Quarta intervista a Silvano Borruso
Nella scorsa intervista (http://nonviolento.blogspot.com/2012/01/se-i-professori-di-economia-dicessero.html) ha citato una felice espressione di Gesell che intendo qui esporre più estesamente:
«Fiumi di sangue, montagne di cadaveri; mari di denaro e di sudore sperperati invano! La geografia politica della nostra Terra rassomiglia al cappotto, rabberciato e a brandelli, di un mendicante. Nuove barriere vengono erette tutti i giorni, e ogni nazione sorveglia sempre più gelosamente, come un mendicante, il brandello di stoffa ereditato dagli antenati.» (tratto da L'Ordine Economico Naturale di Silvio Gesell, Parte II - Cap. 5 RAGIONE PER LA NAZIONALIZZAZIONE FONDIARIA).Tutto ciò dipende esclusivamente dalle politiche economiche o ci sono anche altre cause?
Le politiche economiche non sono che conseguenza di un errore filosofico di base, cioè ammettere che la terra possa essere “proprietà” di qualcuno. Mi rendo conto di dirla grossa, e pertanto di essere in dovere di giustificare rigorosamente una tale posizione. Il discorso è lungo, ma facciamolo.
Il diritto di proprietà è naturale, e pertanto morale e legittimo, in tre casi:
- Quando si tratta di un prodotto da lavoro proprio.
- Quando si ottiene prodotto di lavoro altrui con quello proprio, con o senza mezzo di scambio.
- Quando è res nullius, cioè senza un tracciabile autore o proprietario dello stesso.
Orbene, a quale caso corrisponde un appezzamento terriero?
Al primo no: la terra non è manufatturato umano. La si trova al nascere, la si lascia al morire.
Al secondo potrebbe sembrare di sì, ma per metà. Benchè non fatta, la terra la si può comprare, o ereditare, anche per secoli, e pacificamente. Ma - faceva notare Henry George - se si risale nel tempo, si troverà immancabilmente che all’origine di un qualsiasi titolo di proprietà, in qualsiasi parte del mondo, è un atto di violenza: conquista manu militari, espropriazione forzata, frode, omicidio, e simili. Si noti il neretto: l’occupazione originaria da parte di una comunità da sempre avviene senza titolo. Fino ad oggi esistono tali comunità, dove il problema fondiario (ancora) non genera violenza. L’alternativa sarebbe stata quindi o un contratto di affitto con la comunità originaria, o espellerla con la violenza. Storicamente si scelse il secondo metodo, con le conseguenze descritte da Gesell.
Al terzo potrebbe anche sembrare di sì, ma attenzione: un appezzamento di terra, è res? Non c’è bisogno di addentrarsi molto nelle categorie aristoteliche per rendersi conto che si tratta di locus, o meglio situs.
Un tale diritto quindi non sussiste in nessuno dei tre casi.
Se dovessimo fermarci qui, il problema sarebbe insolubile. Ma non ci si strappi i capelli. Continuiamo.
È possibile superare tale situazione? Come?
Mettendo ogni cosa al suo posto, cominciando da res. Se l’appezzamento di terra non è res, la Terra, il pianeta, lo è. Come dice Gesell, il globo è proprietà del genere umano nel suo insieme. Ognuno ha il diritto naturale di insediarsi e di lavorare dove i suoi desideri e talenti lo portano. Ciò non glie lo proibisce la Natura, ma le cattive leggi, nella fattispecie quelle fondiarie, con ostacoli di ogni genere alle libertà personali. Ma non è stato sempre così. Chi ricorda che fino al 1914 non esisteva quella palla al piede chiamata “passaporto”?
Il principio naturale è quindi doppio:
- La terra non appartiene a nessuno;
- Ognuno ha il diritto di occuparne la superficie di cui bisogna per vivere e lavorare.
Il termine “nazionalizzazione” usato da Gesell è infelice, in quanto dà l’idea che l’unico proprietario terriero debba essere lo Stato. Ma se distinguiamo “Stato” da “nazione”, l’unico servizio richiesto allo Stato sarebbe quello di difendere l’occupazione privata secondo contratto, stilato dalle due parti. Così facendo, la rendita da occupazione andrebbe al 100% alla comunità che l’ha creata, e quella da lavoro al 100% a chi ha creato ricchezza. E non sarebbe possibile speculare sul prezzo di vendita di una proprietà, ora limitato al costruitovi su senza quello del suolo.
Sempre nella scorsa intervista ha affermato che «Senza la protezione di corpi intermedi, l’individuo è alla mercè di uno Stato sempre più invadente e asfissiante di libertà personali.», ma ha anche affermato che la democrazia multipartitica è un errore destabilizzante. Se i partiti non rientrano nella sua idea di corpi intermedi che possano proteggere gli individui, quali altri corpi intermedi immagina possano svolgere tale funzione?
Sempre nella scorsa intervista ha affermato che «Senza la protezione di corpi intermedi, l’individuo è alla mercè di uno Stato sempre più invadente e asfissiante di libertà personali.», ma ha anche affermato che la democrazia multipartitica è un errore destabilizzante. Se i partiti non rientrano nella sua idea di corpi intermedi che possano proteggere gli individui, quali altri corpi intermedi immagina possano svolgere tale funzione?
Il partito politico non ha mai fatto da intermediario tra il popolo e il potere. Ha sempre fatto gli interessi del potere, dalla sua fondazione nell’Inghilterra del secolo XVII. Ma sorvoliamo. I corpi intermedi naturali, prima che la Cristianità venisse smantellata dai colpi della Rivoluzione, erano la famiglia, la corporazione/confraternita, il Municipio, e le alleanze di municipi chiamate con diversi nomi secondo le tradizioni locali. Ognuno di questi corpi godeva di libertà antiche, tradizionali, che i sovrani giuravano di rispettare. La statua di Carlo V a piazza Bologna, a Palermo, coglie il sovrano proprio nell’atto di giurare rispetto a codeste libertà. La Sicilia cominciò a perderle nel 1713, per vederne la fine nel 1860.
Come pensa debba superarsi il sistema democratico rappresentativo multipartitico?
Come pensa debba superarsi il sistema democratico rappresentativo multipartitico?
Ci si chieda in che luogo dove vige codesto sistema il popolo viene rappresentato al 100%. È più che evidente che la rappresentanza partitica sia fasulla. L’unica forza capace di rappresentare il 100% della popolazione è il lavoro, attraverso la corporazione professionale, come faceva notare Marcel Clément nel 1951. Ma non secondo il modello mussoliniano o salazariano, nei quali le corporazioni erano prive di potere politico. Ogni interesse lavorativo (si prendano i trasportatori, costretti oggi a bloccare le strade) invierebbe in parlamento due o tre rappresentanti, pagati dalla corporazione stessa. I rappresentanti non farebbero le leggi, ma le parlamenterebbero, per raggiungere compromessi non ledenti i diritti di nessuno.
A una tale riforma si opporrebbero poderosissimi interessi creati. Ma l’Italia ha un milione e rotti di piccole imprese che ancora resistono con tutti i mezzi a vessazioni immani. Se costoro si unissero, potrebbero forzare una riforma fiscale corporativa, per condurre ad una rappresentanza anch’essa corporativa a furor di popolo.
Essendo stato per due mesi nel 2005 per motivi lavorativi in Libia, ho avuto modo di conoscere ed amare i libici e di comprendere come il precedente regime impediva la crescita economica, vietando, ad esempio, lo svolgimento di qualsiasi attività economica durante i congressi popolari, che iniziavano e finivano ad arbitrio di Gheddafi e potevano anche durare mesi, per non parlare della violenza contro gli oppositori su cui tale regime si reggeva ed il terrore che dominava nella società. Non abbiamo proprio modelli migliori tra quelli esistenti o non più esistenti, in Africa o altrove?
Essendo stato per due mesi nel 2005 per motivi lavorativi in Libia, ho avuto modo di conoscere ed amare i libici e di comprendere come il precedente regime impediva la crescita economica, vietando, ad esempio, lo svolgimento di qualsiasi attività economica durante i congressi popolari, che iniziavano e finivano ad arbitrio di Gheddafi e potevano anche durare mesi, per non parlare della violenza contro gli oppositori su cui tale regime si reggeva ed il terrore che dominava nella società. Non abbiamo proprio modelli migliori tra quelli esistenti o non più esistenti, in Africa o altrove?
Certo che li abbiamo. La base naturale della politica è la società organica, cioè società di società, non quella di individui atomizzati frutto della Rivoluzione. Ma bisognerebbe che queste cose si insegnassero a scuola, invece delle inanità rifilate dai “programmi ministeriali”. Si tratterebbe di restaurare e aggiornare il modello distrutto, senza bisogno di crearne di nuovi.
Riguardo la riforma fiscale georgista, come risponde all'obiezione che l'imposta sul valore fondiario non porterebbe ad un ammontare di gettito fiscale sufficiente a mantenere all'impiedi lo Stato?
L’Italia ha una superficie di 300mila kmq, = 30 milioni di ettari, = 300 miliardi di mq. I semi di questa riforma già germogliano. Stralcio dal mio articolo sulla riforma fiscale ():Riguardo la riforma fiscale georgista, come risponde all'obiezione che l'imposta sul valore fondiario non porterebbe ad un ammontare di gettito fiscale sufficiente a mantenere all'impiedi lo Stato?
Aggiungo che se gli 8000 comuni italiani la facessero da esattori dell’imposta fondiaria, si potrebbe fare a meno di eserciti di burocrati che potrebbero guadagnarsi la vita producendo ricchezza invece di estorcere i frutti del lavoro altrui.
Se poi “mantenere all’impiedi lo Stato” dovesse includere quella mostruosità detta “debito pubblico” il discorso sarebbe diverso, ma non qui.
In 'Leggi economiche, etica e paradossi - C'è una via d'uscita?' ha scritto che attraverso la moneta geselliana «ogni tipo di lavoro, incluso quello domestico, verrebbe retribuito, così da dare alle donne la scelta se lavorare a casa o fuori». Chi retribuirebbe il lavoro domestico o altre attività lavorative che adesso non sono retribuite?
In 'Leggi economiche, etica e paradossi - C'è una via d'uscita?' ha scritto che attraverso la moneta geselliana «ogni tipo di lavoro, incluso quello domestico, verrebbe retribuito, così da dare alle donne la scelta se lavorare a casa o fuori». Chi retribuirebbe il lavoro domestico o altre attività lavorative che adesso non sono retribuite?
La rendita da suolo spoglio. In termini di stretta giustizia, la prima tranche di questa rendita andrebbe alle donne come produttrici ed educatrici di capitale umano, e quindi creatrici della rendita stessa. La stessa moneta permetterebbe di retribuire ogni lavoro, anche il più infimo, in circolazione continua, come fa il sangue in un corpo vivo, dove 5 litri diventano 5 tonnellate in 24 ore.
15 commenti:
Ho sempre detto a Massimo Messina che una delle questioni fondamentali per il georgismo non è una economica, ma una ontologica. Il compito ontologico per il georgista consiste in questo: individuare un cluster di proprietà tali che l'oggetto che lo possieda sia suscettibile di proprietà privata, e tale che la terra non possa possederlo. Questa nuova intervista a Silvano Borruso si occupa in parte anche di questo, introducendo la distinzione tra res e situs - che come tutte le distinzioni incontra la mia simpatia. Tuttavia, la distinzione terminologica è solo l'anticamera di una reale distinzione concettuale e ontologica, che sembra ancora mancare.
Interessante l'idea delle corporazioni professionali come sostituti dei partiti. Non è però priva di preoccupazioni. Infatti, è lecito pensare che quella proposta comporti una sovrapposizione tra criteri politici e criteri professionali, onde ci troveremmo il medico che fa il medico per i suoi meriti politici, e il politico che fa il politico per i suoi meriti professionali. Inoltre, una situazione in cui il lavoro è l'unico strumento per accedere alle merci, è lecito aspettarsi che ciascuna categoria professionale sarà interessata a regolamentarne l'accesso (a discapito dei meriti individuali).
Caro boxman,
sinceramente non so dirti se la terra sia res, di certo è locus, situs. Se di res si tratta, comunque, posso condividere l'idea - che Nicosia ha espresso in "Il dittarore libertario" - che sia res communis. La differenza tra risorse di natura e beni prodotti dall'essere umano non va trovata di certo nella composizione chimica, ma proprio nel fatto che i beni di natura per definizione erano presenti prima dell'esistenza dell'umanità. Chi si è appropriato delle risorse di natura, le ha inquinate o ne impedisce ad altri l'accesso deve di conseguenza risarcire chi ha subito il torto di non poter usufruire di un bene comune.
La cosa va approfondita, soprattutto se per terra intendiamo risorse naturali. L'acqua, per esempio, non è certo situs.
boxman ha detto...
Ho sempre detto a Massimo Messina che una delle questioni fondamentali per il georgismo non è una economica, ma una ontologica. Il compito ontologico per il georgista consiste in questo: individuare un cluster di proprietà tali che l'oggetto che lo possieda sia suscettibile di proprietà privata, e tale che la terra non possa possederlo. Questa nuova intervista a Silvano Borruso si occupa in parte anche di questo, introducendo la distinzione tra res e situs - che come tutte le distinzioni incontra la mia simpatia. Tuttavia, la distinzione terminologica è solo l'anticamera di una reale distinzione concettuale e ontologica, che sembra ancora mancare.
Mi permetto di ricordare a boxman che l’onus probandi è su chi afferma, non su chi nega. Nel mio ultimo intervento ho dimostrato che i tre casi su cui riposa la proprietà privata terriera sono filosoficamente invalidi. Se ve ne sono altri, sarò lieto di esaminarli, e di accettarli se validi o di provarli invalidi. Non capisco quello che boxman intende per “l'anticamera di una reale distinzione concettuale e ontologica”.
Interessante l'idea delle corporazioni professionali come sostituti dei partiti. Non è però priva di preoccupazioni. Infatti, è lecito pensare che quella proposta comporti una sovrapposizione tra criteri politici e criteri professionali, onde ci troveremmo il medico che fa il medico per i suoi meriti politici, e il politico che fa il politico per i suoi meriti professionali.
Vedo che non sono stato esauriente. La corporazione dei medici invierebbe in parlamento una delegazione con poteri limitati al difendere o promuovere gli interessi della professione. Essa participerebbe a riunioni dove codesti interessi siano in gioco, e non in altre che esulerebbero dai suoi interessi. I trasportatori siciliani che hanno bloccato le strade per cinque giorni, causando disordini anche se non violenti, sarebbero rappresentati in parlamento da una delegazione analoga a quella dei medici, ma che difenderebbe, e promuoverebbe, quella dei trasportatori. Probabilmente le due delegazioni non si troverebbero mai insieme nella stessa seduta. E via dicendo.
Inoltre, una situazione in cui il lavoro è l'unico strumento per accedere alle merci, è lecito aspettarsi che ciascuna categoria professionale sarà interessata a regolamentarne l'accesso (a discapito dei meriti individuali).
Questa obiezione non mi è chiara. Con moneta geselliana, il lavoro sarebbe garantito a tutti, e pagato sempre in contanti e alla consegna. I professionisti continuerebbero a farsi pagare gli onorari che credessero opportuni, ma la moneta a circolazione forzata non permetterebbe loro di tesaurizzarla: dovrebbero spenderla. Come, sarebbe affar loro.
Se per “limitarne l’accesso” boxman intende accesso di aspiranti alla professione, ciò avviene già, dove più dove meno. Ma il problema qui è un altro: la specializzazione, che forza tutti a sviluppare una singola abilità. Ma chi non si sente obbligato a dover fare la stessa cosa tutti i giorni della settimana può limitare le sue prestazioni a guadagnare il sufficiente per vivere, e spendere il guadagnato nel resto di tempo libero, o risparmiarlo, ma in banca, che ri-immetterebbe il denaro in circolazione, a flusso continuo. Termino consigliando boxman di leggere Gesell: vi troverà risposte a molti se non a tutti i quesiti.
Caro Boxman, mi piacerebbe sapere per quale motivo "Il compito ontologico per il georgista consiste in questo: individuare un cluster di proprietà tali che l'oggetto che lo possieda sia suscettibile di proprietà privata, e tale che la terra non possa possederlo.", cioè perchè questa distinzione dovrebbe essere definita a priori?
Io, per quanto ritenga interessante lo spunto di Silvano Borruso, sono - con Fabio Nicosia - dell'idea che la terra e le risorse naturali siano res communis. Ora, tu potresti riformulare la domanda chiedendomi qual'è la linea di demarcazione che permette di definire a priori ciò che è res communis da ciò che non lo è, ma io ti risponderei che tutto è virtualmente res communis (o nullius). Una definizione ontologica sarebbe comunque arbitraria. La bellezza del georgismo è proprio nell'aver riportato il diritto di proprietà al suo vero fondamento, che è il risarcimento degli esclusi. In linea di principio tutti hanno diritto a tutto, ciascuno ha però anche il diritto di escludere così come il diritto al risarcimento per l'esclusione. Lo stesso diritto alla vita, che è auto-proprietà, non ha un fondamento ontologico: non c'è nessun motivo a priori perchè io non debba essere proprietà altrui, ma la mia pretesa di essere proprietario di me stesso, cioè di escludere gli altri dall'utilizzo del mio corpo, è avallata dal mio risarcimento alla comunità sotto forma di riconoscimento di un pari diritto a tutti gli altri.
Quando il riconoscimento di un pari diritto diventa problematico, come nel caso della terra, essendo limitata in quantità e dispari per qualità, il risarcimento può avvenire sotto altra natura, ma non per qualche caratteristica ontologica della terra, ma semplicemente perchè a posteriori si rileva la difficoltà (se non l'impossibilità) tecnica di fare altrimenti.
Ad ogni modo grazie dello spunto di riflessione che, credo, sarà oggetto del mio prossimo articolo.
Per quanto ne posso capire (molto poco in realtà), la cifra del georgismo consiste nella tassa unica sulla terra. Marginalizzare la questione ontologica, affermando che tutto è res nullius, significa giustificare una eventuale estensione della tassazione anche su valori diversi dalla terra, perdendo la cifra della proposta.
Silvano Borruso indica almeno tre condizioni il soddisfacimento di una delle quali da parte di un oggetto giustificherebbe il diritto di proprietà su quest'ultimo. La terza condizione dice che l'oggetto deve essere res nullius. La tesi di Silvano Borruso è che il fondo terriero non soddisfi una tale condizione, in quanto esso non è res, ma situs. La distinzione tra res e situs è tale che ciò che è situs non sia anche res? Se poniamo “res” come sinonimo di “ente”, allora non c'è dubbio che il fondo terriero sia ente (in quanto non-nulla), e quindi res. Esiste un significato che possiamo attribuire a “res” tale da non coincidere con quello di “ente”, e tale che il fondo terriero non risulti res? Possiamo provare con sostanza (ousia), contrapponendola all'ente in quanto luogo. Infatti, nella ontologia di Aristotele, l'ente secondo il luogo non è sostanza, ma è accidente; e ciò che è accidente non è sostanza. Ma il fondo terriero è classificabile come essere in quanto luogo, e così contrapponibile a res? Credo di no. Certo, l'ente in quanto luogo è una determinazione accidentale delle sostanze. Tuttavia, si considerino alcuni esempi. Io mi trovo a Roma. Io sono sostanza, l'essere a Roma è l'essere secondo il luogo (accidente della sostanza), ma Roma è essa stessa sostanza. Infatti, Roma a sua volta si trova in Italia. L'essere in Italia è una determinazione accidentale della sostanza Roma, e l'Italia è a sua volta sostanza. Ciò che differenzia in generale le sostanze dagli accidenti è la circostanza che esse non sono predicabili d'altro ente. E il fondo terriero sembra perfettamente soddisfare questa condizione: esso è sostanza, ousia, quindi res. Anche il principio di Leibniz è soddisfatto: se due fondi terrieri non hanno le medesime proprietà (mettiamo che uno sia argilloso, l'altro no), sono due numericamente distinti fondi. Allora si pone il problema di capire secondo quale significato di “res” il fondo terriero non sia res.
Luigi,
certo che la "cosa va approfondita" e siamo qui per questo. Come puoi vedere Borruso, Leonardi ed io stiamo rispondendo alle tue domande e ti esortiamo a studiare direttamente le questioni che sollevi per trovare così risposte, che ti chiedo anche eventualmente di condividere con tutti noi.
Per "terra" intendo (ed il georgismo intende) ciò che si intende nella scienza economica, ovvero tutte le risorse naturali la cui curva di offerta è totalmente inelastica. Per rispondere alla domanda se l'acqua rientra nella definizione bisogna specificare quale acqua sia. L'acqua del mare, ad esempio, non è neppure bene economico, essendocene così tanta che non è problematico reperirla. L'acqua dei fiumi e dei laghi rientra nella definizione, almeno se non consideriamo le tecnologie che, dall'antichità ormai, ci permettono di avere laghi artificiali.
La single tax georgista è impropriamente detta "tassa", ma si tratta in effetti di una rendita, o meglio di un risarcimento per l'esclusione che il diritto di proprietà comporta per i non proprietari. Non vedo nessun pericolo nell'estendere questo principio a ogni diritto, che - su questo Rothbard aveva ragione - è sempre un diritto di proprietà. Tale principio si chiama mercato ed è un principio metodologico che garantisce la giustizia distributiva a patto che esso sia applicato indistintamente ad ogni azione umana, senza mettere al riparo da esso alcuni beni su basi ontologiche (come fanno ad esempio gli anarco-capitalisti rothbardiani affermando il principio di acquisizione tramite il lavoro), che per quanto mi riguarda hanno sempre un che di metafisico.
Massimo, definiamo i termini per capirci.
Sostanza: ens cuius essentiae competit per se esse et non in alio, cioè: ente alla cui essenza appartiene essere in sè e non in un altro.
Accidente: id cui competit non per se esse sed inhaerere, cioè: ciò a cui appartiene non essere in sè ma essere inerente a un altro.
(NB. "ens" appare nella prima definizione, non nella seconda). Il globo terracqueo è ens, come asserito nel messaggio precedente. Un appezzamento terriero, una città come Roma e una penisola come l'Italia sono chiaramente accidenti, non sostanze. In particolare sono situs, definito come ordo partium in loco, cioè: ordine delle parti in un luogo.
Se siamo d'accordo si può continuare a dibattere. Se no, si finisce qui.
A presto.
Gli accidenti non sono sostanze. Ma proprio perché gli accidenti sono enti che si possono predicare di più sostanze, proprio per questo i siti non possono essere accidenti. Infatti, essi non possono essere predicati di qualcosa.
Pavone dice: Gli accidenti non sono sostanze. Ma proprio perché gli accidenti sono enti che si possono predicare di più sostanze, proprio per questo i siti non possono essere accidenti. Infatti, essi non possono essere predicati di qualcosa.
Francamente non capisco. Che gli accidenti non siano sostanze è chiaro. Il resto non lo è affatto, per cui non mi sento di commentare.
Si prenda la proposizione:
Giovanni è bianco
Giovanni è una sostanza, l'essere bianco un accidente. Infatti, la proposizione è vera a condizione che Giovanni appartenga alla classe di tutti gli oggetti che sono bianchi.
Si prenda ora la proposizione:
Giovanni è a Roma
La proposizione non è vera a condizione che Giovanni appartenga alla classe degli oggetti che sono Roma. Piuttosto, la proposizione risulta vera a condizione che Giovanni e Roma appartengano alla classe degli oggetti tra i quali sussiste la relazione espressa dal predicato "trovarsi a".
In altre parole, Roma non si può predicare di altre sostanze, e ciò ne fa una sostanza. Una sola cosa è Roma, Roma stessa, ma non nel senso che Roma sia una proprietà unicamente essenziale di Roma, ma nel senso che Roma è identica a sé stessa, come ogni altra sostanza.
Luigi Pavone dice: In altre parole, Roma non si può predicare di altre sostanze, e ciò ne fa una sostanza. Una sola cosa è Roma, Roma stessa, ma non nel senso che Roma sia una proprietà unicamente essenziale di Roma, ma nel senso che Roma è identica a sé stessa, come ogni altra sostanza.
Che Roma non si possa predicare di altre sostanze non ne fa una sostanza. Roma non risponde alla definizione di sostanza, cioè essere inerente a sè e non ad un altro.
Roma risponde alla definizione di "ordine di parti in un luogo", luogo inerente alla penisola italiana, a sua volta inerente al Mediterraneo, e questo alla superficie terrestre, e finalmente al globo terracqueo, inerente a sè e quindi sostanza.
Perché l'Italia inerisce al Mediterraneo (e il Mediterraneo inerire da ultimo al globo terrestre), mentre il globo terrestre non inerisce a sua volta al sistema solare (e il sistema solare alla Via Lattea etc.)?
In altri termini: in virtù di quale significato di "inerire" risulta vera la proposizione che Roma inerisce all'Italia, mentre falsa la proposizione che il globo terrestre inerisce al sistema solare?
Pavone dovrebbe dedurre la risposta dalla definizione di sostanza come
"essere la cui essenza è inerente a sè stessa". Arrivati alla Terra, che è
sostanza, le inerenze finiscono.
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