domenica 28 giugno 2009
Cartone verde
Sto guardando adesso alla tv "Ferngully Le Avventure Di Zak e Crysta", un cartone animato che ha per regista Bill Kroyer (della sceneggiatura si è occupato Jim Cox). Il film è del 1992 e si tratta di un lungometraggio d'animazione alla realizzazione del quale hanno partecipato animatori provenienti dai più importanti studi cinematografici d'animazione hollywoodiani. L'ecologica storia del cartone animato in questione narra di come Crysta, un essere alato dalle sembianze umanoidi, entra in contatto con il mondo degli esseri umani e conosce uno di essi. Quest'ultimo è Zak, che, a causa di un incidente, sviene e quando sta per finire inghiottito da una macchina viene salvato da Batti, un pipistrello ("bat", in inglese vuol dire pipistrello) amico di Crysta. La voce americana di Batti è di Robin Williams. I tre, ormai divenuti amici, arrivano a Ferngully e vi trovano tutti gli alberi tagliati. Gli umani, infatti, hanno mire speculative su Ferngully. Crysta si rivolge alla vecchia saggia Magi, la quale le ricorda che la magia della creazione è dentro un piccolo seme. Nella storia è presente anche il mostro Hexxus, il quale aiuta gli speculatori e minaccia l'armonia di Ferngully. Il mostro viene poi sconfitto e nel mentre l'amore tra Crysta e Zak cresce e così lui vorrebbe restare nel mondo fantastico, ma sente il dovere di tornare tra gli esseri umani.
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Massimo Messina
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14:51
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mercoledì 24 giugno 2009
Il Togo ha abolito la pena capitale
Notizia tratta da www.nessunotocchicaino.it
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TOGO: ABOLITA LA PENA DI MORTE
23 giugno 2009: il parlamento del Togo ha votato all’unanimità l’abolizione della pena di morte nel Paese.
Alla votazione dell’Assemblea Nazionale, riunita in seduta plenaria e presieduta dal Presidente El Hadj Abass Bonfoh, ha assistito anche il Primo Ministro spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero, impegnato nella campagna per una moratoria universale della pena di morte nella prospettiva della sua abolizione completa.
“Il parlamento Togolese ha levato una voce a favore della giustizia e della dignità umana,” ha dichiarato Zapatero.
Da parte sua, il Ministro della Giustizia, Kokou Tozoun, ha detto: "Penso sia stata la decisione migliore che abbiamo preso quest’anno... noi non abbiamo il diritto di dare la morte a nessuno se siamo convinti, come siamo, che la morte non è una cosa buona da dare."
La legge, composta da cinque articoli, afferma il principio dell’abolizione della pena di morte, stabilisce la sua conversione in ergastolo e prevede la sostituzione in tutta la legislazione congolese di ogni riferimento alla pena di morte con le parole “reclusione a vita”.
L’ultima esecuzione in Togo risale al 1978, mentre l’ultima condanna a morte risale al 2003.
Al momento dell’abolizione, i detenuti nel braccio della morte togolese erano almeno sei. (Fonti: Xinhua, 23/06/2009; BBC, 24/06/2009
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TOGO: ABOLITA LA PENA DI MORTE
23 giugno 2009: il parlamento del Togo ha votato all’unanimità l’abolizione della pena di morte nel Paese.
Alla votazione dell’Assemblea Nazionale, riunita in seduta plenaria e presieduta dal Presidente El Hadj Abass Bonfoh, ha assistito anche il Primo Ministro spagnolo Josè Luis Rodriguez Zapatero, impegnato nella campagna per una moratoria universale della pena di morte nella prospettiva della sua abolizione completa.
“Il parlamento Togolese ha levato una voce a favore della giustizia e della dignità umana,” ha dichiarato Zapatero.
Da parte sua, il Ministro della Giustizia, Kokou Tozoun, ha detto: "Penso sia stata la decisione migliore che abbiamo preso quest’anno... noi non abbiamo il diritto di dare la morte a nessuno se siamo convinti, come siamo, che la morte non è una cosa buona da dare."
La legge, composta da cinque articoli, afferma il principio dell’abolizione della pena di morte, stabilisce la sua conversione in ergastolo e prevede la sostituzione in tutta la legislazione congolese di ogni riferimento alla pena di morte con le parole “reclusione a vita”.
L’ultima esecuzione in Togo risale al 1978, mentre l’ultima condanna a morte risale al 2003.
Al momento dell’abolizione, i detenuti nel braccio della morte togolese erano almeno sei. (Fonti: Xinhua, 23/06/2009; BBC, 24/06/2009
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Massimo Messina
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23:26
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domenica 21 giugno 2009
Risposta a Luigi Pavone sulla privatizzazione della scuola dell'obbligo
Caro Luigi,
scrivendo "lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato” esprimo la preferenza (liberale, liberista e taoista) per uno Stato che imponga il meno possibile. Riguardo le letture sui monopoli ti consiglio di iniziare con un qualsiasi manuale di microeconomia. Il testo su cui ho studiato io è "Introduzione alla microeconomia" del professore Salvatore Vinci, poiché quel pazzo del professore Sebastiano Impallomeni pensa, giustamente, basti. L'editore è Liguori. Ti consiglio poi un qualsiasi testo di scienza delle finanze, relativamente al concetto di "bene pubblico" in economia ed alla questione se, in che senso ed in che grado l'istruzione sia bene pubblico in senso economico. Il testo su cui ho studiato è quello a cura di Paolo Bosi, "Corso di Scienza delle finanze", casa editrice il Mulino.
Nell'attesa che tu possa farti questa minima conoscenza della scienza economica posso comunque farti notare che le strutture educative chiamate scuole hanno caratteristiche tali che chi li realizza, in regime privatistico, ottiene rendimenti marginali crescenti ovvero costi medi decrescenti. Le attività economiche in queste condizioni hanno costi d'investimento talmente alti che può sostenerli solo un offerente unico, ovvero siamo in un caso di monopolio naturale! Se ti interessa la dimostrazione rinvio ai manuali di microeconomia.
Puoi dirmi che la scuola non rientra in quelle condizioni ed allora continuo a chiederti di che scuola parli, poiché il regime che prefiguri non è un regime totalmente privatistico, visto che parliamo ora di scuola dell'obbligo. Vi devono essere delle caratteristiche previste dalla legge affinché una scuola sia considerata legale (e quindi io mandando mio figlio in tale scuola non venga perseguito) o non legale (e quindi mandandovi mio figlio io venga perseguito). Quali sono queste minime caratteristiche? Se non me le esponi difficilmente posso dirti se sono o meno d'accordo ad un tale regime.
I costi per "aprire una clinica" non sono "argomento contro la sanità privata", bensì argomento a favore dell'intervento pubblico, se riteniamo la salute bene da tutelare politicamente. Qui stiamo accettando la scuola dell'obbligo, ovvero riteniamo che l'istruzione sia bene da tutelare politicamente. Ciò non è contro le scuole private, bensì a favore dell'intervento pubblico, innanzi tutto a favore dell'obbligatorietà stessa e poi della garanzia pubblica che le scuole siano accessibili in tutto il territorio ed a tutta la popolazione.
I sussidi di disoccupazione rendono il mercato del lavoro di certo differente da un mercato senza sussidi. Il mercato del lavoro (qui faccio riferimento sia alla microeconomia che alla macroeconomia) è mercato come quello di qualsiasi altro bene. Chi usufrisce del sussidio sarà meno disponibile al lavoro (meno domanda di lavoro si chiama in economia) e per realizzare i sussidi bisogna in qualche modo finanziarli, ad esempio con l'imposizione (che ha le sue conseguenze economiche). Tutto ciò fa parte di un'economia non totalmente liberista, per definizione. In teoria anche il settore alimentare può morire in un'economia liberista, se ognuno produce da sé, nel proprio orto, gli alimenti, ad esempio, quindi i "morsi della fame" non hanno nulla a che vedere con l'obbligatorietà per legge di comprare un bene o un servizio. A proposito di istruzione, sono sempre a tua disposizione per lezioni private di economia o scienza delle finanza.
Ciao,
Massimo
scrivendo "lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato” esprimo la preferenza (liberale, liberista e taoista) per uno Stato che imponga il meno possibile. Riguardo le letture sui monopoli ti consiglio di iniziare con un qualsiasi manuale di microeconomia. Il testo su cui ho studiato io è "Introduzione alla microeconomia" del professore Salvatore Vinci, poiché quel pazzo del professore Sebastiano Impallomeni pensa, giustamente, basti. L'editore è Liguori. Ti consiglio poi un qualsiasi testo di scienza delle finanze, relativamente al concetto di "bene pubblico" in economia ed alla questione se, in che senso ed in che grado l'istruzione sia bene pubblico in senso economico. Il testo su cui ho studiato è quello a cura di Paolo Bosi, "Corso di Scienza delle finanze", casa editrice il Mulino.
Nell'attesa che tu possa farti questa minima conoscenza della scienza economica posso comunque farti notare che le strutture educative chiamate scuole hanno caratteristiche tali che chi li realizza, in regime privatistico, ottiene rendimenti marginali crescenti ovvero costi medi decrescenti. Le attività economiche in queste condizioni hanno costi d'investimento talmente alti che può sostenerli solo un offerente unico, ovvero siamo in un caso di monopolio naturale! Se ti interessa la dimostrazione rinvio ai manuali di microeconomia.
Puoi dirmi che la scuola non rientra in quelle condizioni ed allora continuo a chiederti di che scuola parli, poiché il regime che prefiguri non è un regime totalmente privatistico, visto che parliamo ora di scuola dell'obbligo. Vi devono essere delle caratteristiche previste dalla legge affinché una scuola sia considerata legale (e quindi io mandando mio figlio in tale scuola non venga perseguito) o non legale (e quindi mandandovi mio figlio io venga perseguito). Quali sono queste minime caratteristiche? Se non me le esponi difficilmente posso dirti se sono o meno d'accordo ad un tale regime.
I costi per "aprire una clinica" non sono "argomento contro la sanità privata", bensì argomento a favore dell'intervento pubblico, se riteniamo la salute bene da tutelare politicamente. Qui stiamo accettando la scuola dell'obbligo, ovvero riteniamo che l'istruzione sia bene da tutelare politicamente. Ciò non è contro le scuole private, bensì a favore dell'intervento pubblico, innanzi tutto a favore dell'obbligatorietà stessa e poi della garanzia pubblica che le scuole siano accessibili in tutto il territorio ed a tutta la popolazione.
I sussidi di disoccupazione rendono il mercato del lavoro di certo differente da un mercato senza sussidi. Il mercato del lavoro (qui faccio riferimento sia alla microeconomia che alla macroeconomia) è mercato come quello di qualsiasi altro bene. Chi usufrisce del sussidio sarà meno disponibile al lavoro (meno domanda di lavoro si chiama in economia) e per realizzare i sussidi bisogna in qualche modo finanziarli, ad esempio con l'imposizione (che ha le sue conseguenze economiche). Tutto ciò fa parte di un'economia non totalmente liberista, per definizione. In teoria anche il settore alimentare può morire in un'economia liberista, se ognuno produce da sé, nel proprio orto, gli alimenti, ad esempio, quindi i "morsi della fame" non hanno nulla a che vedere con l'obbligatorietà per legge di comprare un bene o un servizio. A proposito di istruzione, sono sempre a tua disposizione per lezioni private di economia o scienza delle finanza.
Ciao,
Massimo
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Massimo Messina
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11:10
24 commenti:
giovedì 18 giugno 2009
Tre sì ai quesiti referendari
Tratta dal sito www.referendumelettorale.org
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LETTERA AGLI ELETTORI
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Ti diranno che è inutile. Ma invece il 21 giugno è una data che potrebbe cambiare la storia del Paese.
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Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali, scrive agli italiani
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Lettera agli italiani
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Cara elettrice, caro elettore,
il 21 e 22 giugno siamo chiamati a votare per il referendum elettorale.
La politica scommette sul fatto che non andrai a votare. Che andrai al mare pensando di dar loro uno schiaffo.
Io capisco la tua indignazione, la tua rabbia, la tua rassegnazione. Tutti abbiamo la tentazione di pensare che mai nulla cambierà e che l’unica cosa che possiamo fare è quella di arrangiarci e non pensare alla politica. Almeno così non ci facciamo il sangue amaro. Tante volte ho pensato anch’io che la lotta sia impari e che non avremo mai la meglio sulle tante schifezze quotidiane a cui dobbiamo assistere.
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TI DIRANNO CHE E'INUTILE. MA INVECE IL 21 GIUGNO E' UNA DATA CHE POTREBBE CAMBIARE LA STORIA DEL PAESE.
Molti politici ti dicono che è un referendum inutile. Altri che tutti i referendum sono inutili.
E tu sarai tentato di dar retta alla tua rabbia e al tuo disgusto disertando le urne come estremo atto di protesta. Ma così, purtroppo, farai il loro gioco.
Perché se il referendum fallirà tutto resterà esattamente come prima. In questo caso non è come alle politiche. Non votare non è uno sfregio alla politica, ma è una resa di noi cittadini. Per questo sono in tanti i politici che ti invitano a non votare.
Ti sei mai chiesto perché di questo referendum si parla così poco? Del perché nessuno ti spieghi esattamente di cosa si tratta? Del perché, in questi mesi chi ha promosso questo referendum è apparso così poco nelle trasmissioni televisive? E’ molto semplice: perché se non sai che ci sarà un referendum e non sai di che cosa si tratta, è molto più probabile che tu non vada a votare. E tutto resterà come prima.
-
CHI SONO ED IL PERCHé DI QUESTA INIZIATIVA
Mi chiamo Giovanni Guzzetta ed ho promosso, insieme ad altri 820 mila cittadini, questo referendum.
Sono nato in Sicilia e cresciuto a Roma. Ho 43 anni. Insegno all’Università. Ho due figli, Francesco e Silvia, di 11 e 9 anni. Non sono mai stato iscritto ad un partito politico, ma credo profondamente nell’importanza della politica per la vita di tutti noi.
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LA POLITICA DECIDE COMUNQUE DELLA NOSTRA VITA. ANCHE SE NOI DECIDIAMO DI NON INTERESSARCENE
Oggi la politica decide dove deve andare gran parte di tutto quello che guadagno ogni anno. Decide com’è la scuola dei miei figli, gli ospedali dove ricoverarmi, quale sarà la mia pensione, come sono i servizi cui, come cittadino, ho diritto. E non riesco ad accettare di non contare nulla.
Penso che l’Italia si meriti di più. E se non faccio qualcosa adesso, tra dieci o quindici anni i miei figli saranno tentati di andare fuori dell’Italia per trovare un lavoro migliore, servizi migliori, pensioni migliori, opportunità migliori. E torneranno in Italia in vacanza con qualche volo Ryanair.
Penso che l’Italia sia un grande paese e non voglio che i miei figli abbiano la tentazione di cercare altrove i riconoscimenti e le opportunità cui ogni persona ha diritto.
-
AL MOMENTO, LE REGOLE DELLA POLITICA HANNO ZITTITO COMPLETAMENTE LA VOCE DEI CITTADINI
La politica Italiana ha due macroscopici problemi. E la legge elettorale contro cui abbiamo promosso il referendum ne è la principale causa. Il primo problema è che noi non scegliamo più persone, ma solo simboli di partito. I parlamentari sono tutti nominati. Il merito è mortificato. E se il merito è mortificato nella politica, che dovrebbe essere il motore dello Stato, lo sarà ancora di più nel resto della società: nelle professioni, nel lavoro, nell’università, nei partiti.
L’altro grande difetto della politica è che oggi siamo governati da coalizioni di partiti. Nelle quali i partiti minori minacciano, ricattano, cercano visibilità e tengono per il collo gli alleati.
Lo abbiamo visto nella scorsa legislatura con il Governo Prodi, ma lo abbiamo visto anche in questa. Il governo ha buttato via 330 milioni di euro perché la lega ha impedito che si facesse l’election day accorpando il referendum alle europee. Malgrado il dramma del terremoto, malgrado lo stato in cui versano gli apparati di pubblica sicurezza, malgrado la crisi.
Il referendum riguarda questi due problemi.
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CHE COSA PUO' SUCCEDEDERE CON IL TUO VOTO
I primi due quesiti stabiliscono che il partito che ottiene più voti degli altri possa governare da solo, senza subire ricatti. E che si trovi di fronte un’opposizione grande, unita, coerente.
E’ quello che succede nelle grandi democrazie. Si chiama bipartitismo. Ma ve lo immaginate Obama che va in televisione a dire che non potrà fare una grande riforma perché un alleato di governo minaccia di farlo cadere? Oggi la politica perde gran parte del tempo nelle beghe interne alla coalizione, piuttosto che occuparsi dei problemi del paese e l’opposizione si frantuma nel tentativo reciproco dei partiti di rubarsi a vicenda qualche voto.
Il terzo quesito riguarda le candidature multiple. Quel meccanismo per cui i big si candidano in tutte le circoscrizioni e scelgono loro, dopo le elezioni, quali dei trombati nominare al proprio posto. Nello scorso parlamento i trombati ripescati sono stati più di un terzo dell’intero parlamento.
Credo che una politica migliore sia possibile. E credo che lo sia stato ogni qual volta i cittadini hanno fatto sentire la propria voce.
-
L’UNICA ARMA E' IL REFERENDUM
Vogliamo una politica più semplice. Meno partiti e più decisioni utili alla gente.
Vogliamo una politica in cui i parlamentari non siano nominati dalle segreterie dei partiti ma scelti dagli elettori.
Vogliamo che i cittadini il giorno delle elezioni possano scegliere il partito che si assume la responsabilità di governarli senza dover fare continuamente compromessi con i ricatti dei propri alleati.
E’ per questo che, insieme a tanti altri, ho deciso di impegnarmi in prima persona. E, da cittadino, insieme a tanti altri cittadini, l’ho fatto con l’unico strumento che la Costituzione ci offre: il referendum.
Certo la politica avrebbe potuto farlo. Ma sono anni che non lo fa e si perde in chiacchiere. Chissà perché? Oggi ci vuole una scossa e con mezz’ora del tuo tempo andando a votare per il referendum puoi contribuire a darla.
Il referendum è l’unico modo per scrollare una politica sempre più chiusa in se stessa e sorda ai bisogni delle persone.
-
SE ANDRAI A VOTARE DETERMINERAI UN CAMBIAMENTO CHE NESSUNO SI ASPETTA. E DALLE SEGRETE STANZE DEI PARTITI DOVRANNO FARE I CONTI ANCHE CON TE
Il 21 e 22 giugno, se tu vincerai la tua disillusione e andrai a votare, potrai essere il protagonista di un cambiamento che oggi nessuno si aspetta. Potrai dimostrare a quanti dispongono della tua vita nel chiuso delle loro stanze che anche tu puoi essere determinante. E il giorno dopo, loro dovranno fare i conti con l’Italia dei suoi cittadini. Un’Italia di donne e uomini liberi e di carattere. Che ricordano la grandezza del nostro ingegno e la passione dei nostri sentimenti.
Perché domenica a vincere sia quella Italia, il paese in cui orgogliosamente crediamo, è necessario agire.
E se a convincerti non basta ciò che tu pensi di tanti politici, rifletti su quello che la politica pensa di te, in che conto ti tiene, come ti considera.
-
ADESSO L’INFORMAZIONE è TUTTO. PASSAPAROLA!
Facciamo un tam tam tra amici e conoscenti. Perché l’informazione sarà poca e la nostra unica risorsa siamo noi stessi.
Passaparola!
Manda questa mail o un SMS a quante più persone conosci e fatti anche tu promotore di questa riscossa. L’Italia si merita di più.
-
Giovanni Guzzetta
Presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali
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LETTERA AGLI ELETTORI
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Ti diranno che è inutile. Ma invece il 21 giugno è una data che potrebbe cambiare la storia del Paese.
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Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato promotore dei referendum elettorali, scrive agli italiani
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Lettera agli italiani
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Cara elettrice, caro elettore,
il 21 e 22 giugno siamo chiamati a votare per il referendum elettorale.
La politica scommette sul fatto che non andrai a votare. Che andrai al mare pensando di dar loro uno schiaffo.
Io capisco la tua indignazione, la tua rabbia, la tua rassegnazione. Tutti abbiamo la tentazione di pensare che mai nulla cambierà e che l’unica cosa che possiamo fare è quella di arrangiarci e non pensare alla politica. Almeno così non ci facciamo il sangue amaro. Tante volte ho pensato anch’io che la lotta sia impari e che non avremo mai la meglio sulle tante schifezze quotidiane a cui dobbiamo assistere.
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TI DIRANNO CHE E'INUTILE. MA INVECE IL 21 GIUGNO E' UNA DATA CHE POTREBBE CAMBIARE LA STORIA DEL PAESE.
Molti politici ti dicono che è un referendum inutile. Altri che tutti i referendum sono inutili.
E tu sarai tentato di dar retta alla tua rabbia e al tuo disgusto disertando le urne come estremo atto di protesta. Ma così, purtroppo, farai il loro gioco.
Perché se il referendum fallirà tutto resterà esattamente come prima. In questo caso non è come alle politiche. Non votare non è uno sfregio alla politica, ma è una resa di noi cittadini. Per questo sono in tanti i politici che ti invitano a non votare.
Ti sei mai chiesto perché di questo referendum si parla così poco? Del perché nessuno ti spieghi esattamente di cosa si tratta? Del perché, in questi mesi chi ha promosso questo referendum è apparso così poco nelle trasmissioni televisive? E’ molto semplice: perché se non sai che ci sarà un referendum e non sai di che cosa si tratta, è molto più probabile che tu non vada a votare. E tutto resterà come prima.
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CHI SONO ED IL PERCHé DI QUESTA INIZIATIVA
Mi chiamo Giovanni Guzzetta ed ho promosso, insieme ad altri 820 mila cittadini, questo referendum.
Sono nato in Sicilia e cresciuto a Roma. Ho 43 anni. Insegno all’Università. Ho due figli, Francesco e Silvia, di 11 e 9 anni. Non sono mai stato iscritto ad un partito politico, ma credo profondamente nell’importanza della politica per la vita di tutti noi.
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LA POLITICA DECIDE COMUNQUE DELLA NOSTRA VITA. ANCHE SE NOI DECIDIAMO DI NON INTERESSARCENE
Oggi la politica decide dove deve andare gran parte di tutto quello che guadagno ogni anno. Decide com’è la scuola dei miei figli, gli ospedali dove ricoverarmi, quale sarà la mia pensione, come sono i servizi cui, come cittadino, ho diritto. E non riesco ad accettare di non contare nulla.
Penso che l’Italia si meriti di più. E se non faccio qualcosa adesso, tra dieci o quindici anni i miei figli saranno tentati di andare fuori dell’Italia per trovare un lavoro migliore, servizi migliori, pensioni migliori, opportunità migliori. E torneranno in Italia in vacanza con qualche volo Ryanair.
Penso che l’Italia sia un grande paese e non voglio che i miei figli abbiano la tentazione di cercare altrove i riconoscimenti e le opportunità cui ogni persona ha diritto.
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AL MOMENTO, LE REGOLE DELLA POLITICA HANNO ZITTITO COMPLETAMENTE LA VOCE DEI CITTADINI
La politica Italiana ha due macroscopici problemi. E la legge elettorale contro cui abbiamo promosso il referendum ne è la principale causa. Il primo problema è che noi non scegliamo più persone, ma solo simboli di partito. I parlamentari sono tutti nominati. Il merito è mortificato. E se il merito è mortificato nella politica, che dovrebbe essere il motore dello Stato, lo sarà ancora di più nel resto della società: nelle professioni, nel lavoro, nell’università, nei partiti.
L’altro grande difetto della politica è che oggi siamo governati da coalizioni di partiti. Nelle quali i partiti minori minacciano, ricattano, cercano visibilità e tengono per il collo gli alleati.
Lo abbiamo visto nella scorsa legislatura con il Governo Prodi, ma lo abbiamo visto anche in questa. Il governo ha buttato via 330 milioni di euro perché la lega ha impedito che si facesse l’election day accorpando il referendum alle europee. Malgrado il dramma del terremoto, malgrado lo stato in cui versano gli apparati di pubblica sicurezza, malgrado la crisi.
Il referendum riguarda questi due problemi.
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CHE COSA PUO' SUCCEDEDERE CON IL TUO VOTO
I primi due quesiti stabiliscono che il partito che ottiene più voti degli altri possa governare da solo, senza subire ricatti. E che si trovi di fronte un’opposizione grande, unita, coerente.
E’ quello che succede nelle grandi democrazie. Si chiama bipartitismo. Ma ve lo immaginate Obama che va in televisione a dire che non potrà fare una grande riforma perché un alleato di governo minaccia di farlo cadere? Oggi la politica perde gran parte del tempo nelle beghe interne alla coalizione, piuttosto che occuparsi dei problemi del paese e l’opposizione si frantuma nel tentativo reciproco dei partiti di rubarsi a vicenda qualche voto.
Il terzo quesito riguarda le candidature multiple. Quel meccanismo per cui i big si candidano in tutte le circoscrizioni e scelgono loro, dopo le elezioni, quali dei trombati nominare al proprio posto. Nello scorso parlamento i trombati ripescati sono stati più di un terzo dell’intero parlamento.
Credo che una politica migliore sia possibile. E credo che lo sia stato ogni qual volta i cittadini hanno fatto sentire la propria voce.
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L’UNICA ARMA E' IL REFERENDUM
Vogliamo una politica più semplice. Meno partiti e più decisioni utili alla gente.
Vogliamo una politica in cui i parlamentari non siano nominati dalle segreterie dei partiti ma scelti dagli elettori.
Vogliamo che i cittadini il giorno delle elezioni possano scegliere il partito che si assume la responsabilità di governarli senza dover fare continuamente compromessi con i ricatti dei propri alleati.
E’ per questo che, insieme a tanti altri, ho deciso di impegnarmi in prima persona. E, da cittadino, insieme a tanti altri cittadini, l’ho fatto con l’unico strumento che la Costituzione ci offre: il referendum.
Certo la politica avrebbe potuto farlo. Ma sono anni che non lo fa e si perde in chiacchiere. Chissà perché? Oggi ci vuole una scossa e con mezz’ora del tuo tempo andando a votare per il referendum puoi contribuire a darla.
Il referendum è l’unico modo per scrollare una politica sempre più chiusa in se stessa e sorda ai bisogni delle persone.
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SE ANDRAI A VOTARE DETERMINERAI UN CAMBIAMENTO CHE NESSUNO SI ASPETTA. E DALLE SEGRETE STANZE DEI PARTITI DOVRANNO FARE I CONTI ANCHE CON TE
Il 21 e 22 giugno, se tu vincerai la tua disillusione e andrai a votare, potrai essere il protagonista di un cambiamento che oggi nessuno si aspetta. Potrai dimostrare a quanti dispongono della tua vita nel chiuso delle loro stanze che anche tu puoi essere determinante. E il giorno dopo, loro dovranno fare i conti con l’Italia dei suoi cittadini. Un’Italia di donne e uomini liberi e di carattere. Che ricordano la grandezza del nostro ingegno e la passione dei nostri sentimenti.
Perché domenica a vincere sia quella Italia, il paese in cui orgogliosamente crediamo, è necessario agire.
E se a convincerti non basta ciò che tu pensi di tanti politici, rifletti su quello che la politica pensa di te, in che conto ti tiene, come ti considera.
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martedì 16 giugno 2009
Il governo iraniano reprime anche l'informazione
Il governo iraniano sta reprimendo anche l'informazione. Il giornale del candidato ufficialmente sconfitto Mousavi è stato bandito. Il quotidiano riformista Sarmayeh ha scritto che domenica la polizia ha fatto irruzione nella sede del giornale, ha ha effettuato una perquisizione ed ha sigillato l'edificio. Sempre secondo Sarmaye, anche il giornale Velayat è stato costretto a sospendere la pubblicazione. Quest'ultimo provvedimento sarebbe legato alla pubblicazione di una caricatura. Già sabato mattina il giornale Asr Eghtesad era stato censurato poiché intendeva titolare «Il verde della primavera prosegue», con riferimento al colore del partito di Mousavi. Da domenica in Iran è vietato accedere a YouTube, dove erano stati pubblicati gli scontri a Teheran ripresi con i telefonini. Sono stati colpiti anche i giornalisti stranieri. La tv pubblica spagnola Tve è stata cacciata dall'Iran dopo avere trasmesso servizi sulle manifestazioni di protesta.
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domenica 14 giugno 2009
Appello antirazzista di Spazio Lib-Lab
UNA RAZZA SOLA: QUELLA UMANA.
Il testo che segue esprime la grave preoccupazione di “Spazio Lib-Lab” per i recenti indirizzi adottati dal Governo Italiano in tema di immigrazione e diritti umani, che consolidano una lunga serie di provvedimenti legislativi ed amministrativi, di atteggiamenti e comportamenti gravemente lesivi dei più elementari diritti umani.
Chiediamo a chiunque ritenga di poterlo condividere, di diffonderlo e sottoscriverlo come indicato in calce al documento stesso.
* * * * *
La recente “svolta” voluta dal ministro (leghista) dell’Interno Roberto Maroni, e trasformata dal presidente del Consiglio in precisa volontà politica, offende i diritti naturali ed inviolabili dell’uomo, quali riconosciuti dalla Comunità Internazionale, ed oltraggia la nostra storia.
E, una volta ancora, vincola, per contrasto, tutte le forze politiche che facciano propria una visione liberale dei diritti ad un programma preciso: quello di schierarsi a difesa delle Convenzioni Internazionali, della Costituzione, della civiltà europea, del diritto di qualsiasi uomo alla vita, alla sicurezza, al vivere in pace, alla salute, alla propria visione culturale, alla possibilità di progredire.
Un “richiedente asilo” è colui che è fuori del proprio paese e presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Fino al momento della decisione finale da parte delle autorità competenti, egli è un richiedente asilo, ed ha diritto di soggiorno regolare nel paese di destinazione. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità, o in maniera irregolare, attraverso i cosiddetti ‘flussi migratori misti’, composti cioè sia da migranti irregolari, che da potenziali rifugiati.
Questa è la definizione di “richiedente asilo” che ne dà la “Carta di Roma”: un fondamentale documento approvato dall’Ordine Italiano dei Giornalisti per promuovere una corretta informazione su una materia delicata come l’immigrazione. Tale definizione si fonda a sua volta su quella datane dalla Convenzione di Ginevra del 28 Luglio 1951, che qui si riporta:
“chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”.
E’ essenziale, in questo testo, l’attenzione alla volontà individuale, sottolineata dai concetti di “timore” e di “volontà”. La risposta alla “richiesta di protezione” da parte delle autorità del Paese cui questa richiesta è rivolta, va quindi data sulla base del fatto che il “timore” sia o meno “giustificato”. Questa definizione fu data nel 1951, quando i problemi erano ben diversi da quelli attuali; ma, a maggior ragione, spicca la lungimiranza di tale dichiarazione. La fuga di intere popolazioni dai Paesi di origine ha sicuramente, per molti, motivazioni economiche. Ma per non pochi altri la motivazione sta nel fatto che in non poche parti del mondo, a molti non sono assicurate le minime condizioni di esistenza, per effetto diretto od indiretto di conflitti tribali, dittature, governi fondati sull’appartenenza etnica, situazioni di violenza endemica, persecuzioni religiose e razziali.
Queste definizioni mostrano quanto siano deboli e miserabili, oltre che ipocrite, le argomentazioni rese dal presidente del Consiglio, secondo il quale verrà accolto “solo chi ha le condizioni per ottenere l’asilo politico“. Non si comprende infatti come sia possibile accertare la sussistenza dei necessari requisiti se, a partire dalle acque internazionali, si rispediscono indietro le imbarcazioni senza aver loro consentito di toccar terra, ed avendo evitato di accertare se esse trasportino o meno richiedenti asilo, e con quali motivazioni.
E l’ipocrisia raggiunge il culmine quando si afferma che, dopo aver respinto a partire dalle acque internazionali i potenziali “richiedenti asilo”, cosa ne avvenga dopo non è più cosa che riguardi lo Stato Italiano, in quanto sarà poi la democratica Libia ad occuparsi della faccenda. Con quali garanzie per i diritti umani ed individuali è facile immaginare.
Occorre a questo punto ricordare come gran parte di questi “migranti”, provenienti dall’Africa sub sahariana, già sono transitati per la Libia, Paese al quale si sono ben guardati dal rivolgere richiesta di asilo. In quali condizioni si sia svolto quel viaggio, vien reso noto dai racconti degli scampati; o meglio, da quanto di questi racconti riesce a filtrare sulla stampa, come fu dopo il caso della Pinar; ma è cosa ben nota alle Organizzazioni Internazionali ed ai Governi che fingono di non sapere. Si tratta di gente che è stata sistematicamente depredata di tutto, violentata, obbligata a prestare il proprio lavoro o il proprio corpo pur di andar avanti nell’esodo transahariano verso Nord.
Ritenere che in quel paese, ed in quelle condizioni, possa venir accertato lo “status” di rifugiato, in modo sia pur severo, ma giusto, è solo ipocrita utopia. Gli oggetti dei “respingimenti” italiani saranno destinati ai campi di concentramento libici, finanziati in parte dall’Italia, nei quali è regola la sottoalimentazione, usuale la violenza, e non infrequente il decesso. Ed ai quali non hanno accesso le Organizzazioni Internazionali, anche perché l’amica Libia non ha mai aderito ad alcuna convenzione al riguardo. I respinti dall’Italia finiranno con l’aver di fronte a sé due sole alternative: venir ulteriormente “respinti” nei Paesi dai quali sono partiti, con quali conseguenze è facile immaginare, o restare come schiavi in Libia.
Rinverdendo così le tradizioni schiavistiche dell’Africa berbera e poi islamica nei confronti dell’Africa nera. E, giustamente, Laurens Jolles, delegato dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha richiamato l’Italia alle sue responsabilità che, a questo punto, non sono più solo morali, ma anche giuridiche.
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Ma alla radice, vi è un’altra questione. Ed è il fatto che si teme che l’Italia venga “contaminata” culturalmente e razzialmente. Il capo del governo lo ha detto chiaramente: “la sinistra ha aperto le porte ad una idea che era ed è quella di un’Italia multietnica. Noi abbiamo un’idea diversa”. Emerge qui, con brutalità, uno dei noccioli del problema; il principale.
E’ una visione gretta e strabica, per la quale il riconoscimento di diritti ad un altro comporterebbe la riduzione dei propri: è lo stesso concetto che viene utilizzato per negare diritti alle coppie di fatto, dal cui riconoscimento giuridico deriverebbe, secondo questa visione, la riduzione dei diritti della famiglia tradizionale. A base di questo ragionamento sta la concezione della diversità come pericolo per l’organizzazione sociale. Si motiva e precisa così il rifiuto di un’Italia multietnica, in quanto questa distruggerebbe l’identità culturale e religiosa degli italiani. Il mantenimento di quest’identità richiederebbe, secondo questa visione, la non-presenza dei “diversi”, o quanto meno il loro isolamento in un ambito giuridicamente delimitato e subordinato, e la loro esclusione dalla sfera dei diritti.
A motivare questo atteggiamento vengono addotte diverse argomentazioni: da quelle brutalmente e francamente razziste, ad altre più subdole, ma altrettanto razziste nel metodo e nelle conclusioni, come quella della non integrabilità ed incompatibilità di culture troppo “diverse”.
Ma predomina, come argomentazione ormai trasferita dall’inconscio alla cultura ed alla politica del Paese, quella della richiesta di sicurezza che arriva dalla società italiana, dopo aver per anni fomentato sui media la psicosi dell’identificazione dello straniero proveniente da alcune aree del mondo come persona strutturalmente predisposta al crimine per motivi di DNA; e l’esser straniero, non necessariamente extracomunitario, è diventata automatica presunzione di sospetto in ogni indagine di polizia giudiziaria.
La questione della sicurezza, che è questione generale, e che riguarda tutti i residenti nei confini della Repubblica, viene così ad identificarsi con la questione della lotta all’immigrazione, clandestina o meno che sia, motivata o meno che sia dalla richiesta di asilo, in base al troppo facile sillogismo: meno immigrati vuol dire meno delinquenti.
E si pensa così di poter risolver la questione col sigillare le frontiere, negando l’applicazione dei principii umanitari universalmente riconosciuti, ed applicando una sistematica negazione dei più essenziali diritti, sino a configurare, in certe aree del Paese, punte di sistematiche ed oltraggiose politiche di apartheid, che riguardano anche gli immigrati “regolari”. La giusta richiesta della conoscenza della lingua, delle leggi, che molte altre democrazie applicano sì, ma in modo inclusivo, mettendo a disposizione degli immigrati strumenti educativi e formativi, diviene in Italia strumento e motivazione di esclusione, non essendo disponibile nel nostro Paese alcun canale di integrazione culturale; che d’altra parte, oramai si dichiara apertamente di voler impedire.
Il recente varo del DDL “sicurezza” esemplifica bene questa situazione.
I CIE, ex CPT, nei quali la sostanziale detenzione durerà sino a 6 mesi, non sono posti nei quali agli internati, senza distinzione di status tra richiedenti asilo, irregolari appena arrivati, o “sans papiers” inviativi successivamente al loro arrivo in Italia, si insegni alcun rudimento della lingua e delle leggi italiane: sono soltanto carceri in attesa del carcere, quello vero, o dell’espulsione, nelle quali viene fornita un’assistenza sanitaria carente, nessuna assistenza o consulenza legale, un’alimentazione insufficiente, nessun rispetto.
La negazione di diritti diviene evidente; ed è stato messo in moto, benché attenuato rispetto alle proposte iniziali, un meccanismo in base al quale qualsiasi immigrato tenderà ad evitare il più possibile il contatto con ogni forma di struttura pubblica, vedendovi il rischio della denuncia. Ne seguirà, inevitabilmente, lo sprofondare nell’arcipelago illegale o criminale, del lavoro nero, dell’affitto nero, del fornir bassa manovalanza alla criminalità.
Tutto ciò colloca l’Italia in una posizione anomala rispetto al resto d’Europa dal punto di vista del rispetto delle Convenzioni Internazionali e del rispetto dei diritti umani, quali generalmente riconosciuti in tutto il mondo civile. Oltre a questo, quella del governo italiano è una posizione che confligge con la storia del nostro Paese e con quella europea.
Sarebbe opportuno ricordare che l’intera l’Europa, ed anche i singoli Paesi che la compongono, hanno forti caratteri multietnici: che sia per effetto di invasioni pacifiche o no, lontane o vicine nel tempo, per effetto di scambi commerciali, di lavoro, di trasferimento dei produttori di cultura, l’Europa che noi conosciamo è andata costruendosi sulle contaminazioni, etniche e culturali, e l’Italia non è da meno. E non è inutile, al riguardo, ricordare l’epopea della nostra emigrazione.
A tal proposito, giova ricordare che nel resto d’Europa nessun governo, di destra quanto si vuole, si oppone alla “società multietnica” in quanto tale. Si prenda, per esempio, la Germania del cancelliere Angela Merkel, le cui politiche sull’immigrazione, conformemente alla linea politica della Grosse Koalition, sono sempre state finalizzate all’inclusione.
Ma anche all’interno di un quadro generale che, in Europa, sta attuando misure molto restrittive nei confronti dell’immigrazione, l’interpretazione del governo italiano resta del tutto preoccupante, in quanto non viene motivata dalla preoccupazione per le difficoltà economiche e sociali che indubbiamente forti flussi immigratori pongono, ma viene motivata e gestita come una questione “razziale”. Il “non vogliamo una società multietnica”, detto dal Capo del Governo, e non da un manifestante di destra, significa questo.
La recente “svolta”, sancita dal pieno avallo del governo lascia presagire involuzioni che devono destare la massima preoccupazione in chiunque abbia a cuore i diritti. Non solo i diritti dei migranti: i diritti di tutti.
Vogliamo, al riguardo ricordare la lapidaria parola che Albert Einstein, arrivando negli USA come esule dalla Germania nazista in quanto ebreo, ebbe a scrivere sul modulo dell’Ufficio Immigrazione ove veniva richiesto di indicare la propria razza: “UMANA”.
Alla cultura della purezza etnica, che ha ben tristi e dolorosi precedenti, occorre opporre una visione aperta ed inclusiva, fondata sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri e non sulla carità. Tra diritti e carità vi è la differenza sostanziale che i primi sono relativi all’uomo in quanto soggetto giuridico cosciente ed autonomo; la seconda, all’uomo in quanto essere vivente. Nel clima di indistinto disprezzo che oggi circonda chiunque provenga da determinate aree geografiche o appartenga a determinate etnie, le posizioni che la Chiesa Cattolica ha assunto al riguardo non sono da sottovalutare. Ma carità od assistenza non fanno di un essere umano un Uomo, quando non siano accompagnate dall’attribuzione di diritti e doveri, e dalla consapevolezza degli stessi.
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Resta, ovviamente, il “che fare?”.
L’unica nota di realismo che arrivi da questo Governo sta nell’affermazione che il peso della questione dell’immigrazione, clandestina o motivata con la richiesta dello status di rifugiato, non possa venir fatto gravare solo sui Paesi più vicini alle coste africane: Spagna, Italia, Malta, Grecia. Su questo, siamo d’accordo.
La questione dell’immigrazione sarà uno dei temi centrali degli anni a venire: il volerla contrastare combattendola frontalmente alle frontiere e negando diritti all’interno è pura utopia, che non risolve il problema, e creerà solo le condizioni per uno scontro di civiltà tra i ricchi ed i poveri del Mondo Antico ed il conflitto interno tra i poveri e gli ancor più poveri.
E le politiche di negazione dei diritti essenziali e dell’integrazione non potranno portare ad altro risultato che a quello di alimentare le fila del disadattamento sociale, dei fondamentalismi anti-occidentali, dell’illegalità, della criminalità.
Nel dibattito europeo, più che in Italia, esiste lo spazio, politico e pubblico, per rappresentare con forza e saldare tra loro i temi dell’inclusione, del rispetto dei diritti e dei principii internazionalmente riconosciuti, della libertà di culto, della laicità, del rispetto delle regole democratiche. E per individuare soluzioni comuni e condivise, che tengano conto delle difficoltà che un’immigrazione di massa crea, ma che non fondino sul principio razziale gli interventi che si dovranno adottare per governare il fenomeno.
Perché non c’è alcun dubbio che questo fenomeno vada controllato e governato, in maniera omogenea in tutta Europa, per l’elementare ragione che la logica delle barriere non regge sul medio periodo, e non è neanche pagante. E per il fatto che questa logica inutile non può essere adottata se non facendo ricorso a misure anti-umane che, in quanto tali, non possono trovar altra premessa che quella della presunzione dell’inferiorità razziale ed altro criterio che quello della separazione razziale.
E’ quest’ultima, purtroppo, la strada imboccata dal governo italiano, ed è questo il punto essenziale che ci distingue dal resto d’Europa. Dove, invece, il fenomeno, pur essendo regolamentato e, in alcuni casi, contrastato a causa delle conseguenze economico-sociali che esso produce, e delle quali un qualsivoglia governo non può non tener conto, non viene visto dai governi in termini di appartenenza razziale.
Non si tratta di “aprire” le frontiere a chiunque voglia entrare in Europa.
Si tratta invece di:
1- trattare chiunque nel rispetto pieno delle Convenzioni Internazionali e più generalmente, della dignità e dei diritti umani.
2- Distinguere, anche nei CIE, tra “richiedenti asilo”, internati in attesa di espulsione, e recidivi.
3- Allargare le condizioni per la legalizzazione.
4- Agire contro le organizzazioni che gestiscono il traffico dei “clandestini” e contro coloro che ne sfruttano il lavoro, lecito o illecito che sia.
5- Fornire a chiunque arrivi in Italia la possibilità di avere a disposizione adeguati strumenti per la propria tutela: da un minimo di conoscenza della lingua, alla possibilità di avvalersi di idonea assistenza legale.
6- Non rifiutare ad alcuno, regolare o no che sia, la possibilità di accedere ai servizi pubblici essenziali: sanità, istruzione, giustizia; quella di poter creare ed allevare famiglie regolari; e quella di accedere al lavoro regolare.
Istanze, queste, che devono essere portate e rappresentate anche in Europa per dire con forza al mondo civile che, con buona pace dei sondaggi citati dal cavaliere, esiste una parte grandissima dell’Italia che sceglie la civiltà contro la barbarie.
Un’Italia che crede in una visione diversa dell’immigrazione. Consapevole che una buona integrazione richiede lunghi e pazienti sforzi per venir costruita, e che non è possibile veder risultati nel breve termine. Ed altrettanto certa che quella che si sta seguendo non è la via giusta per costruire: l’integrazione si fonda su diritti e doveri riconosciuti, e nel dir questo siamo certi di non peccare d’ingenuità.
Sappiamo benissimo, infatti, che molti immigrati, arrivati in Italia, cadono nella spirale del crimine. Ma questo avviene in primo luogo perché le prime e più efficienti agenzie che si occupano della loro “accoglienza” sono le organizzazioni criminali, di matrice italiana e non.
Contro di queste occorre agire, con severità e determinazione. La “cattiveria” auspicata dal Ministro dell’Interno Maroni non va riservata agli indifesi, ma a coloro che traggono vantaggio dalla condizione di soggezione nella quale questi si trovano a causa della negazione di diritti e di qualsiasi possibilità di integrazione che viene loro riservata.
Le prime vittime di questa situazione, in Italia, sono gli onesti, ai quali viene sistematicamente resa la vita impossibile: poche possibilità, lavoro nero, sfruttamento, abitazioni fatiscenti, segregazione, difficoltà di praticare le proprie religioni.
Ed occorre, al riguardo, osservare che queste condizioni, ed il clima di “apartheid” che si è creato nel Paese, non fanno alcuna distinzione tra immigrati “regolari” ed “irregolari”. Il negare la costruzione di una moschea, così come il proporre la segregazione sui vagoni della Metropolitana di Milano, non fanno distinzioni al riguardo: ciò offende e nega diritti agli uni come agli altri.
Da tutti, lo Stato Italiano, deve esigere il rispetto incondizionato della propria legge penale, civile, fiscale. Da tutti, la società italiana deve esigere il lavoro e la partecipazione all’economia del Paese.
Ma, se si vuole questo, si devono creare le condizioni minime perché ciò possa avvenire.
PierPaolo Caserta, Gim Cassano, (16-05-2009)
Loredana Acanfora, Francesco Ancona, Associazione per il Libero Pensiero (Viterbo), Amedeo Bellini, Guido Bertrando, Andrea Bitetto, Giuseppe Cappelli, Maria Luisa Cascella, Marianna Coco, Barbara Codispoti, Simonetta Cormaci, Comitato Piero Gobetti, Cinzia Dato, Giovanni De Medici, Francesca Gallo, Marzia Gelardi, Maurizio Giancola, Nino Gulisano, Ciro Lattero, Enrico Lecis Cocco-Ortu, Andrea Liberati, Maria Carmela Liggieri, Roberta Lucarelli, Enzo Marzo, Annalisa Mauro, Nello Mazzone, Ignazio Monaco, Pietro Muraglia, Monica Musri, Giancarlo Nobile, Ernesto Paolozzi, Paolo Patanè, Aldo Penna, Costanza Pera, Saro Pettinato, Sandro Picciola, Raffaele Prodromo, Beatrice Rangoni Machiavelli, Eliana Rasera, Maurizio Scarano, Enzo Strazzera, Roberta Tescari, Luigi Tardella, Maria Gabriella Tinè, Gianluca Ursini, Francesco Velo, Cristina Vietti, Ugo Vietti, Francesco Verducci, Olimpia Volpe, Maria Zaniboni, Valerio Zanone.
Chi, individuo o soggetto collettivo, intenda dare la propria adesione al testo che precede, può farlo inviando al seguente indirizzo: unasolarazza@gmail.com un messaggio contenente nome e cognome ed indirizzo e-mail; e, se lo ritiene, indirizzo e n° di telefono.
Il testo che segue esprime la grave preoccupazione di “Spazio Lib-Lab” per i recenti indirizzi adottati dal Governo Italiano in tema di immigrazione e diritti umani, che consolidano una lunga serie di provvedimenti legislativi ed amministrativi, di atteggiamenti e comportamenti gravemente lesivi dei più elementari diritti umani.
Chiediamo a chiunque ritenga di poterlo condividere, di diffonderlo e sottoscriverlo come indicato in calce al documento stesso.
* * * * *
La recente “svolta” voluta dal ministro (leghista) dell’Interno Roberto Maroni, e trasformata dal presidente del Consiglio in precisa volontà politica, offende i diritti naturali ed inviolabili dell’uomo, quali riconosciuti dalla Comunità Internazionale, ed oltraggia la nostra storia.
E, una volta ancora, vincola, per contrasto, tutte le forze politiche che facciano propria una visione liberale dei diritti ad un programma preciso: quello di schierarsi a difesa delle Convenzioni Internazionali, della Costituzione, della civiltà europea, del diritto di qualsiasi uomo alla vita, alla sicurezza, al vivere in pace, alla salute, alla propria visione culturale, alla possibilità di progredire.
Un “richiedente asilo” è colui che è fuori del proprio paese e presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Fino al momento della decisione finale da parte delle autorità competenti, egli è un richiedente asilo, ed ha diritto di soggiorno regolare nel paese di destinazione. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità, o in maniera irregolare, attraverso i cosiddetti ‘flussi migratori misti’, composti cioè sia da migranti irregolari, che da potenziali rifugiati.
Questa è la definizione di “richiedente asilo” che ne dà la “Carta di Roma”: un fondamentale documento approvato dall’Ordine Italiano dei Giornalisti per promuovere una corretta informazione su una materia delicata come l’immigrazione. Tale definizione si fonda a sua volta su quella datane dalla Convenzione di Ginevra del 28 Luglio 1951, che qui si riporta:
“chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi”.
E’ essenziale, in questo testo, l’attenzione alla volontà individuale, sottolineata dai concetti di “timore” e di “volontà”. La risposta alla “richiesta di protezione” da parte delle autorità del Paese cui questa richiesta è rivolta, va quindi data sulla base del fatto che il “timore” sia o meno “giustificato”. Questa definizione fu data nel 1951, quando i problemi erano ben diversi da quelli attuali; ma, a maggior ragione, spicca la lungimiranza di tale dichiarazione. La fuga di intere popolazioni dai Paesi di origine ha sicuramente, per molti, motivazioni economiche. Ma per non pochi altri la motivazione sta nel fatto che in non poche parti del mondo, a molti non sono assicurate le minime condizioni di esistenza, per effetto diretto od indiretto di conflitti tribali, dittature, governi fondati sull’appartenenza etnica, situazioni di violenza endemica, persecuzioni religiose e razziali.
Queste definizioni mostrano quanto siano deboli e miserabili, oltre che ipocrite, le argomentazioni rese dal presidente del Consiglio, secondo il quale verrà accolto “solo chi ha le condizioni per ottenere l’asilo politico“. Non si comprende infatti come sia possibile accertare la sussistenza dei necessari requisiti se, a partire dalle acque internazionali, si rispediscono indietro le imbarcazioni senza aver loro consentito di toccar terra, ed avendo evitato di accertare se esse trasportino o meno richiedenti asilo, e con quali motivazioni.
E l’ipocrisia raggiunge il culmine quando si afferma che, dopo aver respinto a partire dalle acque internazionali i potenziali “richiedenti asilo”, cosa ne avvenga dopo non è più cosa che riguardi lo Stato Italiano, in quanto sarà poi la democratica Libia ad occuparsi della faccenda. Con quali garanzie per i diritti umani ed individuali è facile immaginare.
Occorre a questo punto ricordare come gran parte di questi “migranti”, provenienti dall’Africa sub sahariana, già sono transitati per la Libia, Paese al quale si sono ben guardati dal rivolgere richiesta di asilo. In quali condizioni si sia svolto quel viaggio, vien reso noto dai racconti degli scampati; o meglio, da quanto di questi racconti riesce a filtrare sulla stampa, come fu dopo il caso della Pinar; ma è cosa ben nota alle Organizzazioni Internazionali ed ai Governi che fingono di non sapere. Si tratta di gente che è stata sistematicamente depredata di tutto, violentata, obbligata a prestare il proprio lavoro o il proprio corpo pur di andar avanti nell’esodo transahariano verso Nord.
Ritenere che in quel paese, ed in quelle condizioni, possa venir accertato lo “status” di rifugiato, in modo sia pur severo, ma giusto, è solo ipocrita utopia. Gli oggetti dei “respingimenti” italiani saranno destinati ai campi di concentramento libici, finanziati in parte dall’Italia, nei quali è regola la sottoalimentazione, usuale la violenza, e non infrequente il decesso. Ed ai quali non hanno accesso le Organizzazioni Internazionali, anche perché l’amica Libia non ha mai aderito ad alcuna convenzione al riguardo. I respinti dall’Italia finiranno con l’aver di fronte a sé due sole alternative: venir ulteriormente “respinti” nei Paesi dai quali sono partiti, con quali conseguenze è facile immaginare, o restare come schiavi in Libia.
Rinverdendo così le tradizioni schiavistiche dell’Africa berbera e poi islamica nei confronti dell’Africa nera. E, giustamente, Laurens Jolles, delegato dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ha richiamato l’Italia alle sue responsabilità che, a questo punto, non sono più solo morali, ma anche giuridiche.
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Ma alla radice, vi è un’altra questione. Ed è il fatto che si teme che l’Italia venga “contaminata” culturalmente e razzialmente. Il capo del governo lo ha detto chiaramente: “la sinistra ha aperto le porte ad una idea che era ed è quella di un’Italia multietnica. Noi abbiamo un’idea diversa”. Emerge qui, con brutalità, uno dei noccioli del problema; il principale.
E’ una visione gretta e strabica, per la quale il riconoscimento di diritti ad un altro comporterebbe la riduzione dei propri: è lo stesso concetto che viene utilizzato per negare diritti alle coppie di fatto, dal cui riconoscimento giuridico deriverebbe, secondo questa visione, la riduzione dei diritti della famiglia tradizionale. A base di questo ragionamento sta la concezione della diversità come pericolo per l’organizzazione sociale. Si motiva e precisa così il rifiuto di un’Italia multietnica, in quanto questa distruggerebbe l’identità culturale e religiosa degli italiani. Il mantenimento di quest’identità richiederebbe, secondo questa visione, la non-presenza dei “diversi”, o quanto meno il loro isolamento in un ambito giuridicamente delimitato e subordinato, e la loro esclusione dalla sfera dei diritti.
A motivare questo atteggiamento vengono addotte diverse argomentazioni: da quelle brutalmente e francamente razziste, ad altre più subdole, ma altrettanto razziste nel metodo e nelle conclusioni, come quella della non integrabilità ed incompatibilità di culture troppo “diverse”.
Ma predomina, come argomentazione ormai trasferita dall’inconscio alla cultura ed alla politica del Paese, quella della richiesta di sicurezza che arriva dalla società italiana, dopo aver per anni fomentato sui media la psicosi dell’identificazione dello straniero proveniente da alcune aree del mondo come persona strutturalmente predisposta al crimine per motivi di DNA; e l’esser straniero, non necessariamente extracomunitario, è diventata automatica presunzione di sospetto in ogni indagine di polizia giudiziaria.
La questione della sicurezza, che è questione generale, e che riguarda tutti i residenti nei confini della Repubblica, viene così ad identificarsi con la questione della lotta all’immigrazione, clandestina o meno che sia, motivata o meno che sia dalla richiesta di asilo, in base al troppo facile sillogismo: meno immigrati vuol dire meno delinquenti.
E si pensa così di poter risolver la questione col sigillare le frontiere, negando l’applicazione dei principii umanitari universalmente riconosciuti, ed applicando una sistematica negazione dei più essenziali diritti, sino a configurare, in certe aree del Paese, punte di sistematiche ed oltraggiose politiche di apartheid, che riguardano anche gli immigrati “regolari”. La giusta richiesta della conoscenza della lingua, delle leggi, che molte altre democrazie applicano sì, ma in modo inclusivo, mettendo a disposizione degli immigrati strumenti educativi e formativi, diviene in Italia strumento e motivazione di esclusione, non essendo disponibile nel nostro Paese alcun canale di integrazione culturale; che d’altra parte, oramai si dichiara apertamente di voler impedire.
Il recente varo del DDL “sicurezza” esemplifica bene questa situazione.
I CIE, ex CPT, nei quali la sostanziale detenzione durerà sino a 6 mesi, non sono posti nei quali agli internati, senza distinzione di status tra richiedenti asilo, irregolari appena arrivati, o “sans papiers” inviativi successivamente al loro arrivo in Italia, si insegni alcun rudimento della lingua e delle leggi italiane: sono soltanto carceri in attesa del carcere, quello vero, o dell’espulsione, nelle quali viene fornita un’assistenza sanitaria carente, nessuna assistenza o consulenza legale, un’alimentazione insufficiente, nessun rispetto.
La negazione di diritti diviene evidente; ed è stato messo in moto, benché attenuato rispetto alle proposte iniziali, un meccanismo in base al quale qualsiasi immigrato tenderà ad evitare il più possibile il contatto con ogni forma di struttura pubblica, vedendovi il rischio della denuncia. Ne seguirà, inevitabilmente, lo sprofondare nell’arcipelago illegale o criminale, del lavoro nero, dell’affitto nero, del fornir bassa manovalanza alla criminalità.
Tutto ciò colloca l’Italia in una posizione anomala rispetto al resto d’Europa dal punto di vista del rispetto delle Convenzioni Internazionali e del rispetto dei diritti umani, quali generalmente riconosciuti in tutto il mondo civile. Oltre a questo, quella del governo italiano è una posizione che confligge con la storia del nostro Paese e con quella europea.
Sarebbe opportuno ricordare che l’intera l’Europa, ed anche i singoli Paesi che la compongono, hanno forti caratteri multietnici: che sia per effetto di invasioni pacifiche o no, lontane o vicine nel tempo, per effetto di scambi commerciali, di lavoro, di trasferimento dei produttori di cultura, l’Europa che noi conosciamo è andata costruendosi sulle contaminazioni, etniche e culturali, e l’Italia non è da meno. E non è inutile, al riguardo, ricordare l’epopea della nostra emigrazione.
A tal proposito, giova ricordare che nel resto d’Europa nessun governo, di destra quanto si vuole, si oppone alla “società multietnica” in quanto tale. Si prenda, per esempio, la Germania del cancelliere Angela Merkel, le cui politiche sull’immigrazione, conformemente alla linea politica della Grosse Koalition, sono sempre state finalizzate all’inclusione.
Ma anche all’interno di un quadro generale che, in Europa, sta attuando misure molto restrittive nei confronti dell’immigrazione, l’interpretazione del governo italiano resta del tutto preoccupante, in quanto non viene motivata dalla preoccupazione per le difficoltà economiche e sociali che indubbiamente forti flussi immigratori pongono, ma viene motivata e gestita come una questione “razziale”. Il “non vogliamo una società multietnica”, detto dal Capo del Governo, e non da un manifestante di destra, significa questo.
La recente “svolta”, sancita dal pieno avallo del governo lascia presagire involuzioni che devono destare la massima preoccupazione in chiunque abbia a cuore i diritti. Non solo i diritti dei migranti: i diritti di tutti.
Vogliamo, al riguardo ricordare la lapidaria parola che Albert Einstein, arrivando negli USA come esule dalla Germania nazista in quanto ebreo, ebbe a scrivere sul modulo dell’Ufficio Immigrazione ove veniva richiesto di indicare la propria razza: “UMANA”.
Alla cultura della purezza etnica, che ha ben tristi e dolorosi precedenti, occorre opporre una visione aperta ed inclusiva, fondata sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri e non sulla carità. Tra diritti e carità vi è la differenza sostanziale che i primi sono relativi all’uomo in quanto soggetto giuridico cosciente ed autonomo; la seconda, all’uomo in quanto essere vivente. Nel clima di indistinto disprezzo che oggi circonda chiunque provenga da determinate aree geografiche o appartenga a determinate etnie, le posizioni che la Chiesa Cattolica ha assunto al riguardo non sono da sottovalutare. Ma carità od assistenza non fanno di un essere umano un Uomo, quando non siano accompagnate dall’attribuzione di diritti e doveri, e dalla consapevolezza degli stessi.
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Resta, ovviamente, il “che fare?”.
L’unica nota di realismo che arrivi da questo Governo sta nell’affermazione che il peso della questione dell’immigrazione, clandestina o motivata con la richiesta dello status di rifugiato, non possa venir fatto gravare solo sui Paesi più vicini alle coste africane: Spagna, Italia, Malta, Grecia. Su questo, siamo d’accordo.
La questione dell’immigrazione sarà uno dei temi centrali degli anni a venire: il volerla contrastare combattendola frontalmente alle frontiere e negando diritti all’interno è pura utopia, che non risolve il problema, e creerà solo le condizioni per uno scontro di civiltà tra i ricchi ed i poveri del Mondo Antico ed il conflitto interno tra i poveri e gli ancor più poveri.
E le politiche di negazione dei diritti essenziali e dell’integrazione non potranno portare ad altro risultato che a quello di alimentare le fila del disadattamento sociale, dei fondamentalismi anti-occidentali, dell’illegalità, della criminalità.
Nel dibattito europeo, più che in Italia, esiste lo spazio, politico e pubblico, per rappresentare con forza e saldare tra loro i temi dell’inclusione, del rispetto dei diritti e dei principii internazionalmente riconosciuti, della libertà di culto, della laicità, del rispetto delle regole democratiche. E per individuare soluzioni comuni e condivise, che tengano conto delle difficoltà che un’immigrazione di massa crea, ma che non fondino sul principio razziale gli interventi che si dovranno adottare per governare il fenomeno.
Perché non c’è alcun dubbio che questo fenomeno vada controllato e governato, in maniera omogenea in tutta Europa, per l’elementare ragione che la logica delle barriere non regge sul medio periodo, e non è neanche pagante. E per il fatto che questa logica inutile non può essere adottata se non facendo ricorso a misure anti-umane che, in quanto tali, non possono trovar altra premessa che quella della presunzione dell’inferiorità razziale ed altro criterio che quello della separazione razziale.
E’ quest’ultima, purtroppo, la strada imboccata dal governo italiano, ed è questo il punto essenziale che ci distingue dal resto d’Europa. Dove, invece, il fenomeno, pur essendo regolamentato e, in alcuni casi, contrastato a causa delle conseguenze economico-sociali che esso produce, e delle quali un qualsivoglia governo non può non tener conto, non viene visto dai governi in termini di appartenenza razziale.
Non si tratta di “aprire” le frontiere a chiunque voglia entrare in Europa.
Si tratta invece di:
1- trattare chiunque nel rispetto pieno delle Convenzioni Internazionali e più generalmente, della dignità e dei diritti umani.
2- Distinguere, anche nei CIE, tra “richiedenti asilo”, internati in attesa di espulsione, e recidivi.
3- Allargare le condizioni per la legalizzazione.
4- Agire contro le organizzazioni che gestiscono il traffico dei “clandestini” e contro coloro che ne sfruttano il lavoro, lecito o illecito che sia.
5- Fornire a chiunque arrivi in Italia la possibilità di avere a disposizione adeguati strumenti per la propria tutela: da un minimo di conoscenza della lingua, alla possibilità di avvalersi di idonea assistenza legale.
6- Non rifiutare ad alcuno, regolare o no che sia, la possibilità di accedere ai servizi pubblici essenziali: sanità, istruzione, giustizia; quella di poter creare ed allevare famiglie regolari; e quella di accedere al lavoro regolare.
Istanze, queste, che devono essere portate e rappresentate anche in Europa per dire con forza al mondo civile che, con buona pace dei sondaggi citati dal cavaliere, esiste una parte grandissima dell’Italia che sceglie la civiltà contro la barbarie.
Un’Italia che crede in una visione diversa dell’immigrazione. Consapevole che una buona integrazione richiede lunghi e pazienti sforzi per venir costruita, e che non è possibile veder risultati nel breve termine. Ed altrettanto certa che quella che si sta seguendo non è la via giusta per costruire: l’integrazione si fonda su diritti e doveri riconosciuti, e nel dir questo siamo certi di non peccare d’ingenuità.
Sappiamo benissimo, infatti, che molti immigrati, arrivati in Italia, cadono nella spirale del crimine. Ma questo avviene in primo luogo perché le prime e più efficienti agenzie che si occupano della loro “accoglienza” sono le organizzazioni criminali, di matrice italiana e non.
Contro di queste occorre agire, con severità e determinazione. La “cattiveria” auspicata dal Ministro dell’Interno Maroni non va riservata agli indifesi, ma a coloro che traggono vantaggio dalla condizione di soggezione nella quale questi si trovano a causa della negazione di diritti e di qualsiasi possibilità di integrazione che viene loro riservata.
Le prime vittime di questa situazione, in Italia, sono gli onesti, ai quali viene sistematicamente resa la vita impossibile: poche possibilità, lavoro nero, sfruttamento, abitazioni fatiscenti, segregazione, difficoltà di praticare le proprie religioni.
Ed occorre, al riguardo, osservare che queste condizioni, ed il clima di “apartheid” che si è creato nel Paese, non fanno alcuna distinzione tra immigrati “regolari” ed “irregolari”. Il negare la costruzione di una moschea, così come il proporre la segregazione sui vagoni della Metropolitana di Milano, non fanno distinzioni al riguardo: ciò offende e nega diritti agli uni come agli altri.
Da tutti, lo Stato Italiano, deve esigere il rispetto incondizionato della propria legge penale, civile, fiscale. Da tutti, la società italiana deve esigere il lavoro e la partecipazione all’economia del Paese.
Ma, se si vuole questo, si devono creare le condizioni minime perché ciò possa avvenire.
PierPaolo Caserta, Gim Cassano, (16-05-2009)
Loredana Acanfora, Francesco Ancona, Associazione per il Libero Pensiero (Viterbo), Amedeo Bellini, Guido Bertrando, Andrea Bitetto, Giuseppe Cappelli, Maria Luisa Cascella, Marianna Coco, Barbara Codispoti, Simonetta Cormaci, Comitato Piero Gobetti, Cinzia Dato, Giovanni De Medici, Francesca Gallo, Marzia Gelardi, Maurizio Giancola, Nino Gulisano, Ciro Lattero, Enrico Lecis Cocco-Ortu, Andrea Liberati, Maria Carmela Liggieri, Roberta Lucarelli, Enzo Marzo, Annalisa Mauro, Nello Mazzone, Ignazio Monaco, Pietro Muraglia, Monica Musri, Giancarlo Nobile, Ernesto Paolozzi, Paolo Patanè, Aldo Penna, Costanza Pera, Saro Pettinato, Sandro Picciola, Raffaele Prodromo, Beatrice Rangoni Machiavelli, Eliana Rasera, Maurizio Scarano, Enzo Strazzera, Roberta Tescari, Luigi Tardella, Maria Gabriella Tinè, Gianluca Ursini, Francesco Velo, Cristina Vietti, Ugo Vietti, Francesco Verducci, Olimpia Volpe, Maria Zaniboni, Valerio Zanone.
Chi, individuo o soggetto collettivo, intenda dare la propria adesione al testo che precede, può farlo inviando al seguente indirizzo: unasolarazza@gmail.com un messaggio contenente nome e cognome ed indirizzo e-mail; e, se lo ritiene, indirizzo e n° di telefono.
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venerdì 12 giugno 2009
Gheddafi alla Sapienza
L'intervento del rais libico Muammar Gheddafi ieri pomeriggio nell’Aula magna della Sapienza di Roma è stato qualcosa di pazzesco, sia per ciò che ha detto (ma che era immaginabile visto il personaggio) che per il modo in cui è stato accolto dall'Università (per non parlare dell'accoglienza che gli è stata data da tutta l'Italia istituzionale). Diversi studenti e docenti gli hanno posto domande (alcune di queste fatte senza neppure documentarsi adeguatamente) e Gheddafi ha avuto modo di spiegare la sua politica senza alcun minimo contraddittorio. Un gruppo di studenti del movimento di contestazione L’Onda ha cercato di intervenire leggendo un testo dalla platea dell’aula magna. Il servizio d’ordine li ha subito zittiti spegnendo loro il microfono. Il servizio d'ordine ha pure impedito ai giornalisti di alzarsi per osservare meglio l’accaduto. Al termine della cerimonia i contestatori hanno tentato di nuovo di parlare, ma sono stati sopraffatti da applausi e fischi provenienti dalle prime file della platea. Gheddafi ha risposto lanciando baci e ringraziando la platea.
Fuori dall'Ateneo ci sono stati diversi scontri tra studenti e polizia. Gli studenti hanno lanciato secchi di vernice rossa e palloncini ripieni di essa verso gli agenti per "ricordare il sangue versato dagli immigrati respinti" (secondo le parole degli studenti). Alla vernice addosso, polizia e carabinieri hanno reagito con una carica.
Con un'ora di ritardo sul protocollo, il rais è poi giunto in Campidoglio dove ad attenderlo c'era Alemanno. Il colonnello libico è stato accolto da un applauso, si è affacciato alla balconata sulla piazza del Campidoglio intrecciando le mani e alzando le braccia al cielo in segno di vittoria. Uno striscione con la scritta "Benvenuto Gheddafi, forza Roma" è stato esposto sulle transenne disposte davanti a palazzo Senatorio. A srotolarlo alcuni tifosi giallorossi che così esprimono il proprio pensiero in merito al possibile interesse di una cordata libica per l'acquisto della società.
Fuori dall'Ateneo ci sono stati diversi scontri tra studenti e polizia. Gli studenti hanno lanciato secchi di vernice rossa e palloncini ripieni di essa verso gli agenti per "ricordare il sangue versato dagli immigrati respinti" (secondo le parole degli studenti). Alla vernice addosso, polizia e carabinieri hanno reagito con una carica.
Con un'ora di ritardo sul protocollo, il rais è poi giunto in Campidoglio dove ad attenderlo c'era Alemanno. Il colonnello libico è stato accolto da un applauso, si è affacciato alla balconata sulla piazza del Campidoglio intrecciando le mani e alzando le braccia al cielo in segno di vittoria. Uno striscione con la scritta "Benvenuto Gheddafi, forza Roma" è stato esposto sulle transenne disposte davanti a palazzo Senatorio. A srotolarlo alcuni tifosi giallorossi che così esprimono il proprio pensiero in merito al possibile interesse di una cordata libica per l'acquisto della società.
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domenica 7 giugno 2009
Uncle Max wants you!
Una carissima amica mi ha mandato la lettera che qui di seguito pubblico sottoponendo ai lettori del blog non tanto la questione se proporre o no la mia candidatura a qualcosa, bensì la richiesta di fare politica con me. Chi ci sta? Chi vuole aderire al Nuovo Partito d'Azione per un'Italia più libera e più giusta? Chi vuole aderire a Spazio Lib-Lab per un'Italia più liberale, più moderna, più socialista in senso europeo e riformatore? Qualcuno di voi ha qualcosa da proporre?
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caro massi,
tu non sei senza arte ne parte sei un laureato superingamba con una gran cultura. secondo me dovresti insistere per ritagliarti un posto in politica, io manco ci provo per una mia ignoranza totale in materia ,non mi sento proprio all'altezza, ma so per certo che tu lo sei. insisti! e provale tutte per farti candidare ovunque. se non ci provi allora è sicuro che non ce la fai, ma tu almeno prova e insisti per un pò. e abbi fiducia in te, io c'è l'ho perche ti conosco e so quanto vali. io sono pronta a stravotarti in qualunque partito ti candiderai.
saluti e baci,
ale.
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caro massi,
tu non sei senza arte ne parte sei un laureato superingamba con una gran cultura. secondo me dovresti insistere per ritagliarti un posto in politica, io manco ci provo per una mia ignoranza totale in materia ,non mi sento proprio all'altezza, ma so per certo che tu lo sei. insisti! e provale tutte per farti candidare ovunque. se non ci provi allora è sicuro che non ce la fai, ma tu almeno prova e insisti per un pò. e abbi fiducia in te, io c'è l'ho perche ti conosco e so quanto vali. io sono pronta a stravotarti in qualunque partito ti candiderai.
saluti e baci,
ale.
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venerdì 5 giugno 2009
Giornata Internazionale dell’Ambiente
Oggi è la Giornata Internazionale dell’Ambiente (W.E.D. World Environment Day). Diverse sono le iniziative previste in tutto il mondo. Ad istituirla fu, nel 1972, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, in occasione dell’apertura della Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano nel corso della quale prese forma il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (U.N.E.P. United Nations Environment Programme). Rappresenta una delle principali iniziative con cui l’ONU stimola in tutto il mondo la consapevolezza ambientalista, anche politica, ed azioni concrete in tal senso. È anche un giorno di riflessione ed il tema su cui riflettere per quest'anno è: “Il vostro pianeta ha bisogno di voi, uniti per combattere il cambiamento climatico”. In molti paesi questo giorno offre l’opportunità di firmare o ratificare le convenzioni internazionali ed anche, alcune volte, porta alla creazione di strutture governative permanenti volte alla tutela ambientale.
La Giornata Internazionale dell’Ambiente può essere celebrata in tanti modi: manifestazioni per le strade, parate in bicicletta, concerti in aree verdi, concorsi e saggi scolastici, proiezioni di documentari, mostre fotografiche, campagne per il riciclaggio dei rifiuti, pulizia di zone degradate, seminari, tavole rotonde e convegni. Io la celebro pubblicando qui quest'articolo che venne pubblicato il mese scorso sul sito del Movimento Arancione, per poi essere reso invisibile ai suoi lettori tramite una strana operazione che si inserisce in un insieme di atti del movimento stesso per i quali reclamo ancora spiegazioni.
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LA TERRA CHIEDE AIUTO
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di Sara Acireale
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IL 22 aprile 2009 è stata proclamata LA GIORNATA MONDIALE DELLA TERRA. Nel G8 di Siracusa al centro del summit si sono discussi i problemi della terra e dell'ambiente. In questo inizio del XXI secolo, penso che se potessero farlo, le creature marine e terrestri lancerebbero uno straziante S.O.S per essere salvate. Le creature marine sono in pericolo: balene, delfini e tutti gli altri abitanti del mare, comprese le microcellule di plancton che costituiscono la base della catena alimentare oceanica. Si tratta di esseri la cui esistenza è fondamentale per l'ecosistema del pianeta e che rischiano di morire soffocati dalle nostre discariche.
Un altro allarmante S.O.S arriva dagli organismi vegetali minacciati a morte dalle piogge acide, dagli incendi, dai disboscamenti irresponsabili. Le acque del pianeta danno segni sempre più evidenti dell'avvicinarsi di un tracollo dalle conseguenze micidiali. Il globo si va riscaldando sempre di più con enormi riduzioni della consistenza di fiumi e laghi e con gravissime conseguenze per l'agricoltura.
Anche in Italia stiamo assistendo alle fasi del temuto "effetto serra". Trattasi della minore dispe rsione nello spazio del calore solare da parte dell'ntero nostro pianeta a causa dell'aumento dell'anidride carbonica nell'aria dovuto all'uso umano dei combustibili fossili. Si pensi che soltanto l'aumento di qualche grado della temperatura media sulla terra potrebbe portare alla fusione di buona parte dei ghiacci polari e al conseguente aumento del livello dei mari. La maggior parte delle città costiere sarebbe sommersa. Inoltre si potrebbero verificare catastrofici cambiamenti climatici.
Ai nostri occhi si impone con insistenza l'immagine di una natura sfruttata e depauperata dall'uomo. Oltre al fenomeno dell'effetto serra va aggiunto che l'atmosfera terrestre sta subendo un altro terribile disastro: lo scarico nell'aria di notevoli quantità di fluocarbonici (fluidi impiegati nelle bombolette spray e in gran numero di attività industriali) sta perturbando lo strato di ozono che avvolge l'atmosfera, assorbe la radiazione ultravioletta del sole e protegge la vita sul nostro pianeta.
Occorre subito prendere misure drastiche e non attendere oltre. La natura che finora ha riciclato sempre tutto, non sarà più in grado di rimarginare le ferite subite. Il suo S.O.S non può restare inascoltato da tutti noi, sia dai semplici cittadini e (a maggiore ragione) dagli uomini che hanno in mano il destino del mondo.
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L'uomo ha distrutto tutto,
i fiumi, i laghi, il mare:
Un S.O.S manda la terra,
vuole essere salvata
ma c'è l'effetto serra.
La natura
a poco a poco muore,
si seccano i ruscelli,
non cantano gli uccelli.
Non sbocciano le rose,
non volano farfalle.
Lo smog rovina l'aria,
l'industria tutto inquina.
Anche il sole è malato,
c'è il buco nell'ozono.
Tutto si secca e muore.
Nelle spiagge c'è il catrame,
si sciolgono i ghiacciai.
L'umanità si trova
in un mare di guai.
Potenti della terra
io mi rivolgo a voi
se l'umanità perisce,
perirete anche voi.
La Giornata Internazionale dell’Ambiente può essere celebrata in tanti modi: manifestazioni per le strade, parate in bicicletta, concerti in aree verdi, concorsi e saggi scolastici, proiezioni di documentari, mostre fotografiche, campagne per il riciclaggio dei rifiuti, pulizia di zone degradate, seminari, tavole rotonde e convegni. Io la celebro pubblicando qui quest'articolo che venne pubblicato il mese scorso sul sito del Movimento Arancione, per poi essere reso invisibile ai suoi lettori tramite una strana operazione che si inserisce in un insieme di atti del movimento stesso per i quali reclamo ancora spiegazioni.
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LA TERRA CHIEDE AIUTO
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di Sara Acireale
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IL 22 aprile 2009 è stata proclamata LA GIORNATA MONDIALE DELLA TERRA. Nel G8 di Siracusa al centro del summit si sono discussi i problemi della terra e dell'ambiente. In questo inizio del XXI secolo, penso che se potessero farlo, le creature marine e terrestri lancerebbero uno straziante S.O.S per essere salvate. Le creature marine sono in pericolo: balene, delfini e tutti gli altri abitanti del mare, comprese le microcellule di plancton che costituiscono la base della catena alimentare oceanica. Si tratta di esseri la cui esistenza è fondamentale per l'ecosistema del pianeta e che rischiano di morire soffocati dalle nostre discariche.
Un altro allarmante S.O.S arriva dagli organismi vegetali minacciati a morte dalle piogge acide, dagli incendi, dai disboscamenti irresponsabili. Le acque del pianeta danno segni sempre più evidenti dell'avvicinarsi di un tracollo dalle conseguenze micidiali. Il globo si va riscaldando sempre di più con enormi riduzioni della consistenza di fiumi e laghi e con gravissime conseguenze per l'agricoltura.
Anche in Italia stiamo assistendo alle fasi del temuto "effetto serra". Trattasi della minore dispe rsione nello spazio del calore solare da parte dell'ntero nostro pianeta a causa dell'aumento dell'anidride carbonica nell'aria dovuto all'uso umano dei combustibili fossili. Si pensi che soltanto l'aumento di qualche grado della temperatura media sulla terra potrebbe portare alla fusione di buona parte dei ghiacci polari e al conseguente aumento del livello dei mari. La maggior parte delle città costiere sarebbe sommersa. Inoltre si potrebbero verificare catastrofici cambiamenti climatici.
Ai nostri occhi si impone con insistenza l'immagine di una natura sfruttata e depauperata dall'uomo. Oltre al fenomeno dell'effetto serra va aggiunto che l'atmosfera terrestre sta subendo un altro terribile disastro: lo scarico nell'aria di notevoli quantità di fluocarbonici (fluidi impiegati nelle bombolette spray e in gran numero di attività industriali) sta perturbando lo strato di ozono che avvolge l'atmosfera, assorbe la radiazione ultravioletta del sole e protegge la vita sul nostro pianeta.
Occorre subito prendere misure drastiche e non attendere oltre. La natura che finora ha riciclato sempre tutto, non sarà più in grado di rimarginare le ferite subite. Il suo S.O.S non può restare inascoltato da tutti noi, sia dai semplici cittadini e (a maggiore ragione) dagli uomini che hanno in mano il destino del mondo.
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L'uomo ha distrutto tutto,
i fiumi, i laghi, il mare:
Un S.O.S manda la terra,
vuole essere salvata
ma c'è l'effetto serra.
La natura
a poco a poco muore,
si seccano i ruscelli,
non cantano gli uccelli.
Non sbocciano le rose,
non volano farfalle.
Lo smog rovina l'aria,
l'industria tutto inquina.
Anche il sole è malato,
c'è il buco nell'ozono.
Tutto si secca e muore.
Nelle spiagge c'è il catrame,
si sciolgono i ghiacciai.
L'umanità si trova
in un mare di guai.
Potenti della terra
io mi rivolgo a voi
se l'umanità perisce,
perirete anche voi.
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mercoledì 3 giugno 2009
Voto Hack
Ieri era la Festa della Repubblica e la nostra amata patria nazionale è uno dei soci fondatori dell'Unione Europea. Sabato e domenica prossimi si vota per il parlamento europeo ed io propendo per votare Margherita Hack, nella lista comunista. Più persone, tra amici e conoscenti, mi hanno detto che la Hack sembra inquadrata e chiusa. C'è chi è giunto ad affermare che la Hack le è "sempre parsa un pò troppo ottusa zero apertura mentale". Se così fosse sarebbe una pessima scienziata e ciò non è vero. Forse piace poco chi dice pubblicamente ciò che pensa senza mezzi termini e Margherita Hack mi pare proprio sia tra le persone sincere che se peccano in qualcosa ciò è la mancanza di diplomazia. Le sue idee, inoltre, non sono certo di moda nell'Italia di oggi e visibilità non ne ha quasi per nulla. Inoltre ha di meglio da fare che fare politica nel senso comune del termine, ovvero nel senso di spartizione del potere. Se a tutto ciò aggiungiamo che è candidata in una lista che difficilmente raggiungerà il 4% e che la sua stessa lista l'ha candidata nella circoscrizione Sicilia e Sardegna, in cui nessuno o quasi la voterà, arriviamo alla conclusione che il mio voto finirà per esprimere semplicemente un dissenso laico e di sinistra all'andazzo della politica italiana. Trovo conforto nel fatto che pure il Nuovo Partito d'Azione ha scelto di appoggiare la lista comunista, essendo abortito l'accordo con Sinistra e Libertà. Non trovo ad oggi nessuna alternativa migliore di voto. Si accettano consigli.
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Massimo Messina
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lunedì 1 giugno 2009
La pentecoste di Don Franco Barbero
Dal blog di Don Franco Barbero
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PENTECOSTE
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Commento alla lettura biblica - domenica 31 maggio 2009
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Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio» (Atti 2, 1-11).
Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.( Giov. 15, 26-27)
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà. (Giov. 16, 12-15)
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A parte l'indecoroso "affettamento" dei testi biblici che la liturgia del messale oggi ci propone (saltando da un capitolo all'altro e cucendo un versetto all'altro), la Pentecoste non è una festa priva di incisivo riferimento alla nostra vita cristiana. Essa è diventata purtroppo la cenerentola delle feste cristiane.
Si fa un pò di retorica dogmatica sullo Spirito Santo, ma sostanzialmente si cerca di "aggirare l'ostacolo", di "ammansire" e annacquare il messaggio disturbante della Pentecoste.
Siccome questa festa ricorda quel "vento impetuoso che riempì tutta la casa in cui si trovavano" (Atti 2, 3) e quel "parlare lingue diverse" (Atti 2, 4), essa ci riconduce ad un evento scomodo: Dio, qui rappresentato simbolicamente dal vento impetuoso e dalle lingue di fuoco che si posano su ognuno dei presenti, entra in questa casa come forza che sconvolge, risveglia, apre porte e finestre.
Nella pagina del Vangelo di Giovanni che abbiamo letto si parla invece del "Paraclito", il "chiamato accanto".
Per i discepoli che stanno per intraprendere il cammino nelle vie del mondo, Dio sarà colui che starà accanto, guiderà verso la verità. Lo Spirito Santo è la "cifra" teologica per dire la vicinanza e la forza con cui Dio sosterrà il cuore e l'azione dei discepoli. Lo sappiamo: senza questa forza che viene "dal cielo" non c'è possibilità di inoltrarsi con fiducia e speranza nelle vie del mondo. Queste donne e questi uomini ne erano ben consapevoli.
Ovviamente, lo Spirito Santo è semplicemente, nel linguaggio biblico, un altro nome di Dio. Non è un'entità divina diversa e separata dal Padre. La stessa "trinità" non indica tre divinità, ma è un simbolo (appunto la "simbolica trinitaria") per esprimere i diversi modi in cui noi percepiamo nella fede la presenza e l'amore di Dio nella nostra vita. Lo Spirito è Dio che si manifesta a noi come vento che ci sospinge, "confortatore", "chiamato vicino come difensore", guida alla verità intera...
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Ci vorrebbe questo vento...
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Mi piace molto indugiare a riflettere su questo vento impetuoso.
Ciascuno/a di noi, in parecchi momenti della vita, sente che per superare l'egoismo, per stanarsi dalle proprie pigrizie, per uscire da certi compromessi ha bisogno di un "vento impetuoso", di uno scossone.
Se ci lasciamo penetrare dal messaggio evangelico in profondità, "il vento di Dio" arriva davvero e scuote tutta la casa, cioè le coordinate della nostra vita. Dio sa raggiungerci e regalarci dei benefici terremoti per farci uscire dai nostri "luoghi chiusi", dalle prigioni del nostro egoismo e dei nostri pregiudizi.
Quanto bisogno di vento impetuoso c'è nelle nostre chiese! Da giovane avevo scritto un sogno. Una ventata divina più impetuosa del solito aveva sradicato il Vaticano che, come un castello di carta, si era trasformato in case popolari. Lo stesso vento aveva profeticamente "dato alla testa" al papa che, radunati i cardinali, li aveva licenziati e sconvolti invitandoli ad andare a vivere con lui nelle borgate romane per occuparsi di cose serie, anzichè trastullarsi in vari discorsi ai capi di stato, agli ambasciatori, ai grandi della terra. Nel sogno andai qua e là in alcune chiese mentre la domenica si celebrava l'eucarestia. Comparivano parroci uomini e parroci donne che annunciavano un vangelo di pace, di giustizia mai udito così chiaramente. Per giunta in quelle chiese, gioiosamente, con rispetto, tutti/e potevano prendere la parola... Da queste liturgie erano ormai assenti tutti coloro che oggi vanno a far bella mostra di sé in vista delle elezioni. Vedevo questi eleganti signori uscire scuotendo il capo... Come dovremmo saper accogliere questo vento di Dio, questo soffio liberatore, questa azione di un Dio scatenato che ci porti via un po' di dogmi, un po' di privilegi, un po' di affari e di concordati, un po' di reliquie e di madonne vaganti, un po' di liturgie imperiali, un po' di documenti papali, di diktat assurdi...
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Un clima nuovo
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In questi anni i vertici della nostra chiesa hanno sbarrato porte e finestre. L'aria non è più quella di una casa, ma si respira clima da mausoleo o, peggio, da carcere.
Anzichè lasciarci guidare verso un futuro inedito con fiducia, siamo così tentati di rimpiangere il passato e di rinchiuderci in esso, nella ripetizione. Ecco l'antipentecoste che è in atto....Non si accoglie il soffio accompagnatore verso le sfide che ci attendono, ma si legge in ogni alito di vento qualcosa che disturba, che sconvolge, che porta via dei pezzi di tradizione. La chiesa diventa un museo nel quale, da spettatori, ammiriamo i "pezzi" del passato con scarso senso critico e con lo spirito del custode che li difende dai ladri. Guardiani del passato anzichè creatori di futuro.
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C'è un però...
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La Pentecoste non solo è smascheramento di tante ipocrisie, ma ancor più è un vero e proprio "attentato" contro chi vorrebbe imporre alla chiesa una sola lingua, quella della gerarchia. Lo Spirito di Dio dà la parola ai muti e infonde coraggio a tutte quelle donne e a quegli uomini che nella comunità cristiana non hanno voce, sono fatti tacere.
Sarebbe davvero pentecoste se nella predicazione, anzichè ripetere i premasticati vaticani, si annunciasse il messaggio liberante della Scrittura.
La comunità di Gesù ha bisogno di mille voci per poter vivere e crescere nella libertà. Troppi/e cristiani/e sono senza voce perchè il potere ha tolto spazio e libertà e li ha riempiti di paura.
Ma qui non basta additare nei gerarchi cattolici i primi responsabili di una crisi profonda. Io, in prima persona, debbo domandarmi se accolgo la voce e il soffio vitale di Dio, la Sua spinta verso il futuro. Non mi sono mai piaciuti quei cristiani, quei teologi, quei preti che scaricano tutte le responsabilità sul papa, sul vescovo, sul parroco...No: questo non basta, non è tutto. E' lecita e doverosa la critica quando io, insieme, mi assumo la responsabilità della mia parte, quella che mi compete come discepolo di Gesù. Esiste una mia responsabilità personale, una "risposta" che debbo dare io in prima persona. Ma io mi lascio coinvolgere da questo vento impetuoso?
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PENTECOSTE
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Commento alla lettura biblica - domenica 31 maggio 2009
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Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore dicevano: «Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio» (Atti 2, 1-11).
Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.( Giov. 15, 26-27)
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà. (Giov. 16, 12-15)
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A parte l'indecoroso "affettamento" dei testi biblici che la liturgia del messale oggi ci propone (saltando da un capitolo all'altro e cucendo un versetto all'altro), la Pentecoste non è una festa priva di incisivo riferimento alla nostra vita cristiana. Essa è diventata purtroppo la cenerentola delle feste cristiane.
Si fa un pò di retorica dogmatica sullo Spirito Santo, ma sostanzialmente si cerca di "aggirare l'ostacolo", di "ammansire" e annacquare il messaggio disturbante della Pentecoste.
Siccome questa festa ricorda quel "vento impetuoso che riempì tutta la casa in cui si trovavano" (Atti 2, 3) e quel "parlare lingue diverse" (Atti 2, 4), essa ci riconduce ad un evento scomodo: Dio, qui rappresentato simbolicamente dal vento impetuoso e dalle lingue di fuoco che si posano su ognuno dei presenti, entra in questa casa come forza che sconvolge, risveglia, apre porte e finestre.
Nella pagina del Vangelo di Giovanni che abbiamo letto si parla invece del "Paraclito", il "chiamato accanto".
Per i discepoli che stanno per intraprendere il cammino nelle vie del mondo, Dio sarà colui che starà accanto, guiderà verso la verità. Lo Spirito Santo è la "cifra" teologica per dire la vicinanza e la forza con cui Dio sosterrà il cuore e l'azione dei discepoli. Lo sappiamo: senza questa forza che viene "dal cielo" non c'è possibilità di inoltrarsi con fiducia e speranza nelle vie del mondo. Queste donne e questi uomini ne erano ben consapevoli.
Ovviamente, lo Spirito Santo è semplicemente, nel linguaggio biblico, un altro nome di Dio. Non è un'entità divina diversa e separata dal Padre. La stessa "trinità" non indica tre divinità, ma è un simbolo (appunto la "simbolica trinitaria") per esprimere i diversi modi in cui noi percepiamo nella fede la presenza e l'amore di Dio nella nostra vita. Lo Spirito è Dio che si manifesta a noi come vento che ci sospinge, "confortatore", "chiamato vicino come difensore", guida alla verità intera...
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Ci vorrebbe questo vento...
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Mi piace molto indugiare a riflettere su questo vento impetuoso.
Ciascuno/a di noi, in parecchi momenti della vita, sente che per superare l'egoismo, per stanarsi dalle proprie pigrizie, per uscire da certi compromessi ha bisogno di un "vento impetuoso", di uno scossone.
Se ci lasciamo penetrare dal messaggio evangelico in profondità, "il vento di Dio" arriva davvero e scuote tutta la casa, cioè le coordinate della nostra vita. Dio sa raggiungerci e regalarci dei benefici terremoti per farci uscire dai nostri "luoghi chiusi", dalle prigioni del nostro egoismo e dei nostri pregiudizi.
Quanto bisogno di vento impetuoso c'è nelle nostre chiese! Da giovane avevo scritto un sogno. Una ventata divina più impetuosa del solito aveva sradicato il Vaticano che, come un castello di carta, si era trasformato in case popolari. Lo stesso vento aveva profeticamente "dato alla testa" al papa che, radunati i cardinali, li aveva licenziati e sconvolti invitandoli ad andare a vivere con lui nelle borgate romane per occuparsi di cose serie, anzichè trastullarsi in vari discorsi ai capi di stato, agli ambasciatori, ai grandi della terra. Nel sogno andai qua e là in alcune chiese mentre la domenica si celebrava l'eucarestia. Comparivano parroci uomini e parroci donne che annunciavano un vangelo di pace, di giustizia mai udito così chiaramente. Per giunta in quelle chiese, gioiosamente, con rispetto, tutti/e potevano prendere la parola... Da queste liturgie erano ormai assenti tutti coloro che oggi vanno a far bella mostra di sé in vista delle elezioni. Vedevo questi eleganti signori uscire scuotendo il capo... Come dovremmo saper accogliere questo vento di Dio, questo soffio liberatore, questa azione di un Dio scatenato che ci porti via un po' di dogmi, un po' di privilegi, un po' di affari e di concordati, un po' di reliquie e di madonne vaganti, un po' di liturgie imperiali, un po' di documenti papali, di diktat assurdi...
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Un clima nuovo
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In questi anni i vertici della nostra chiesa hanno sbarrato porte e finestre. L'aria non è più quella di una casa, ma si respira clima da mausoleo o, peggio, da carcere.
Anzichè lasciarci guidare verso un futuro inedito con fiducia, siamo così tentati di rimpiangere il passato e di rinchiuderci in esso, nella ripetizione. Ecco l'antipentecoste che è in atto....Non si accoglie il soffio accompagnatore verso le sfide che ci attendono, ma si legge in ogni alito di vento qualcosa che disturba, che sconvolge, che porta via dei pezzi di tradizione. La chiesa diventa un museo nel quale, da spettatori, ammiriamo i "pezzi" del passato con scarso senso critico e con lo spirito del custode che li difende dai ladri. Guardiani del passato anzichè creatori di futuro.
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C'è un però...
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La Pentecoste non solo è smascheramento di tante ipocrisie, ma ancor più è un vero e proprio "attentato" contro chi vorrebbe imporre alla chiesa una sola lingua, quella della gerarchia. Lo Spirito di Dio dà la parola ai muti e infonde coraggio a tutte quelle donne e a quegli uomini che nella comunità cristiana non hanno voce, sono fatti tacere.
Sarebbe davvero pentecoste se nella predicazione, anzichè ripetere i premasticati vaticani, si annunciasse il messaggio liberante della Scrittura.
La comunità di Gesù ha bisogno di mille voci per poter vivere e crescere nella libertà. Troppi/e cristiani/e sono senza voce perchè il potere ha tolto spazio e libertà e li ha riempiti di paura.
Ma qui non basta additare nei gerarchi cattolici i primi responsabili di una crisi profonda. Io, in prima persona, debbo domandarmi se accolgo la voce e il soffio vitale di Dio, la Sua spinta verso il futuro. Non mi sono mai piaciuti quei cristiani, quei teologi, quei preti che scaricano tutte le responsabilità sul papa, sul vescovo, sul parroco...No: questo non basta, non è tutto. E' lecita e doverosa la critica quando io, insieme, mi assumo la responsabilità della mia parte, quella che mi compete come discepolo di Gesù. Esiste una mia responsabilità personale, una "risposta" che debbo dare io in prima persona. Ma io mi lascio coinvolgere da questo vento impetuoso?
Pubblicato da e, se non altrimenti specificato, di
Massimo Messina
- Pubblicato alle
08:45
6 commenti:
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