Borruso
(http://nonviolento.blogspot.com/2012/06/il-corporativismo-secondo-borruso.html)
ci spiega, nel suo excursus storico sulla nascita ed il diffondersi
di quello che chiama “sistema partitocratico”, che il partito ha
per scopo “il proprio vantaggio” piuttosto che “la giustizia,
l'equità, la vita morale” e lo fa citando Rosmini (dalla cui
citazione ho tratto i virgolettati). Come dargli torto? Innanzi tutto
però chiamerei il sistema di cui trattasi “sistema partitico”
piuttosto che “partitocratico”, essendo il secondo una
degenerazione del primo. Si può discutere su come dal sistema
partitico si degeneri nel sistema partitocratico, in ogni caso vale
la distinzione, per trattare diversamente da una parte i sistemi politici in cui i
partiti esistono ma non si occupano di tutto (bensì quasi
esclusivamente dell'elezione dei rappresentanti) e dall'altra i sistemi in
cui i partiti esercitano un potere smisurato non
solo nelle istituzioni, finendo per abusare di tale potere in esse,
ma anche nella cultura, nella società e nell'economia. Metterei tra
i primi gli USA e tra i secondi l'Italia. Sicuramente entrambi hanno
un sistema partitico, ma in Italia tale sistema è degenerato in
sistema partitocratico. Ciò non significa che tutta la politica
degli USA è buona mentre quella italiana è cattiva, bensì significa che qui i partiti hanno smesso di compiere il loro dovere
così come stabilito dalla Costituzione, finendo per creare un vero e
proprio nuovo sistema che è altro rispetto a quello dei Paesi
anglosassoni o nordeuropei. Il sistema partitocratico, per esemplificare,
prevede che anche per la nomina di un dirigente locale di una
qualsiasi azienda municipalizzata si debba ricorrere a scelte fatte
dalle organizzazioni partitiche.
C'è da discutere, poi, e spero
che GeoLib sia sede anche per questo tipo di approfondimenti, se è possibile e come, non solo a livello teorico, trovare alternative
valide al sistema partitico che ci permettano di avere maggiori
libertà, meno coercizione. Tornando alla citazione di Rosmini, se è vero che i partiti, anche in un
sistema non di degenerazione partitocratica, hanno per scopo il
proprio vantaggio, ciò non è in sé un male. È convinzione comune di
tutti i prepotenti politici di conoscere a priori quale siano la
giustizia e l'equità senza confrontarsi con i punti di vista
altrui. I partiti, in un sistema funzionante, si occupano ognuno
degli interessi della propria parte e dal confronto tra loro si ha
una sorta di contrattazione che permette di giungere a compromessi
che dovrebbero essere i meno dannosi per tutti quanti. La regola
della maggioranza fa sì che basta arrivare ad una coalizione che
superi il 50% nelle assemblee rappresentative per decidere per tutti.
Quindi il partito o i partiti che giungono a tale soglia impongono il
loro volere (o il loro compromesso) a tutti gli altri. Sarebbe di
conseguenza necessario spostare l'attenzione non solo sui partiti e
sul loro ruolo, bensì anche sulla regola della maggioranza ed anche
sulla democrazia in sé così come essa è concepita oggi
nell'Occidente. Per quanto riguarda il resto del mondo stendiamo un
velo pietoso, poiché, per quanto criticabile siano i sistemi
occidentali, tutto il resto è solo peggio ed ancor oggi è valido ciò
che disse Churchill in proposito: “È stato detto che la democrazia
è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme
che si sono sperimentate fino ad ora”. Dobbiamo allora continuare a
sperimentare per trovare nuove forme di governo, ma non sulla pelle
delle persone, non imponendo quindi agli altri ciò che riteniamo
“buono e giusto” a priori, ma proponendolo e mettendoci a
confronto al fine di giungere ad un accordo il cui contenuto, quindi,
non possiamo conoscere a priori.
Insieme a Borruso critico
non solo la degenerazione partitocratica, ma anche il
sistema di democrazia rappresentativa. Borruso, però, sceglie
un'alternativa che va nella direzione opposta a quella che auspico, non a caso cita addirittura Mussolini, che da socialista
creò un partito politico (che come peste si diffuse nel mondo): il
fascismo. Il fascismo mescolò socialismo autoritario, corporativismo
e nazionalismo, instaurò un regime totalitario ventennale in cui le
libertà vennero represse, vennero varate le leggi antigiudee e ci si
alleò con il regime nazista, figlio del fascismo stesso, per fare la guerra al mondo (mentre procedevano nel genocidio degli ebrei), venendo poi dal mondo tragicamente sconfitti.
Non accetto quindi il corporativismo
solo perché sono antifascista? No, poiché ritengo che le idee
vadano vagliate nel merito. Cominciamo laicamente dal termine
“fascismo”, come fa Borruso stesso, dicendoci che il
suo significato deriva dal motto “l'unione fa la forza”. Quando
tale unione è imposta con la violenza la forza sembra vada prima o
poi a sgretolarsi contro la forza dei mirmidoni, a quanto pare.
Quand'anche tale forza potesse essere vincente per secoli o millenni,
se fosse basata sull'esclusione e sulla violenza non sarebbe di certo
da emulare, ma da contrastare.
Passiamo ora ad esaminare il
corporativismo. Borruso scrive che il motivo per cui i sistemi
corporativisti italiani e portoghesi del secolo scorso erano
destinati a fallire è che “nacquero dall'alto e non dal basso”.
Dall'alto e non dal basso è un altro modo per dire che furono
imposti, non voluti, non su base volontaria, cioè violenti. Anche
Borruso, quindi, rimprovera al corporativismo del secolo scorso ciò
che io (ed ovviamente la critica non proviene solo da me) rimprovero al fascismo. A
proposito è interessante notare che Pannella ha chiamato il fascismo
(o almeno un certo suo aspetto) “welfare senza libertà”.
Borruso sembra invece proporci un nuovo
fascismo, un nuovo corporativismo, che sia sì una restaurazione, ma
non restaurerebbe il mussolinismo. Ogni seria critica a tale
proposta va quindi fatta nel merito e non traslando al corporativismo
proposto da Borruso le critiche al ventennio fascista, per quanto egli non si fa problemi a citare Mussolini stesso.
Borruso propone di usare l'articolo 49
della nostra Costituzione repubblicana, quello relativo alla libertà
associativa dei cittadini in partiti per “concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale”. Si
tratterebbe quindi di usare il sistema partitico per restaurare il sistema
corporativo. Già da ciò mi sembra possiamo giungere ad una
prima conclusione, cioè che il sistema partitico è superiore a quello
corporativo almeno in una cosa: dal primo si può (almeno
teoricamente) giungere in maniera non violenta al secondo. Possiamo
dire la stessa cosa del percorso inverso? Direi di no, poiché
immagino che se la Costituzione avesse previsto un sistema
corporativo piuttosto che un sistema partitico, non avrebbe
lasciato una così libera interpretazione di ciò che avrebbe dovuto
intendersi per “corporazione”. Ergo: il sistema a partiti è più
aperto, più flessibile, del sistema corporativo. Ad oggi possiamo
benissimo immaginare (nella storia ce ne sono stati diversi in
diversi Paesi) un partito dei contadini, così come è già presente
un partito dei pensionati e chiunque può benissimo fondare un
partito, sempre a titolo esemplificativo, degli avvocati o dei medici
o dei muratori. Potremmo immaginare la corporazione dei comunisti o
quella dei liberisti o quella dei socialdemocratici o quella dei
georgisti? Ovviamente no, a meno che il sistema corporativo non
diventi un altro nome con il quale chiamare il sistema a partiti
politici.
Mettiamo che, comunque, si verifichi
ciò che Borruso auspica. Egli afferma che attraverso tale
trasformazione del sistema partitico in sistema corporativo (a
Costituzione invariata e dal basso) si arriverebbe al “100% di
rappresentanza”. E chi non lavora, per varie ragioni? E chi lavora
in casa? Avremmo anche la corporazione dei casalinghi, degli invalidi civili, dei
disoccupati e dei pensionati sociali?
A sistema istituzionale invariato, poi,
basterebbe la rappresentanza del 50%+1 in Parlamento per poter
formare una maggioranza governativa. Ci sarebbero quindi alcune forze
produttive più rappresentate di altre, poiché avrebbero in potere
la stanza dei bottoni. Potrebbero fare le leggi che vogliono per
favorire la loro parte sociale anche contro quelle
avverse. Quand'anche le forze produttive (esclusivamente esse?)
fossero rappresentate al 100% in Parlamento (e ciò dipenderebbe
immagino da un sistema elettorale il più proporzionale possibile)
alcune di esse (specie in un sistema sociale ed economico bloccato come quello
italiano) sarebbero perennemente escluse dalla maggioranza
governativa.
Facciamo adesso un passo indietro e
vediamo come Borruso immagina di passare dal sistema partitico a
quello corporativo. Egli immagina che tale passaggio avvenga
attraverso la “competizione tra i vecchi partiti [non
corporativi] e i nuovi [corporativi], molti dei quali sostituiranno
quelli vecchi al conteggio. Alcuni vecchi partiti sparirebbero, come
sono spariti alle amministrative del 2012”. E chi ci può
assicurare che i partiti rappresentanti le corporazioni possano
essere così forti da far addirittura spazzare via i vecchi partiti?
Sono poi veramente “spariti alle amministrative del 2012”? In molte
realtà amministrative sono tutt'altro che spariti. Alcuni partiti
hanno decisamente subito una grande batosta, ma da qui ad affermare
che i vecchi partiti sono spariti ce ne vuole.
Secondo Borruso, poi, da eletti “i
rappresentanti delle forze lavoro asssumerebbero un comportamento
antitetico rispetto ai partiti convenzionali, disdegnando privilegi
ingiusti oggi a spese del contribuente, per godere di quelli, giusti,
elargiti loro dai loro rappresentati, come convenuto in sede di
riunioni informative”. E perché mai i rappresentanti delle
corporazioni dovremmo immaginarli più etici degli attuali
politicanti? All'interno delle corporazioni più forti, poi, cosa
impedirebbe agli elementi più forti economicamente di corrompere gli
altri per far, ad esempio, leggi, in proprio favore? Leggi quindi
ingiuste basate su interessi privati? Cosa garantirebbe che ciò non
possa più accadere? Perché una rappresentanza corporativa avrebbe
più tutele in tal senso? Egli scrive inoltre che “una volta
spariti i partiti storici, non vi sarebbe più bisogno di sessioni
parlamentari se non quando lo richiedesse il bene comune”. Fatto è
che chi ha potere difficilmente lo cede ed immagino che un
rappresentante (corporativo o meno) eletto in Parlamento si
muoverebbe come si muovono tutti gli esseri umani cercando di
aumentare il proprio vantaggio e quindi si riunirebbe con gli altri
suoi colleghi ogni qual volta lo richiedesse il suo interesse e non
“il bene comune” e di certo giustificherebbe (come si è sempre
fatto) tutto ciò parlando di “bene comune”, che è sempre nelle
bocche di tutti, specialmente degli imbroglioni.
Borruso scrive anche che “i
rappresentanti obbligherebbero il governo a riappropriarsi delle sue
funzioni inalienabili, in primis quella monetaria stoltamente ceduta
ad interessi finanziari in chiaro contrasto con quelli popolari”.
Può darsi che ciò sarebbe più facile avvenga, ma è veramente
“funzione inalienabile” del governo l'emissione ed il controllo
della moneta? La moneta non può essere emessa e gestita dal basso?
Anche i sindacati, a parere di Borruso,
sparirebbero attraverso il corporativismo. Tale sistema non favorirebbe, invece,
il rafforzamento o addirittura la nascita di nuovi sindacati, magari legati alle corporazioni meno
forti, quelle escluse dalla maggioranza governativa?
Riguardo la critiche che egli fa, en
passant, “sulla presenza deleteria dei partiti convenzionali nei
municipi” non posso che concordare. Dove di certo il sistema
partitico ha dato il peggio di sé è proprio nelle amministrazioni
locali, dove il sistema partitico non ha alcuna ragione d'essere.
Con Raucea
(http://nonviolento.blogspot.com/2012/09/raucea-risponde-borruso.html),
che qui ringrazio pubblicamente per avermi sollecitato (con la foga che gli è propria) ad intervenire, concordo sull'idea “che sia il
marxismo che il corporativismo sono espressioni di un'economia
statalista”. Con lui, quindi, anch'io sono pienamente geselliano, aderendo “al
pluralismo economico e libero mercato”.
Riguardo
la preferenza che Raucea esprime verso il meno peggio tra marxismo e
corporativismo, che per lui è il marxismo, ci sarebbe pure molto da
dire e spero di approfondire in tempi futuri. Qui aggiungo solo che tra un qualsiasi sistema che assicura per tutti
maggiori libertà individuali di un altro preferisco sempre il primo,
chiunque stia nella “stanza dei bottoni” e qualunque sia il
numero e la composizione di questi chiunque.
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