lunedì 3 settembre 2012

Raucea risponde a Borruso

L'ultimo articolo di Silvano Borruso pubblicato in GeoLib (http://nonviolento.blogspot.it/2012/06/il-corporativismo-secondo-borruso.html), al quale ancora non ho risposto, ha avuto comunque una reazione che ritengo molto interessante e che qui di seguito pubblico con l'autorizzazione degli interessati. Con data 22 luglio scorso, infatti, a firma Schlag (Francesco Raucea), ho ricevuto un'email in cui venivo esortato a prendere in considerazione alcune informazioni e considerazioni, sulle questioni poste da Borruso, prima di rispondergli. Tale email, inoltre, notava giustamente il già enorme ritardo nel rispondergli, anzi il mio lungo silenzio. A tale lettera elettronica, che è stata spedita anche a Borruso, quest'ultimo ha risposto brevemente il giorno seguente e poi  Raucea ha ribattuto con una sua del 26 luglio.
Riprometto un mio articolo di risposta, che terrà conto anche di ciò che scrive Raucea, non potendo permettermi però di dare una data entro la quale riuscirò a pubblicare tutto ciò che ho in mente in proposito e che in parte ho già abbozzato.

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Capena, 22/07/12

(in slang americano “to get in line” = mettersi in coda, accodarsi)

Caro compagno Massimo,

Prima di scrivere la tua, PROMESSACI, critica all'articolo di Silvano, ti consiglio di leggere questo link, di cui è coautore il nobel S. Phelps http://www.project-syndicate.org/commentary/blaming-capitalism-for-corporatism; se hai problemi con l'inglese, comunicamelo e te lo tradurrò (o puoi chiedere a Silvano).
Purtroppo il lungo silenzio – che hai fatto seguire alla tua promessa di criticare l'evidenziatissimo articolo di Silvano – ha sicuramente convinto i suoi fortunatamente rari lettori (e probabilmente anche lo stesso Silvano) sulla bontà di quanto ivi asserito, che cioè non si potesse riuscire a contraddirlo,
mentre la realtà è: a) che sia il marxismo che il corporativismo sono espressioni di un'economia statalista – cui Gesell è drammaticamente lontano con la sua quasi piena e completa adesione al pluralismo economico e libero mercato;
(poiché tuttavia gli operatori economici talvolta si dimostrano dominati non dalla razionalità (ma da quelli che successivamente Keynes chiamerà animal spirits, si pensi alla truffa del credito frazionario) in simili occasioni vien fuori tutta l'opportunità della presenza in campo di un giudicearbitro, generalmente non giocatore, soprattutto qual garante della moneta e del suo potere d'acquisto).
b) ancorché resti incerta, né ben delineata né tantomeno definita la linea di demarcazione tra marxismo e corporativismo, grosso modo potremmo indicarla in quello che, in pratica, é solo un puntino sopra la i, ossia un particolare quasi trascurabile (e tuttavia non economicamente trascurabile):
nel marxismo la programmazione dell'economia non é sicuramente affidata ai di lei operatori, bensì solo ed esclusivamente ai politici e burocrati, mentre nell'attuale corporativismo e pur continuando a non essere affidata agli operatori economici - però in compenso entrano nella stanza dei bottoni anche i magnati industriali e le lobbies finanziarie onde abusivamente assicurarsi – esattamente come avviene testé – la privatizzazione dei profitti e la socializzazione delle perdite,
mentre nella, da Gesell e da me prediletta, economia di mercato l'operatore economico é tenuto a far propri sia i primi che le seconde, e gli ABOMINEVOLI gruppi di potere (lobbies, sindacati, corporazioni ecc.ra) sono messi in condizione di non nuocere.
Ancorché io sia accanitamente antimarxista, dovendo scegliere – ovviamente con l'avvertenza che, obbligato a scegliere tra due mali, il saggio sceglie il male minore (ossia, nel caso in oggetto, quello in cui minore sia il numero dei parassiti e magnaccia) – personalmente sceglierei il marxismo,
perché tanto – la democrazia essendo il male minore e detta non potendo fare a meno di burocrati e politici - non potremo mai riuscire a liberarci completamente di codesti, mentre almeno non avremmo appesi ai coglioni anche i capitalisti e le lobbies sindacali e/o finanziarie.

Spero che questi appunti possano esserti stati utili, quantomeno a spiegarti la mia posizione.

Schlag

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Il 23/07/2012 07:43, Silvano Borruso ha scritto:

Francesco, prima di tutto bentornato. Secondo, il corporativismo sostenuto da me e’ totalmente diverso da quello sostenuto da Phelps. Li definisco entrambi a scanso di ulteriori equivoci.
SB: rappresentanza parlamentare nazionale di gruppi omogenei di lavoratori per sostituire la non-rappresentanza dei partiti.
SP: dominio dell’economia da parte delle corporazioni transnazionali.
Purtroppo il termine e’ lo stesso. Ma ogni lingua ha termini equivoci…

Silvano

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Capena, 26/07/12

Caro Silvano,

io non dubito affatto sulla bontà e positività delle tue intenzioni corporativiste; ma quando si prevede di finire bruschettati o addirittura fatti a pezzi, poi fa qualche differenza se si é trattato di fuoco amico?
Neanche dubito e che tu veda il corporativismo nella sua forma più positiva e cioè quella libertaria della Carta del Carnaro o quantomeno di quella Carta del Lavoro, che magari non sarà stata un monumento nel tempo – in quanto non solo Bismark, ma poi anche inglesi e francesi l'avevano attuata già mezzo secolo prima – ma sicuramente lo è stata nello spazio,
perché l'Italia del 1927 indubbiamente ne rimase MUTA, PERCOSSA e ATTONITA (il buon Alessandro mi perdoni il furto dell'aggettivazione, ad esempio mio padre ne fu entusiasmato (soprattutto di quell'associazione lavoro-dovere invece snobbata dalla nostra Costituzione, che lo considera solo diritto) e Sironi le dedicò l'infrariportato capolavoro).


Ma a che serve che qualche Abominevole (intendi: Stato) abbia fatto la mossa (proprio alla Ninì Tirabusciò) se – come ironizzava il buon Salvemini – quello fascista si guardò poi bene dall'obbligare le nobili parioline a sostituire, col sanissimo DOVERE-diritto del lavoro, (o almeno aggiungerlo alle) le loro quotidiane partita di bridge e/o caccia alla volpe?
A che serve che GIUGNI abbia scritto, con positività non minore della tua, quello Statuto dei Lavoratori e l'infame art. 18 – che io inizialmente non potei vedere che favorevolmente – se poi magistratura e sindacati lo hanno trasformato in quel gancio su cui ora viene letteralmente impiccata non solo la nostra gioventù, ma poi proprio tutta l'Italia?
Di simili positività io, ANARCHICO, faccio volentieri a meno - mentre in te sento aleggiare quel “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato" della mussoliniana intervista a Le Figaro (1934) -:
ancorché teoricamente nessun legame – che per definizione dovrebbe unire e non dividere (come tu giustamente osservi 'partito' viene invece da dividere) o se comunque vissuto positivamente – dovrebbe avere conseguenze negative per i suoi fruitori,
io molto apprezzo i legami NATURALI - della famiglia, del campanilismo e dell'amicizia – anche e soprattutto perché uniscono i partner, appunto senza mai di dividerli da nessuno (solo nel caso delle donne si é soliti dire che l'amicizia tra due di loro si risolve inevitabilmente in un complotto contro una terza).
Dirò di più: il provarli anzi ci rende più ricettivi e comprensivi d'analogo legame manifestato o manifestabile dal Prossimo, talché nessuno si mette a litigare su quale sia la mamma o lo scarrafone più bello, ed il tutto si risolve, semmai, in una ragione in più per solidarizzare.
Ma questo invece non avviene con legami di tipo politico-religioso (questi ultimi, nel corso dei secoli, si sono anzi rivelati i più drammatici e stragistici) che invece non solo c'inducono subito sia a vedere ostilmente l'oppositore - e quindi giusto nel migliore dei casi a spennarlo e mazzolarlo –
ma anche a giustificare e/o coprire le magagne di un nostro compagno, in omaggio all'aureo e giuliesco principio che “contro l'indifferente la legge si applica letteralmente, ma per il compagno la si interpreta!”.

 

La conclusione di questo mio intervento, caro Silvano é la solita e già tante volte enunciata solfa: a) – e checché in contrario ne dica la Costituzione - i partiti, sindacati, contrade, ordini professionali, corporazioni, lobbies ecc.ra assolutamente non si sono dimostrati i pilastri di fondazione della democrazia e della Società, ma il loro tumore;
b) conseguentemente essi – e qualunque altro cazzo, impiccio, imbroglio analogo e/o simile, qualunque sia il suo nome e dietro qualunque maschera si nasconda – non hanno diritto d'esistenza in una moderna Società della partecipazione e conseguentemente, oltre a considerarli con sospetto e disprezzo, vanno avviati alla loro naturale Endlösung (“soluzione finale” in tedesco), perché prevenire é sempre meglio di curare:

- per il meglio generale o quantomeno senza danno per alcuno – sarà opportuno che il cittadino si senta naturalmente unito da una forte e generica SOLIDARIETÀ verso chiunque altro esponga nel mondo la sua essenza di schöner Götterfunke (in tedesco “splendida scintilla di Dio”, dall'ode 'An der Freude' - All'amicizia - di Schiller, poi musicata da Beethoven nell'ultima parte della nona sinfonia), senza pertanto essere da nessuno diviso e di nessuno complice. Così parlò Zarathustra.

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