Ricevo tramite posta elettronica e qui pubblico la seguente lettera aperta a Piero Angela, a firma Schlag.
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Caro Angela,
venerdì 07/12 ho molto
apprezzato il tuo Superquark sull'economia: anche se realizzato senza
profusione di mezzi, era apprezzabile, chiarissimo ma poi soprattutto
scientificamente corretto, il che, di questi tempi e per la
televisione, é un autentico miracolo;
se, di programmi
simili, ce ne fossero due o tre al giorno, forse potremmo anche
riuscire nel problematico tentativo di rimettere l'Italia in
carreggiata.
Lasciamiti tuttavia dire
la mia sorpresa del fatto che tu abbia involontariamente evitato
l'argomento economico forse più importante ed interessante, cioé
quello sulla inevitabile diffusione del benessere
e che io – avendola
recepita un po' dagli insegnamenti di Carnegie, ma poi e soprattutto
di Gesell (vedi http:\\www.gesell.it
) nel seguente articolo
http://www.radicalsocialismo.it/index.php?option=com_fireboard&Itemid=209&func=view&id=48177&catid=1
ho illustrato come segue:
“la
disoccupazione – beninteso solo quella creata dalla ricerca, dal
progresso tecnologico, nonché da nuovi investimenti di capitale –
nei tempi lunghi verrà sicuramente superata grazie al passaggio, al
monte salari, della totalità del risparmio, da essi consentito; ed é
possibile dimostrare ciò.
A
vantaggio dei dubbiosi descriviamo un ciclo: intermediario
indispensabile, a simile finale vantaggio generale, é
l'imprenditoria, che per la ricerca e/o la meccanizzazione affronta
costi anche notevolissimi, QUASI SEMPRE A DEBITO, cioé rendendosi
garante, presso gli investitori, del loro rimborso.
Ovviamente
nell'immediato essa allora é portata molto più ad ammortizzare
questi buffi, che non a creare un maggiore benessere per la classe
operaia, attraverso l'immediata concessione d'aumenti salariali;
così –
poiché é lei che incassa e tiene il mestolo, manu padronali e senza
assolutamente chiedere assensi – l'imprenditoria distrarrà i
risparmi conseguiti per finalizzarli gran parte ad ammortamento
dell'investimento effettuato, resto a proprio utile;
si potrebbe
pensare che – terminato l'ammortamento – sia fortemente tentata
di continuare a mettersi il tutto in tasca – ma per farlo dovrebbe
scontrarsi duramente col sindacato, che ORMAI GIUSTIFICATISSIMAMENTE
(cioé non certo alla Landini!) reclama migliorie contrattuali;
inoltre si verifica una circostanza, decisiva per tagliare la testa
al toro:
a inizio
ciclo, la contrazione dei costi non può che essere avvenuta a danno,
almeno maggioritariamente, del monte salari, con aumento della
disoccupazione e conseguente caduta della domanda aggregata
(dipendente da quelli ben più che non dai profitti degli
imprenditori, che hanno già da gran tempo soddisfatto la maggior
parte dei loro bisogni);
ed a fine
ciclo questa caduta della domanda aggregata ostacola le possibilità
di vendita del neoprodotto industriale, invece nel frattempo
notevolmente aumentato grazie all'entrata a regime dei nuovi
macchinari, talché l'imprenditore si ritrova nell'alternativa:
a)
continuare ad appropriarsi dei risparmi di costi, però cosi non solo
dovendo scontrarsi coi sindacati ma anche non potendo monetizzare la
maggiore produzione, ormai in corso e che resta invenduta;
b) oppure
appunto compiere il bel gesto di abbandonare, al monte salari, questi
risparmi di costi, cosa del resto ormai pienamente consentitagli dal
loro conseguito ammortamento, e con la certezza che comunque nel suo
portafoglio tale liquidità verrà – forse anche vantaggiosamente –
sostituita dai guadagni da completa vendita della neo produzione:
offrendo
capra e cavoli, questa é stata finora e sempre sarà la soluzione
percorsa, anche se il più delle volte inavvertitamente perché non
sempre i risparmi tecnologici sono così sostanziali come quelli che
nel 1910 consentirono a Ford la plateale riduzione da 10 ad 8 ore
dell'orario di lavoro con contemporaneo aumento del 10% della paga.
La
lampante prova di tutto ciò tanto ci é comunque offerta dal fatto
che, ai nostri giorni, anche la classe operaia può disporre di beni
di consumo, in precedenza privilegio giusto di re e magnati i quali,
a controaprova, invidierebbero terribilmente certi beni, come i
computers, i cellulari e/o le automobili, che non hanno mai neanche
potuto vedere: un
odierno manovale insomma vive più e meglio dei vecchi re!
A
parte che il momento economico proprio richiederebbe simile iniezione
d'ottimismo – perché a mio giudizio la FIDUCIA é, attualmente ed
in Italia, la grande assente e latitante -,
a
parte che tale lezione d'economia sarebbe preziosa alla dinamica
coppia Camusso-Landini, per far loro finalmente apprendere
a)
che - in cambio di molti investimenti, di cui nel prossimo futuro
s'avvantaggeranno i lavoratori - la CGIL, convergendo col resto
della triplice, farebbe bene ad accordare, non solo a Melchionne,
quell'immediata SOLIDARIETÀ dei lavoratori, che gli imprenditori
GIUSTAMENTE ormai pretendono;
b)
che la CGIL non può pretendere, come attualmente fà, che la Fiat,
salvo altri, investa centinaia di milioni di euro, caricandosi di
debiti, sic et simpliciter per l'unico scopo di poter immediatamente
offrire alla classe operaia MIGLIORMENTI REMUNERATIVI,
ma
che la classe operaia deve rassegnarsi a prima di tutto consentire
l'ammortamento degli investimenti, accettando quel periodo di vacche
magre per tutti, che inevitabilmente segue qualunque
capitalizzazione,
ma che
anche annunzia benefici futuri.
- che la lotta di classe non é mai stata la levatrice della storia, ma solo una megamignottata marxistica, perché – come giustamente dice Sallustio (Bellum Iugurthinum)– con la concordia anche gli enti piccoli riescono a crescere, mentre con la discordia si dissolvono anche quelli massimi............... (non per niente l'Italia é diventata l' EX-settima economia mondiale!)
....a
parte tutto ciò, apparirebbe subito sconfortante che – a
fronte di questo sistema imprenditoriale FORTUNATAMENTE abbandonante,
completamente ed in favore della classe operaia, i risparmi da
innovazione tecnologica, ricerca ed investimenti non appena
ammortizzati
-
perduri invece ancora un sistema
immobiliare dove – ad eccezione dell'ambiente anglotedesco dove è
rilevabile, ma non totalmente esteso il diritto di superficie – un
inghippo, concordato tra proprietari ed Abominevole (intendi: lo
Stato), impedisce de facto un analogo ammortamento degli immobili ed
il loro successivo passaggio in proprietà comune,
come sarebbe altrettanto
auspicabile,
perché i
progressi economici non diventano evoluzione vera e propria se non
quando diventano estremamente
condivisi,
cioé quando in pratica se ne avvantaggi la collettività.
E se fosse davvero questo, come
dice Gesell, il peccato originario del sistema economico
impropriamente chiamato capitalismo (meglio sarebbe pluralismo
economico in libero mercato)?
Gesell é infatti uno strenuo
sostenitore di questi ultimi due, ma non della proprietà immobiliare
PRIVATA perché - da persona raziocinante ed applicando il rasoio di
Occam (intendi: Entia non sunt multiplicanda propter necessitatem,
ossia le novità teoriche non devono eccedere la loro necessità) –
egli vede in essa l'unico reale
impedimento all'instaurazione del Socialismo, risolventesi
nell'antico (S. Paolo, Corinzi) CHI NON LAVORA NEANCHE MANGI ! e
(Ulpiano) CUIQUE SUUM ; non esclude di potersi sbagliare ma –
poiché si sarà sempre a tempo a successivamente correggersi – per
il momento potremmo provare a solo eliminare la proprietà privata
immobiliare,
e per un po' mettersi a vedere
cosa succede, senza subito marxisticamente infognarci in quel
totalitarismo di Stato, che già a lume di naso non promette niente
di buono.
Dunque
parzialmente ridimensionando l'affermazione del suo maestro Proudhon
(quello de “La proprietà é un furto”) Gesell distingue
nettamente tra la proprietà della terra - che
prima di tutto non é opera umana, ma poi é soprattutto ha INSOLITE
caratteristiche di ETERNITÀ
- e tutte le altre:
infatti per queste ultime -
indiscutibilmente opere UMANE – il lavoratore é degno della sua
mercede; del resto non c'é problema a riconoscergliene la proprietà,
tanto esse sono caduche, offrono quasi sempre fruibilità solo per
una frazione della vita del loro approntatore, per cui neanche la
successione creerà problemi.
Ma la terra no: finché a
reclamarla non verrà un gigantesco Vecchio - canuto e col triangolo
in testa! - la terra (e sue superfetazioni) é e deve essere (come da
Sue istruzioni) della Comunità, che la frazionerà opportunamente e
l'assegnerà, per una certa durata, pro-quota ed in cambio di un
corrispettivo, a chi ne faccia richiesta;
sorge
subito il problema delle superfetazioni (piantumazioni, costruzioni,
opere d'arte, non frutti dell'annata): la Comunità dovrà vederle
con occhio favorevole o proibirle? Secondo l'utilitarista Gesell
questo incremento sulla proprietà comune
deve esser visto molto FAVOREVOLMENTE,
–
anche per
l'indiscutibile apporto occupazionale che queste superfetazioni
offrono - lasciandole ammortizzare (pienamente INTASSATE e con
recupero a loro favore dell'eventuale svalutazione monetaria e delle
spese incrementative di manutenzione), contro
impegno che, appena ammortizzate, siano abbandonate alla Comunità.
Momentaneamente
sorvolando sulle difficoltà applicative -
completamente affrontate e risolte in modo ingegnosissimo, ma su cui
t'intratterrò a tua richiesta -
proviamo ad immaginare la nuova vita nella Weltanschauung gesellista
in cui tutti gli immobili, dopo 50 o più anni anni diventino dei
Comuni:
a) sia S. Paolo che Proudhon son
accontentati, nessuno può più vivere di rendita, per cui il PIL,
con grande e generale vantaggio, viene impinguato anche col prodotto
del lavoro di tutti gli attuali capitalisti, che attualmente invece
son sempre e solo bocche da sfamare (e poi con quella razza
d'appetito!) e mai braccia produttive.
b)
i Comuni a regime incassano molti canoni di concessione immobiliari
(dovrebbero cercare di associarci tasse solo nel transitorio
necessario all'ammortamento)
e sono tributari dello Stato, assicurandogli i fondi necessari al
bene comune:
il patrimonio comunale si
incrementa, anno per anno, del lavoro di milioni d'operatori
economici per cui, a popolazione auspicata diminuente o al massimo
costante, si può prevedere decrescente il monte dei canoni
immobiliari e quindi crescente la facilità di vita.
c)
superato
il transitorio,
non
ci sarebbe più da temere il gap del costo del lavoro (rispetto a
nuovi paesi emergenti ma non gesellisti), perché questi lo avrebbero
inevitabilmente formato dai profitti di capitale (lo sono anche i
canoni immobiliari) maggiorati delle tasse, mentre all'altra non
necessitan più le tasse (o quantomeno non nella stessa percentuale).
Quindi teoricamente Gesell ha
ragione a mettere in rapporto di causa ed effetto quella succitata
anomalia della proprietà immobiliare con l'inevitabilmente
decadimento del sistema capitalistico, poiché le leggi dell'economia
possiedono la stessa ineledubilità delle leggi fisiche:
guarda caso MONTI – pur
essendo un terribile cialtrone – con l'IMU sta GOFFAMENTE copiando
il canone concessorio gesellista, addossandoci però i difetti del
turco e dell'ebreo più che non anche facendoci fruire di qualcuna
delle loro buone qualità,
come
la semplicità, la scelta del tempo (immobile ammortizzato e quindi
non cumulando rate di mutuo e canone), volontarietà e quindi anche
ELUDIBILITÀ del sistema Gesell:
ad esempio una semplice rinunzia alla concessione ci potrebbe
sgravare del canone su quella vecchia casa dei nonni, al paese,
svuotatosi d'abitanti,
che non si riesce più a vendere
perché i valori immobiliari son stati fatti crollare e quindi
attualmente essa proprio non vale più nulla, anche se attualmente si
dovrà continuare a pagarci sopra l' INIQUA IMU, con l'illusoria
speranza di prima o poi rifarsi.
Non
pensi che sarebbe interessante una trasmissione su simili
concetti?.............allora falla ed io non solo sarò a tua
completa disposizione per qualunque implementazione e/o ulteriore
spiegazione; ma anche -
però non dispongo di grandi mezzi - metterò volentieri a
disposizione quanto non mi sia necessario, per l'allestimento della
trasmissione.
Saluti anarco-socialisti. Schlag
(Francesco RAUCEA)
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