giovedì 13 settembre 2012

Corporativismo? No, grazie!


Borruso (http://nonviolento.blogspot.com/2012/06/il-corporativismo-secondo-borruso.html) ci spiega, nel suo excursus storico sulla nascita ed il diffondersi di quello che chiama “sistema partitocratico”, che il partito ha per scopo “il proprio vantaggio” piuttosto che “la giustizia, l'equità, la vita morale” e lo fa citando Rosmini (dalla cui citazione ho tratto i virgolettati). Come dargli torto? Innanzi tutto però chiamerei il sistema di cui trattasi “sistema partitico” piuttosto che “partitocratico”, essendo il secondo una degenerazione del primo. Si può discutere su come dal sistema partitico si degeneri nel sistema partitocratico, in ogni caso vale la distinzione, per trattare diversamente da una parte i sistemi politici in cui i partiti esistono ma non si occupano di tutto (bensì quasi esclusivamente dell'elezione dei rappresentanti) e dall'altra i sistemi in cui i partiti esercitano un potere smisurato non solo nelle istituzioni, finendo per abusare di tale potere in esse, ma anche nella cultura, nella società e nell'economia. Metterei tra i primi gli USA e tra i secondi l'Italia. Sicuramente entrambi hanno un sistema partitico, ma in Italia tale sistema è degenerato in sistema partitocratico. Ciò non significa che tutta la politica degli USA è buona mentre quella italiana è cattiva, bensì significa che qui i partiti hanno smesso di compiere il loro dovere così come stabilito dalla Costituzione, finendo per creare un vero e proprio nuovo sistema che è altro rispetto a quello dei Paesi anglosassoni o nordeuropei. Il sistema partitocratico, per esemplificare, prevede che anche per la nomina di un dirigente locale di una qualsiasi azienda municipalizzata si debba ricorrere a scelte fatte dalle organizzazioni partitiche.
C'è da discutere, poi, e spero che GeoLib sia sede anche per questo tipo di approfondimenti, se è possibile e come, non solo a livello teorico, trovare alternative valide al sistema partitico che ci permettano di avere maggiori libertà, meno coercizione. Tornando alla citazione di Rosmini, se è vero che i partiti, anche in un sistema non di degenerazione partitocratica, hanno per scopo il proprio vantaggio, ciò non è in sé un male. È convinzione comune di tutti i prepotenti politici di conoscere a priori quale siano la giustizia e l'equità senza confrontarsi con i punti di vista altrui. I partiti, in un sistema funzionante, si occupano ognuno degli interessi della propria parte e dal confronto tra loro si ha una sorta di contrattazione che permette di giungere a compromessi che dovrebbero essere i meno dannosi per tutti quanti. La regola della maggioranza fa sì che basta arrivare ad una coalizione che superi il 50% nelle assemblee rappresentative per decidere per tutti. Quindi il partito o i partiti che giungono a tale soglia impongono il loro volere (o il loro compromesso) a tutti gli altri. Sarebbe di conseguenza necessario spostare l'attenzione non solo sui partiti e sul loro ruolo, bensì anche sulla regola della maggioranza ed anche sulla democrazia in sé così come essa è concepita oggi nell'Occidente. Per quanto riguarda il resto del mondo stendiamo un velo pietoso, poiché, per quanto criticabile siano i sistemi occidentali, tutto il resto è solo peggio ed ancor oggi è valido ciò che disse Churchill in proposito: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”. Dobbiamo allora continuare a sperimentare per trovare nuove forme di governo, ma non sulla pelle delle persone, non imponendo quindi agli altri ciò che riteniamo “buono e giusto” a priori, ma proponendolo e mettendoci a confronto al fine di giungere ad un accordo il cui contenuto, quindi, non possiamo conoscere a priori.
Insieme a Borruso critico non solo la degenerazione partitocratica, ma anche il sistema di democrazia rappresentativa. Borruso, però, sceglie un'alternativa che va nella direzione opposta a quella che auspico, non a caso cita addirittura Mussolini, che da socialista creò un partito politico (che come peste si diffuse nel mondo): il fascismo. Il fascismo mescolò socialismo autoritario, corporativismo e nazionalismo, instaurò un regime totalitario ventennale in cui le libertà vennero represse, vennero varate le leggi antigiudee e ci si alleò con il regime nazista, figlio del fascismo stesso, per fare la guerra al mondo (mentre procedevano nel genocidio degli ebrei), venendo poi dal mondo tragicamente sconfitti.
Non accetto quindi il corporativismo solo perché sono antifascista? No, poiché ritengo che le idee vadano vagliate nel merito. Cominciamo laicamente dal termine “fascismo”, come fa Borruso stesso, dicendoci che il suo significato deriva dal motto “l'unione fa la forza”. Quando tale unione è imposta con la violenza la forza sembra vada prima o poi a sgretolarsi contro la forza dei mirmidoni, a quanto pare. Quand'anche tale forza potesse essere vincente per secoli o millenni, se fosse basata sull'esclusione e sulla violenza non sarebbe di certo da emulare, ma da contrastare.
Passiamo ora ad esaminare il corporativismo. Borruso scrive che il motivo per cui i sistemi corporativisti italiani e portoghesi del secolo scorso erano destinati a fallire è che “nacquero dall'alto e non dal basso”. Dall'alto e non dal basso è un altro modo per dire che furono imposti, non voluti, non su base volontaria, cioè violenti. Anche Borruso, quindi, rimprovera al corporativismo del secolo scorso ciò che io (ed ovviamente la critica non proviene solo da me) rimprovero al fascismo. A proposito è interessante notare che Pannella ha chiamato il fascismo (o almeno un certo suo aspetto) “welfare senza libertà”.
Borruso sembra invece proporci un nuovo fascismo, un nuovo corporativismo, che sia sì una restaurazione, ma non restaurerebbe il mussolinismo. Ogni seria critica a tale proposta va quindi fatta nel merito e non traslando al corporativismo proposto da Borruso le critiche al ventennio fascista, per quanto egli non si fa problemi a citare Mussolini stesso.
Borruso propone di usare l'articolo 49 della nostra Costituzione repubblicana, quello relativo alla libertà associativa dei cittadini in partiti per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Si tratterebbe quindi di usare il sistema partitico per restaurare il sistema corporativo. Già da ciò mi sembra possiamo giungere ad una prima conclusione, cioè che il sistema partitico è superiore a quello corporativo almeno in una cosa: dal primo si può (almeno teoricamente) giungere in maniera non violenta al secondo. Possiamo dire la stessa cosa del percorso inverso? Direi di no, poiché immagino che se la Costituzione avesse previsto un sistema corporativo piuttosto che un sistema partitico, non avrebbe lasciato una così libera interpretazione di ciò che avrebbe dovuto intendersi per “corporazione”. Ergo: il sistema a partiti è più aperto, più flessibile, del sistema corporativo. Ad oggi possiamo benissimo immaginare (nella storia ce ne sono stati diversi in diversi Paesi) un partito dei contadini, così come è già presente un partito dei pensionati e chiunque può benissimo fondare un partito, sempre a titolo esemplificativo, degli avvocati o dei medici o dei muratori. Potremmo immaginare la corporazione dei comunisti o quella dei liberisti o quella dei socialdemocratici o quella dei georgisti? Ovviamente no, a meno che il sistema corporativo non diventi un altro nome con il quale chiamare il sistema a partiti politici.
Mettiamo che, comunque, si verifichi ciò che Borruso auspica. Egli afferma che attraverso tale trasformazione del sistema partitico in sistema corporativo (a Costituzione invariata e dal basso) si arriverebbe al “100% di rappresentanza”. E chi non lavora, per varie ragioni? E chi lavora in casa? Avremmo anche la corporazione dei casalinghi, degli invalidi civili, dei disoccupati e dei pensionati sociali?
A sistema istituzionale invariato, poi, basterebbe la rappresentanza del 50%+1 in Parlamento per poter formare una maggioranza governativa. Ci sarebbero quindi alcune forze produttive più rappresentate di altre, poiché avrebbero in potere la stanza dei bottoni. Potrebbero fare le leggi che vogliono per favorire la loro parte sociale anche contro quelle avverse. Quand'anche le forze produttive (esclusivamente esse?) fossero rappresentate al 100% in Parlamento (e ciò dipenderebbe immagino da un sistema elettorale il più proporzionale possibile) alcune di esse (specie in un sistema sociale ed economico bloccato come quello italiano) sarebbero perennemente escluse dalla maggioranza governativa.
Facciamo adesso un passo indietro e vediamo come Borruso immagina di passare dal sistema partitico a quello corporativo. Egli immagina che tale passaggio avvenga attraverso la “competizione tra i vecchi partiti [non corporativi] e i nuovi [corporativi], molti dei quali sostituiranno quelli vecchi al conteggio. Alcuni vecchi partiti sparirebbero, come sono spariti alle amministrative del 2012”. E chi ci può assicurare che i partiti rappresentanti le corporazioni possano essere così forti da far addirittura spazzare via i vecchi partiti? Sono poi veramente “spariti alle amministrative del 2012”? In molte realtà amministrative sono tutt'altro che spariti. Alcuni partiti hanno decisamente subito una grande batosta, ma da qui ad affermare che i vecchi partiti sono spariti ce ne vuole.
Secondo Borruso, poi, da eletti “i rappresentanti delle forze lavoro asssumerebbero un comportamento antitetico rispetto ai partiti convenzionali, disdegnando privilegi ingiusti oggi a spese del contribuente, per godere di quelli, giusti, elargiti loro dai loro rappresentati, come convenuto in sede di riunioni informative”. E perché mai i rappresentanti delle corporazioni dovremmo immaginarli più etici degli attuali politicanti? All'interno delle corporazioni più forti, poi, cosa impedirebbe agli elementi più forti economicamente di corrompere gli altri per far, ad esempio, leggi, in proprio favore? Leggi quindi ingiuste basate su interessi privati? Cosa garantirebbe che ciò non possa più accadere? Perché una rappresentanza corporativa avrebbe più tutele in tal senso? Egli scrive inoltre che “una volta spariti i partiti storici, non vi sarebbe più bisogno di sessioni parlamentari se non quando lo richiedesse il bene comune”. Fatto è che chi ha potere difficilmente lo cede ed immagino che un rappresentante (corporativo o meno) eletto in Parlamento si muoverebbe come si muovono tutti gli esseri umani cercando di aumentare il proprio vantaggio e quindi si riunirebbe con gli altri suoi colleghi ogni qual volta lo richiedesse il suo interesse e non “il bene comune” e di certo giustificherebbe (come si è sempre fatto) tutto ciò parlando di “bene comune”, che è sempre nelle bocche di tutti, specialmente degli imbroglioni.
Borruso scrive anche che “i rappresentanti obbligherebbero il governo a riappropriarsi delle sue funzioni inalienabili, in primis quella monetaria stoltamente ceduta ad interessi finanziari in chiaro contrasto con quelli popolari”. Può darsi che ciò sarebbe più facile avvenga, ma è veramente “funzione inalienabile” del governo l'emissione ed il controllo della moneta? La moneta non può essere emessa e gestita dal basso?
Anche i sindacati, a parere di Borruso, sparirebbero attraverso il corporativismo. Tale sistema non favorirebbe, invece, il rafforzamento o addirittura la nascita di nuovi sindacati, magari legati alle corporazioni meno forti, quelle escluse dalla maggioranza governativa?
Riguardo la critiche che egli fa, en passant, “sulla presenza deleteria dei partiti convenzionali nei municipi” non posso che concordare. Dove di certo il sistema partitico ha dato il peggio di sé è proprio nelle amministrazioni locali, dove il sistema partitico non ha alcuna ragione d'essere.

Con Raucea (http://nonviolento.blogspot.com/2012/09/raucea-risponde-borruso.html), che qui ringrazio pubblicamente per avermi sollecitato (con la foga che gli è propria) ad intervenire, concordo sull'idea “che sia il marxismo che il corporativismo sono espressioni di un'economia statalista”. Con lui, quindi, anch'io sono pienamente geselliano, aderendo “al pluralismo economico e libero mercato”. Riguardo la preferenza che Raucea esprime verso il meno peggio tra marxismo e corporativismo, che per lui è il marxismo, ci sarebbe pure molto da dire e spero di approfondire in tempi futuri. Qui aggiungo solo che tra un qualsiasi sistema che assicura per tutti maggiori libertà individuali di un altro preferisco sempre il primo, chiunque stia nella “stanza dei bottoni” e qualunque sia il numero e la composizione di questi chiunque.

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