non contiene sé stessa come elemento, stai affermando la Verità* non esiste, perché se esistesse, non potrebbe non appartenere all'insieme degli esistenti (ma tu hai anche affermato che il principio di non contraddizione conduce alla affermazione della sua esistenza). A proposito del precetto che bisogna "fare agli altri ciò che si vuole gli altri facciano a noi", ho affernmato che non mi risulta che sia un precetto contenuto in tutte le religioni, e che in ogni caso è sbagliato. E' sbagliato, per due ragioni: la prima è che il giudizio di ciò che è bene per me non necessariamente coincide con ciò che si vuole gli altri facciano a me, infatti posso giudicare male per me fumare, ma volere che gli altri mi facciano fumare. La seocnda ragione è che non necessariamente ciò che è bene per me e anche bene per gli altri. Se è vero, ma a me non risulta (data la mia ignoranza in materia), che tutte le religioni lo contengono come regola aurea, mi pare che le religioni si possano tranquillamente mettere da parte, almeno per quanto riguarda la morale.

luigi ha detto...

Il precetto di cui sopra non sapevo fosse un precetto cristiano. Sul fatto che lo sia, mi hai convinto. Un motivo in più per non essere cristiani.

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
per insieme delle cose esistenti, per essere precisi, come piace a te, intendo l'insieme delle cose che si trovano nello spazio-tempo. L'insieme in questione esiste, essendo composto da cose esistenti, pur non essendo nello spazio-tempo, poiché lo spazio-tempo è in esso. Quando si parla di esistenza dell'insieme in questione, quindi, si intende qualcosa di diverso dall'esistenza degli elementi che lo compongono.
Riguardo la regola aurea, ripeto, non va interpretata alla lettera.

luigi ha detto...

Continuo ancor più a non capire il pregio teologico della nozione di Verità*. Allora, la Verità* non "contiene tutto l'esistente", ma solo gli oggetti spazio temporalmente collocati, quindi ad essere precisi ciò che di me la Verità* possiede è solo il mio corpo. la Verità* non riguarderebbe nemmeno i numeri, nemmeno le proposizioni, i pensieri, l'essere e il non-essere, l'insieme delle banane o l'insieme dei cinesi. Comunque, il principio di non contraddizione non potrebbe più indurci (come tu hai precedentemente affermato) a pensare alla sua esistenza. Infatti, che cosa c'è di contraddittorio in un insieme vuoto di cose spazio-temporalmente collocate? Ti ricordo inoltre che tu continui a chiamare Verità* qualcosa che potrebbe essere chiamato anche "Giovanni". Se invece si decide di chiamarla Verità*, si stabilisce un legame semantico con la nozione ordinaria di verità che francamente, soprattutto alla luce di questa nuova uscita a proposito delle cose spazio-temporalmente collocate, mi sfugge.

Quanto al precetto in questione, qual è la sua corretta parafrasi?

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
non ho scritto che la Verità (amo la confusione, come quel demone che qui nel blog ha voluto scrivere la sua opinione, e continuo ad utilizzare questa parola così come la vedi scritta) contiene "solo gli oggetti spazio temporalmente collocati", bensì ho scritto "l'insieme delle cose che si trovano nello spazio-tempo", intendendo per "cose" non soltanto gli oggetti tangibili, ma ogni cosa, concreta o astratta che sia, che non riusciamo a concepire se non nello spazio-tempo. La seconda guerra mondiale, ad esempio è nello spazio-tempo e così il matrimonio di due tuoi antenati. Pure i numeri li vedo nello spazio-tempo, per quanto voglia considerarli giustamente astratti, poiché li penso nel tempo e nello spazio e così "le proposizioni, i pensieri, l'essere e il non-essere, l'insieme delle banane o l'insieme dei cinesi". Se pensare un insieme vuoto di cose spazio-temporalmente collocate per te non è un problema per me lo è, poiché nel tempo e nello spazio questo mio pensiero sarebbe.
Io chiamo Verità (senza nulla che distingua graficamente la parola perché non mi dà fastidio una parola con più significati come accade normalmente nella quotidianità) qualcosa che se così chiamo è perché preferisco che tale parola mi ricordi il valore dell'onestà, pur se non nego che potrebbe benissimo usarsi la parola che preferisci per la definizione che ho qui nel blog dato.

Sulla regola aurea, innanzi tutto vediamo come si presenta in alcune delle più grandi tradizioni morali:
“Quello che tu stesso non desideri, non farlo neppure agli altri uomini”. (Confucio 551-489 a.C.; Dialoghi, 15, 23)
“Non fare agli altri quello che non vuoi che essi facciano a te”. (Rabbi Hiller 60 a.C-10 d.C; Shabbat 31a)
“Nessuno di voi è un credente fino a quando non desidera per il suo fratello quello che desidera per se stesso”. (Islam; 40 Hadithe di an-Nawawi 13)
“L’uomo dovrebbe comportarsi con indifferenza nei confronti di tutte le realtà mondane e trattare tutte le creature del mondo come egli stesso vorrebbe essere trattato”. (Gianismo; Sutrakritanga I 11.33)
“Uno stato che non è gradevole o piacevole per me, non deve esserlo neppure per lui, e uno stato che non è gradevole o piacevole per me, come posso io pretenderlo per un altro?” (Buddismo; Samyutta Nikaya v 353.35-354.2)
“Non ci si dovrebbe comportare con gli altri in un modo che sarebbe sgradevole a noi stessi; questa è l’essenza della morale”. (Induismo; Mahabharata, XIII.114.8)

Sull'interpretazione da dare partirei dalle tue parole. Hai scritto che puoi giudicare che il fumo ti faccia male e pure volere che gli altri ti facciano fumare. Quindi vuoi essere lasciato libero ed ognuno lo vuole (pure chi lo nega a parole). Lasciamo quindi liberi gli altri come vorremmo essere lasciati liberi. Ciò è bene per tutti, ma neppure sempre. Ci sono stati della coscienza alterati o condizioni psicofisiche in cui non è bene essere lasciati liberi e magari quando tali stati vengono superati ringraziamo chi ci ha impedito di fare del male a noi stessi o agli altri. Ciò che vorremmo per noi, quindi, in quelle circostanze, è essere contenuti nella violenza che viene dalla nostra psiche ed anche qui possiamo quindi fare agli altri la stessa cosa che vorremmo per noi. Per chi non ha avuto esperienza di tali stati difficilmente può immedesimarsi in tali casi estremi. Per chi vive al margine tra stati di normalità mentale e stati di disagio simili a quelli di cui sopra il conflitto interiore è grande e magari la consapevolezza del bene dell'essere contenuti dagli altri non c'è, ma c'è sempre se è quando tali disagi vengono superati.
La verità (con la minuscola) in fondo è che il precetto va interpretato nel suo spirito, non nel contenuto letterale. Ci dice di amare le persone con cui veniamo a contatto, di considerarli fini e non mezzi, di trattare gli altri come vorremmo essere gli altri trattino noi. Nessuno vuole essere trattato come fosse un oggetto.

luigi ha detto...

Tu dici che la preferenza per la parola “Verità” (senza asterisco, ma è bene ricordare che l’uso di tale parola esiste già ed è molto diverso da quello che tu proponi) è giustificata dal desiderio di associare al pensiero dell’insieme di tutte le cose che sono nello spazio e nel tempo il valore dell’onestà (non si capisce perché però). Ma il significato ordinario di verità ha molto poco a che fare con l’onestà: la persona intellettualmente onesta dice quel che pensa, ma quel che pensa non è necessariamente vero, né è necessariamente ciò che egli giudica vero: insomma possiamo pensare al vero senza riferimento alla onestà. Se comunque è il valore della onestà che si intende richiamare quando ci riferiamo all’insieme delle cose che sono nello spazio e nel tempo, perché non usare la parola “onestà” e chiamare “Onesto” o “Ernesto” quell’insieme? Dunque ricapitoliamo: prima Ernesto era in possesso di tutto l’esistente, poi, per evitare di contenere sé stesso, si accontenta soltanto delle cose nello spazio e nel tempo. Avvedendosi poi che l’insieme delle cose nello spazio e nel tempo è ben poca cosa, la sua cupidigia, ma anche la sua presunzione di esistere necessariamente, lo porta a fare i capricci e vuole capre e cavoli. Infatti, la coppia astratto/concreto (usato come sinonimo di spazio temporalmente collocato) è tale che una cosa è astratta se e solo se non è concreta, ed è concreta se e solo se non è astratta. Insomma, non esistono cose che sono astratte e concrete. Recentemente questa coppia di concetti è stata sottoposta ad alcune revisioni, ma tali revisioni negano soltanto che l’astratezza e la concretezza siano proprietà essenziali, tali cioè che se un oggetto è concreto o astratto, è necessariamente concreto o astratto. Resta comunque il principio che è impossibile per una cosa essere astratta e concreta nello stesso e tempo e secondo lo stesso riferimento. In ogni caso, pensare l’astratezza e la concretezza come proprietà non essenziali non significa che alcuni oggetti non possano essere necessariamente astratti, è questo, infatti, il caso dei numeri, delle proposizioni, degli insiemi etc. Infatti Ernesto afferma che l’insieme delle cose nello spazio e nel tempo include anche gli oggetti astratti, a condizione di concepirli nello spazio e nel tempo. Che cosa vuoi dire? Dire che una cosa è nello spazio e nel tempo se è concepita nello spazio e nel tempo, può significare almeno due cose: la prima è che io non posso pensare a tale cosa se non trovandomi da qualche parte, devo ciò trovarmi da qualche parte per pensare a qualcosa, ma se è questa la condizione ogni cosa è nello spazio e nel tempo, compreso Ernesto. La seconda, la cosa è pensata essere nello spazio e nel tempo. In questo secondo caso, non esistono oggetti astratti che siano anche concreti, che siano anche nello spazio e nel tempo. Infatti prendiamo il caso delle proposizioni. Dove si trova la proposizione che Ernesto comincia a fare i capricci? Si trova sul mio o sul tuo desktop? Sul mio e sul tuo desktop troviamo solo sequenze di simboli, l’enunciato “Ernesto comincia a fare i capricci”, non la proposizione che Ernesto comincia a fare i capricci, questo è il significato dell’enunciato o del proferimento “Ernesto comincia a fare i capricci”. Gli enunciati e i proferimenti sono nello spazio e nel tempo, le proposizioni no. Così anche i numeri: infatti, che senso ha domandare: dove si trova il numero 2? Il numerale “2” o quello romano “II” possono trovarsi qui o lì, ma il 2 non è concepito nello spazio e nel tempo. Le cose si complicano con i pensieri. Ma anche qui, quando concepiamo i pensieri nello spazio e nel tempo, li concepiamo come implementazioni fisiche dei pensieri. Infatti, quando affermiamo che a letto alcuni pensieri si affacciano, non intendiamo affermare che i pensieri si trovano sul cuscino.

luigi ha detto...

Quanto al precetto di fare agli altri…, tu dici che bisogna parafrasarlo così: Agisci in modo da considerare l’umanità come fine e mai come mezzo. Ma tra il significato del primo e il significato del secondo c’è un abisso che occorre colmare, cercando di essere filologicamente onesti.

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
su Verità, Onesto, Ernesto, Franco, o come vogliamo chiamarlo, mi hai convinto e sei stato pure simpatico.
Sul precetto della regola aurea io mai ho introdotto il concetto di "umanità", bensì ho scritto "altri" o "persone con cui veniamo a contatto", non necessariamente umani, quindi, e comunque intesi nella loro singolarità e concepiti nella relazione, nella comunicazione che veniamo ad avere con lui o lei. Con il termine umanità si finisce per andare in ambiti di significato diversi, ad essere filologicamente onesti come piace a te. Riguardo la differenza tra la regola aurea del Vangelo e quella secondo la quale bisognerebbe trattare gli altri come fini e non come mezzi, onestamente non riesco a vederla, ma sono quasi certo che con un altro dei tuoi bei raccontini riuscirai a mostrarmela.

luigi ha detto...

Bene, anche se non ho capito esattamente di cosa ti ho convinto. Quanto alle differenze tra il precetto secondo cui si deve fare agli altri... e quello di agire in modo da considerare l'Umanità* mai come mezzo ma sempre come fine, è sufficiente immaginare una situazione possibile - non necessariamente realistica - in cui agire secondo il primo principio porta a risultati differenti di quelli che si ottengono conformandosi al secondo.

luigi ha detto...

Rileggendo il commento mi sono reso conto che non ho fornito la situazione possibile in cui... Credo che sia un compito che i nostri quattro lettori possono tranquillamente svolgere, anche perché sono facilitati dalla circostanza che l'Umanità* include tutti gli esseri senzienti (forse anche le piante), onde il fare al prossimo ciò che vorresti fosse fatto a te se tu fossi nei panni del prossimo diventa qualcosa di difficilmente comprensibile quando il prossimo è una lucertola o un pipistrello. Infatti, che cosa significa per me essere un pipistrello? Che cosa vorrei gli altri facessero per me se fossi un pipistrello?

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
è difficile per me vedere i due precetti come diversi se li interpreto come espressioni dello stesso spirito.
Osserva un pipistrello e vedi se va in cerca di cibo, sonno, sesso, rifugio, calore, contatto con i propri simili. Vedi se si dirige solitamente verso qualcosa che la sua specie, quindi, potremmo dire che trova attraente. Vedi se rifugge qualcosa che, quindi, potremmo dire che la sua specie trova repellente. Vedi se esistono così pure gusti particolari dei singoli individui di pipistrello. Potremmo così capire tutto sommato che vorremmo gli altri diano ad un pipistrello e cosa non diano.
Cosa vorremmo fosse fatto a noi? Innanzi tutto vorremmo essere considerati per quello che siamo e vorremmo ricevere ciò che vogliamo per noi. Quindi fare agli altri quello che noi vogliamo per noi significa considerarli per quello che sono e dare loro ciò che essi per sé stessi desiderano.