domenica 20 giugno 2010

Riforme, anche costituzionali, per liberare l'economia

Causa della povertà di qualcuno non è la ricchezza di qualcun altro, se non in un sistema come il capitalismo attuale nel quale non vi sono pari condizioni di partenza. Queste ultime, quindi, dobbiamo perseguire, a mio modesto avviso. Per questo, accanto ad una seria riforma del diritto ereditario metterei chiaro in Costituzione che le risorse naturali (terra, acqua, aria, etere) non possono mai essere di proprietà privata, neppure in piccola parte, ma al massimo concessioni pubbliche a privati, i quali devono restituire alla collettività il frutto della loro rendita tramite un'imposizione fiscale di tipo georgista, che può così essere redistribuita interamente a tutti i restanti cittadini.

venerdì 18 giugno 2010

La teoria liberale della lotta di classe di Luigi De Marchi

Trovo di interesse alcuni aspetti della teoria marxiana e le aspirazioni scientifiche di Marx, ma credo che giustamente Henry George lo chiamava "il principe delle teste confuse". Prima di studiare Proudhon (che nei manuali di storia del pensiero politico viene ancora trattato come socialista utopico o comunque prescientifico o non scientifico) avevo il pregiudizio che solo con Marx ed Engels vi fu l'introduzione di metodologie scientifiche (e principalmente metodologie tipiche della scienza economica) nel pensiero socialista. Invito tutti a studiare Proudhon direttamente dai suoi scritti. Vi renderete conto dell'enorme differenza tra ciò che di lui si è scritto e ciò che lui ha scritto.
Trovo di maggior interesse oggi l'analisi del professor Luigi De Marchi. Quest'ultimo scrive che la classe degli sfruttatori non è la classe dei capitalisti, ma i burocrati del settore pubblico e che gli sfruttati non sono così esclusivamente gli operai, ma tutti i lavoratori del privato. Credo ci sia molto di vero in quest'idea. Preferisco vedere la società che mi viene presentata come complessa nelle sue relazioni economico-politiche pratiche e mi appare così molto semplice. Chi paga chi lavora nel pubblico? Tutti, attraverso l'imposizione fiscale, che per definizione coercitiva. Chi paga chi lavora nel privato? Tutti, attraverso il mercato, che dovrebbe essere libera contrattazione. I politicanti che ruolo hanno svolto in tutte le democrazie reali? Hanno accresciuto dappertutto la spesa pubblica ed in particolare hanno accresciuto le burocrazie della pubblica amministrazione ed in alcuni Paesi (come l'Italia) hanno reso inamovibili gli impiegati del settore pubblico creando così una classe sociale poco propensa al cambiamento, all'innovazione ed al rischio. Tutto ciò al fine di mantenere un consenso forte e stabile. Vero che allo stesso tempo hanno drogato il mercato sostenendo alcuni settori al posto di altri ed anche alcune singole aziende al posto di altre, ma appunto aziende di questo tipo possono dirsi private? Private della possibilità di misurarsi sul libero mercato di certo! Il Moloch del pubblico ha così stretto i rapporti con le grandi società "private" e con i banchieri creando una classe di ultraprivilegiati che anch'essi sono inamovibili e che insieme e più dei politicanti decidono le sorti del mondo.
Conclusione: i lavoratori precari o non precari del privato, dipendenti o imprenditori (quelli veri che pagano le tasse e non hanno nessun sostegno pubblico) sono i veri sfruttati e chi li sfrutta è la classe burocratica del settore pubblico, che attraverso l'imposizione fiscale finanzia sé stessa ed i suoi amici. In questo quadro non ho inserito la questione del debito privato e pubblico, strumento di banchieri e politicanti per ulteriormente opprimere chi rischia ogni giorno sulla sua pelle. Di fronte a tutto ciò affermo che è possibile fermare tali meccanismi perversi abolendo ogni tipo di imposizione fiscale che non colpisca chi si appropria delle risorse della natura (o ne limita l'accesso o le inquina) e redistribuendo il ricavato della rendita fondiaria ad esempio alle madri (o comunque a chi si occupa dei bambini) fino ad una certa età del bambino.
Riguardo poi l'acquisizione di consensi, non basta di certo avere ragione, ma bisogna riuscire a convincere gli altri di averla. Penso che tutto ciò possa essere attuato in tempi non brevi, ma non penso che bisogna limitarsi allo studio, poiché la politica, altrimenti non può che degenerare sempre più. Penso che perseguire giustizia sociale è possibile andando a favore e non contro la concorrenza, a favore e non contro l'impresa e colpendo pesantemente la rendita fondiaria e la speculazione finanziaria. Lo Stato minimo che risulterebbe da ciò che prospetto riuscirebbe meglio del mostro che abbiamo oggi a colpire poi gli abusi monopolistici che disturbano nel mercato la libera concorrenza. La perequazione patrimoniale, quindi, la vedo di buon occhio solo nella situazione attuale determinatasi da un sistema fortemente ingiusto. Sul reddito di cittadinanza penso che sia una buona idea e sarei per darlo a tutti coloro che non si impossessano delle risorse della natura (e non ne limitano l'accesso e non le inquinano) e non solo ai disoccupati. Alle madri (o comunque a chi si occupa dei figli) ne darei una quota maggiore.

giovedì 17 giugno 2010

Uno Stato federale per l'intera Palestina storica

Nel sito web ufficiale di Gheddafi (www.algathafi.org, sito in 11 lingue parlate in tutti i continenti - compreso l'italiano - e con grossi strafalcioni in quasi tutte queste lingue) vi si trovano i discorsi del leader libico su tutti i fatti del mondo e vi è anche un documento, il cosiddetto Libro Bianco (Isratina), che trovo estremamente interessante. Lavorai per due mesi in Libia nel 2005 ed ebbi così modo di conoscere meglio questo Paese, che mi rimane nel cuore. Le mie simpatie politiche per Gheddafi, invece, sono pari a zero se non inferiori, ma, nonostante ciò, trovo il documento di cui sopra tra i più ragionevoli si possano leggere sulla questione palestinese, indicando come soluzione uno Stato federale che unisca l'attuale Israele con i territori arabi di Cisgiordania e Gaza (anche se alcuni toni del Libro Bianco di Gheddafi sul movimento sionista sono, a mio modesto avviso, quelli tipici di coloro che hanno pregiudizi antisionisti). Dal punto di vista arabo da cui viene tale proposta il nuovo Stato federale dovrebbe entrare nella Lega Araba. Da federalista europeo sono convinto che tale proposta gheddafiana sia una proposta di buonsenso e lungimirante, ma solo se ad essa si unisse un'altra proposta, quella che viene caldeggiata da decenni dai radicali pannelliani: fare entrare Israele nell'Unione Europea, principalmente perché Israele è ancora oggi l'unica democrazia di tipo occidentale nell'area mediorientale.
La democrazia israeliana, al pari (se non più) di quella italiana, è democrazia malata, preda della partitocrazia e illusa sempre più che la forza militare possa salvarla dai nemici esterni. Alcuni di quelli che attualmente vengono considerati come nemici esterni (i terroristi palestinesi) non sarebbero più trattati come tali, se prendesse piede la soluzione dello Stato unico federale.
Il testo gheddafiano è del 2003 e da quella data ad oggi praticamente nessun attore in campo ha preso in seria considerazione una soluzione di tipo federale, l'unica che prenderebbe in carico le ragioni di tutte le parti in causa (non solo ebrei israeliani ed arabi palestinesi). La questione palestinese è ormai una piaga cronica che si incancrenisce sempre più. La violenza quotidiana nell'area è sotto gli occhi di tutti, qualsiasi sia l'opinione che abbiamo in proposito.
Partiamo da un dato di fatto storico che viene anche presentato nel Libro Bianco: il nome dell'intera area che va dal Giordano fino al Mediterraneo (che confina con il territorio del Sinai, la Giordania, la Siria ed il Libano) è e non può essere che Palestina. Questo è il suo nome da millenni. Il nome deriva dai suoi antichi abitanti: i Filistei, da cui “terra dei Filistei” o “Paese dei Filistei” (espressione biblica che troviamo in Esodo 13:17, ma anche in altri versetti di diversi libri della Bibbia ebraica, quella che per i cristiano è comunemente nota come Antico Testamento). Vero è che tanti altri nomi biblici ha quella terra (considerata santa da ebrei, cristiani, musulmani e bahà'ì), ma l'unico che tutt'ora è in uso e che può accomunare tutti, laici e credenti (e tra i credenti quelli delle varie fedi) è proprio il nome “Palestina”, nome che continuò ad essere usato fino alla fine del mandato britannico. Dalla nascita dello Stato di Israele quel nome fu usato solo dai suoi abitanti arabi, ma ciò che oggi comunemente indica solo una parte di quella terra ed una parte dei suoi abitanti fino al 1948 indicava l'intero territorio e visto che la geografia del territorio non può essere cambiata dalla politica bene sarebbe tornare a chiamare con il suo nome l'intera Palestina storica.
Torniamo mentalmente al periodo in cui il nome “Palestina” era usato da tutte le parti in causa. Possiamo trovare tale nome in tutti i documenti che riportano i tanti progetti ed accordi dell'epoca. I due principali gruppi nazionali presenti in Palestina sono quello arabo e quello ebraico (che al suo interno è formato da sottogruppi etnici provenienti da tutti i continenti). Entrambi hanno eguale diritto sull'intero territorio della Palestina. Per un ebreo credente l'intera Palestina storica è Eretz Israel, così come un arabo di Palestina, che sia cittadino israeliano o meno, considererà sempre tutta la Palestina storica come un unico territorio.
È di moda in diversi ambienti, ormai, contestare le origini dello Stato israeliano e qualcuno che propone uno Stato unico per tutti gli abitanti della Palestina storica lo fa in questa chiave antisionista. Molto dipende, quindi, ai fini di una pace giusta, da che Stato unico si propone. Ritengo, infatti, che solo una soluzione federale che garantisca un uguale trattamento per tutti e garantisca le libertà individuali possa salvare Israele da un destino che altrimenti è di conflitto continuo o di morte definitiva del sogno sionista.
Analizziamo un po' l'origine di Israele. Il sionismo ottocentesco di Theodore Hertzl era teso a fondare uno Stato ebraico, che fosse rifugio sicuro per gli ebrei di tutto il mondo. L'idea nasce da quella che all'epoca era nota come la “questione ebraica”, che purtroppo ritengo sia ancora attuale pur se ha preso nuove forme. Gli ebrei per millenni sono stati perseguitati o perlomeno, quando andava bene, tollerati. La persecuzione nazista non è che l'ultima (di certo con metodicità e criteri industriali assenti in precedenza) di una lunga serie. Quando il sionismo si chiese dove fondare lo Stato ebraico le proposte furono diverse: Cipro, Argentina, Uganda, Al Jabal al Akhdar (territorio della Cirenaica, adesso municipalità libica), Sinai e Palestina. Si scelse poi quest'ultima, ma il sionismo ottocentesco era movimento esclusivamente laico e, quindi, la scelta non era obbligata.
Analizziamo un po' ora il legame tra arabi ed ebrei. Gli israeliti derivano il loro nome da Israele, ovvero da Giacobbe, figlio di Isacco, fratello di Ismaele, dal quale si ritiene che derivino gli arabi. In altre parole entrambi rivendicano di discendere da Abramo, padre di Isamele e di Isacco. In diverse occasioni nella storia gli ebrei perseguitati trovarono rifugio nei territori dei loro “cugini” arabi, prima e dopo l'avvento dell'Islam. Diverse volte gli ebrei fecero prosperare ed aiutarono a difendere militarmente i territori arabi in cui vissero. Vediamo, ad esempio, la storia dell'area della Wadi al-Qura (Valle dei Villaggi, nella penisola araba, che prende il nome proprio per la presenza dei villaggi ebraici), dalla quale poi, però, gli ebrei vennero espulsi dal secondo califfo dietro pagamento di un indennizzo. Periodo storico di buoni rapporti tra arabi ed ebrei fu di certo quello in cui gli uni e gli altri vennero espulsi dall'Andalusia da parte dei cristiani e trovarono rifugio presso i territori arabi ed islamici.
Tornando ad un epoca a noi più recente possiamo vedere che già prima della nascita di Israele ci fu chi propose uno Stato indipendente federale palestinese. Questa fu la posizione britannica per tutto il periodo della seconda guerra mondiale, posizione che fu messa per iscritto nella Carta Bianca MacDonald, documento che fu giustamente visto come ostile verso gli ebrei perché in esso erano previste forti limitazioni all'immigrazione ebraica, mentre il popolo ebraico in Europa veniva sterminato. Anche dopo la guerra i britannici mantennero la stessa idea, che fu espressa dal programma di Lord Morrison. L'idea britannica, infatti, era di creare uno Stato federale palestinese fantoccio per mantenere il controllo nell'area ad in particolare per controllare lo stretto di Suez. Nel frattempo i sionisti (anche, all'epoca, attraverso atti di aperto terrorismo) si organizzavano per creare lo Stato d'Israele.
Ma quali furono le iniziali proposte sioniste sulla Palestina? Non mancarono neppure da parte sionista proposte che evocavano uno Stato binazionale. Il XII congresso sionista, tenutosi nel 1921, adottò il concetto di una presenza ebraica in Palestina alleata con gli arabi palestinesi per la sicurezza degli ebrei. Lo Stato che si voleva fondare avrebbe dovuto di conseguenza garantire ciascun individuo dei due popoli.
L'idea di voler dividere la Palestina in due Stati ha dimostrato ampiamente di essere fallimentare. Analizziamo meglio tale idea studiando il territorio. La Cisgiordania è un’area montuosa che ha monti fino ai 1000 metri. Il centro vitale di Israele è ai piedi di quest'area montuosa. Qui vive gran parte della popolazione israeliana. Qui lavora la gran parte delle sue industrie. Se la Cisgiordania e Gaza divenissero Stato arabo armato indipendente sarebbe una seria minaccia per Israele. L’intera Palestina storica non è grande abbastanza per due Stati indipendenti, senza contare il milione di arabi cittadini israeliani e le centinaia di migliaia di coloni israeliani in Cisgiordania. Con la nascita di uno Stato arabo in Palestina accanto allo Stato d'Israele molti ebrei sostengono che dovrebbe essere tolta agli arabo-israeliani la cittadinanza per essere trasferiti al nuovo Stato. Come potremmo realizzare ciò? In ogni caso qualsiasi proposta in tal senso è semplicemente l'applicazione dell'idea della pulizia etnica e non potrebbe che portare a nuove violenze. A queste considerazioni concrete e laiche, poi si aggiungono quelle ideali e religiose di chi vede nella Cisgiordania la Samaria e la Giudea, ovvero il cuore della nazione ebraica. La questione, quindi, non è come dividere una terra che le due parti in causa ognuna per sé rivendica per intero, bensì come unirla!
Come unire realtà così diverse, attualmente contrapposte, se non attraverso una soluzione di tipo federale? Le velleità indipendentiste non dovrebbero fare più parte ragionevolmente del dibattito politico in nessuna parte del mondo ed a maggior ragione in quell'area e ciò dovrebbe valere sia per lo Stato arabo di Palestina che non è mai nato sia per quello israeliano nato nel 1948. Come vivrebbe Israele senza i suoi rapporti commerciali con l'Unione Europea? Come senza la solida alleanza con gli USA? Come senza i buoni rapporti con l'Egitto ed il Marocco? Come vivrebbero gli arabi di Palestina se fosse chiuso definitivamente il confine con Israele? Se i lavoratori non potessero andare più a lavorare nelle aziende israeliane? Se la Giordania chiudesse pure il suo confine? Al concetto di indipendenza sostituiamo, quindi, quello di interdipendenza. Ben vengano quindi proposte arabe volte a soluzioni federali per la questione palestinese, ma il federalismo a cui come europei dobbiamo tendere è quello che trasformi l'Unione Europea negli Stati Uniti d'Europa con Israele che ne faccia parte, per i legami culturali, politici ed economici esistenti tra lo Stato ebraico e l'Europa. L'intera Palestina storica con tutti i suoi attuali abitanti potrebbe così entrare nell'Unione Europea finendo l'assurda discriminazione esistente tra palestinesi senza Stato e cittadini israeliani (a loro volta discriminati se di etnia araba). Tale nuovo Stato potrebbe così far parte sia dell'Unione Europea che della Lega Araba.
Passiamo ad una delle questioni più controverse: quella dei profughi palestinesi. Si tratta di palestinesi arabi e dei loro discendenti che, già a partire dal 1948, andarono via dalle loro case a causa della nascita dello Stato d'Israele e, nella maggioranza dei casi, non acquisirono la cittadinanza degli Stati che li accolsero. La nuova realtà statale federale dovrebbe porsi il problema anche di risolvere la questione dei profughi. La soluzione a due Stati non sarebbe mai in grado di rispondere adeguatamente alla questione dei profughi, mentre la soluzione federale, specie in un contesto di ingresso in organismi internazionali quali l'Unione Europea e la Lega Araba, necessariamente chiuderebbe una volta per tutte anche tale questione.
Un altra questione parimenti controversa è quella della “legge del ritorno”, legge che permette agli ebrei di tutto il mondo di andare in Israele acquisendone immediatamente la cittadinanza. Tale legge è ciò che più di ogni altra cosa rende sionista lo Stato ebraico ed è anche indubitabilmente tra le cause del conflitto, al di là del fatto che un territorio così piccolo non potrebbe mai accogliere tutti gli ebrei del mondo. La soluzione federale, in un ottica di ingresso nell'Unione Europea e nella Lega Araba porrebbe la questione di certo in altri termini. L'UE potrebbe decidere di adottare una “legge del ritorno” come normativa europea accanto alla risoluzione definitiva del problema dei profughi palestinesi e tutto ciò potrebbe essere visto anche come il giusto risarcimento per i danni causati dal colonialismo europeo nei confronti della Palestina.
Il nome dello Stato federale che nascerebbe nella Palestina storica è nel documento gheddafiano Isratina, nome per lo meno bizzarro, nato dall'unione dei nomi Israele e Palestina. Mi pare chiaro che un nome simile non accontenterebbe nessuna delle due parti ed adottarlo sarebbe soltanto una vittoria di Gheddafi. Lascerei che il nome possa essere ufficialmente sia Palestina che Eretz Israel. La nostra provincia autonoma di Bolzano può essere un felice esempio in tal senso, essendo scritti nella nostra costituzione reppubblicana tutti e due i suoi nomi: Alto Adige/Südtirol.

martedì 15 giugno 2010

Compagni neoazionisti, entriamo nel PD?

L'estrema sinistra è stata espulsa dal Parlamento perché non ha compreso che (nel momento in cui il PdL, il PD veltroniano, l'IdV, la Lega ed in coda i Radicali Italiani tutti insieme avevano già stabilito chi doveva entrare in Parlamento e chi no attraverso questa legge porcata antidemocratica ed attraverso la "vocazione maggioritaria", che nulla ha a che spartire con un serio sistema elettorale e partitico maggioritario) invece che dividersi doveva unirsi ed unirsi su poche, chiare, serie, attuali proposte politiche volte alla giustizia sociale. Non sono affatto sociologo, ma trovo sempre più spesso tanti compagni di sventura precari come me e spero che prima o poi un movimento politico neosocialista voglia interpretare l'attuale realtà al fine di trasformare queste sventure individuali in una nuova avventura collettiva verso un avvenire di maggiore giustizia nella libertà.
Riguardo il Nuovo Partito d'Azione il mio suggerimento di ex suo iscritto e tutt'ora simpatizzante è che prenda il meglio del movimentismo ed il meglio di una organizzazione partitica. Per prima cosa, ad esempio, sarebbe interessante un'organizzazione più a temi piuttosto che più basata sul territorio. Una volta individuate le proposte politiche centrali entrare nel PD creando circoli online tematici che siano dichiaratamente neoazionisti (esempio: circolo neoazionista del PD per la tassa patrimoniale, circolo neoazionista del PD per il taglio delle indennità ai politici) e che si occupino ognuno prioritariamente di una proposta politica neoazionista studiando come proporre i disegni di legge, come fare opera di diffusione dell'informazione su tali temi dentro e fuori il PD. Ciò non potrebbe attrarre altri democratici, già iscritti al PD o esterni ad esso che probabilmente non avevano alcuna voglia di entrarci? Tutto ciò potrebbe essere fatto cercando di coinvolgere quelli che nel PD sono i più propensi ad ipotesi di cambiamento interno del partito e di cambiamento dell'intera Italia, ovvero i mariniani, che già sono riusciti a portare (anche se in misura ancora insufficiente) nuova linfa a tale partito. La strada della riunificazione della sinistra fuori e pure contro il PD era necessaria al momento delle elezioni scorse, adesso quella strada è morta e sepolta e nessun Vendola riuscirà mai a risuscitarla. Adesso è epoca di entrare, smontare pezzo per pezzo e rimontare il PD. Se la sinistra ed i laici dell'opposizione perdono questo treno, a mio modesto parere, le destre più becere continueranno a spadroneggiare per altri decenni in Italia.

domenica 13 giugno 2010

Religione liberale

Gobetti si alleò con l'estrema sinistra bolscevica di Gramsci e del nascente partito comunista. Perché lo stesso non può accadere oggi? Perché non dovrebbe poter accadere su una proposta di tassazione straordinaria patrimoniale? Perché non potrebbe accadere per colpire e pesantemente le rendite, non solo finanziarie? Padre del liberalismo economico è considerato Adam Smith, che nel suo capolavoro che è la Ricchezza delle Nazioni non è affatto tenero nei confronti delle classi che vivono di rendita, scrivendo che il proprietario fondiario “ama mietere dove non ha seminato”! Il liberismo si basa sull'etica del lavoro e del merito. Che lavoro fanno gli speculatori? Che merito ha chi si è arricchito in clima tutt'altro che concorrenziale o chi, ancor peggio, eredita tali ricchezze? Sulla riduzione delle spese militari vediamo che accade nel sistema partitico USA: il Libertarian Party (uno tra i cosiddetti terzi partiti) ed i libertarian presenti tra i repubblicani e tra i democratici statunitensi rappresentano i più intransigenti liberisti nella scena politica d'oltreoceano ed uniscono a questa intransigenza sulle questioni economiche e sullo Stato minimo un conseguente impegno pacifista per la riduzione delle spese militari e per il rientro di tutte le truppe in patria, credendo che l'unica guerra lecita sia quella di difesa.
Tornando a Gobetti, la rivoluzione liberale di cui scriveva avrebbe dovuto essere liberale ed illuminista come quella inglese, quella francese e quella americana, ma anche proletaria come quella sovietica! La conseguenza della lotta liberale non è necessariamente il capitalismo, ma è di certo anche la libertà in campo economico e le due cose non sono affatto sinonimi, come ben ci spiega il padre di tutti gli antifascisti liberali che è Croce. Lo Stato può permettersi di fare il controllore quando c'è una religione di fondo che anima le classi dirigenti, la stessa religione che animava la destra storica che aveva come punto fermo il pareggio del bilancio, la stessa religione mazziniana, la religione della libertà crociana. Non vi è più né Stato liberale né stato di alcun tipo senza questo spirito religioso!
Sia il diritto alla riservatezza che il “conoscere per deliberare” sono «di stampo tipicamente "liberale"» ed entrambi sono stati recepiti nella nostra Costituzione rispettivamente agli articoli 15 e 21. I due articoli non possono essere messi in contraddizione l'uno con l'altro, come impunemente fanno quelli che sono al potere oggi!
Non basta privatizzare, tra l'altro, per fare in modo che ci sia concorrenza! Se le aziende pubbliche passano dalla mano dei partiti a quella dei padroni del vapore si finisce per “privatizzare gli utili socializzando le perdite” e tutto ciò con la libera concorrenza privata non ha nulla a che spartire!
Credo sia valido per ogni epoca storica, ma a maggior ragione lo è oggi: non esistono liberali che non si pongano l'obiettivo della giustizia sociale! Nel 2010 quale socialismo può non essere anche liberale? Mi pare quindi ovvio che un programma politico liberalgobettiano vada proposto prioritariamente agli elettori di sinistra. I liberali, a mio modesto avviso, lì dovrebbero agire! Gobetti a sinistra agiva da democratico che guardava di buon occhio il movimento operaio e la sua classe dirigente bolscevica italiana!

giovedì 10 giugno 2010

Perché viene condannata sempre e soltanto Israele?

I sionisti che crearono lo Stato d'Israele sapevano bene che l'ebraicità del loro Stato era un problema (per usare un eufemismo) per gli arabi di Palestina. La soluzione, però non è smantellare Israele e buttare gli ebrei a mare, come vorrebbero alcuni! Una soluzione potrebbe essere l'ingresso di Israele nell'Unione Europea, la trasformazione dell'UE in una federazione di Stati unita con gli USA: Stati Uniti d'America e d'Europa (che comprendano anche e presto Marocco e Turchia).
È immaginabile uno Stato degli USA che si contraddistingua per essere lo Stato di una particolare etnia? In tale sistema federale anche un'eventuale Palestina araba (ed anche socialmente islamica) e liberaldemocratica potrebbe benissimo entrare. Credo che la maggior parte degli arabi ambirebbe ad entrare in una tale realtà. Ho lavorato in Libia per due mesi. Ho frequentato araboisraeliani (uno studente mi ha ospitato anche in quella che era la sua residenza in Italia), palestinesi della diaspora e loro discendenti e penso che l'imbarbarimento degli ultimi decenni non ha ancora intaccato la volontà di pace della maggioranza dei palestinesi. Quale pace è possibile al di fuori di un serio intervento occidentale che bonifichi Europa ed Israele e ridia speranza a tutti i liberali? L'occupazione dei territori arabi della Palestina storica ormai è divenuta normale, purtroppo, e non è stata inventata dagli israeliani. Cisgiordania e Gaza erano occupati rispettivamente da Giordania ed Egitto prima della guerra del 1967 e non c'era tutta questa indignazione internazionale. Chi ha vissuto o studiato quegli anni e poi il settembre nero sa bene che il trattamento che riservavano i fratelli arabi ai palestinesi era molto peggiore di tutto il periodo dell'occupazione israeliana.
I soldati israeliani nel bliz contro la Mavi Marmara hanno sparato mirando alla testa dei prigionieri? Io non credo, e, comunque, avevano modo di comportarsi altrimenti da come si sono comportati in quella situazione? Di certo chi li comandava non doveva fare in modo che si trovassero in quella situazione!
Tutti i riflettori sono sempre e quasi esclusivamente puntati su Israele e qualsiasi cosa faccia Israele viene prima o poi condannato ed anche pregiudizialmente dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dalla Lega Araba, dal Vaticano, da molti politici europei, da quasi tutte le ONG riconosciute o non riconosciute all'ONU, da catene produttive e commerciali svedesi o italiane, da fanatici sparsi per il mondo e così via. Perché la stessa attenzione non c'è né per il trattamento che gli arabi palestinesi riservano anche ai loro stessi connazionali né per nessuna altra realtà geopolitica?

domenica 6 giugno 2010

Compagni radicali, entriamo nel PD?

Una volta i radicali attraevano. Quanti ex violenti divennero nonviolenti radicali negli anni '70! Da un certo momento in poi, invece, molti ex radicali andarono da altre parti. Perché prima i radicali attraevano ed ora respingono? Di certo qualcosa è cambiato. Pannella, che amo, ha chiuso il Partito Radicale e se non fosse stato per l'assemblea dei mille di Cappato e compagni staremmo ancora al Movimento dei Club Pannella, che non era male, ma di certo erano qualcosa di diverso sia rispetto a ciò che c'era prima sia rispetto a ciò che c'è ora. Sfasciare sempre tutto fa parte della biodegradabilità radicale che è ecologica di certo, ma è anche sintomo di autodistruzione e gli altri partiti di tutto ciò finiscono per avere paura. Vedi anche il caso Rosa nel Pugno. Non penso affatto che tutte le responsabilità del non funzionamento dell'accordo con i socialisti siano da attribuire ai radicali, ma di certo bisogna rifondare il partito radicale italiano (anche insieme ad i radicali esterni a Radicali Italiani come me) e farlo dentro il PD. La mia proposta è quella di aprire circoli PD che siano esplicitamente e metodologicamente radicali, socialisti, liberali, laici, liberisti, repubblicani, liberalsocialisti, federalisti europei, nonviolenti, neoazionisti, geolibertari. Questa sarebbe una bella novità e credo che avrebbe forza attrattiva piuttosto che repellente. Compagni Radicali Italiani, che ne pensate?

sabato 5 giugno 2010

Tagliamo la spesa pubblica!

Nel programma del Popolo della Libertà c'era l'abolizione delle province in questi termini:
"Non aumenteremo dunque la pressione fiscale.
Anzi ci sforzeremo di ridurla.
Fermo l’obiettivo di contrasto e di recupero
dell’evasione fiscale.
Il nostro impegno sarà all’opposto sul lato della spesa pubblica,
che ridurremo nella sua parte eccessiva, non di garanzia
sociale, e perciò comprimibile.
A partire dal costo della politica e dell’apparato burocratico
(ad esempio delle Province inutili)."
Ci sono province utili? Quali? Perché? A proposito di programma elettorale del PdL segnalo anche la seguente interessante pagina web che afferma che il PdL, dopo le elezioni ha truccato il suo programma!
http://masaghepensu.splinder.com/post/22134267/sorpresa-il-pdl-trucca-i-vecchi-programmi-elettorali-online--ma-non-troppa
Il programma elettorale del PD nelle elezioni politiche del 2008 è questo qui:
http://www.partitodemocratico.it/gw/producer/dettaglio.aspx?id_doc=45315
L'unica abolizione delle province di cui si parla è la "Eliminazione delle Province là dove si costituiscono le Città Metropolitane". Beh, sinceramente mi pare ben poca roba!
A votare vanno sempre meno persone. Gli astenuti sono una massa elettorale potenziale di cui prima o poi qualcuno si accorgerà e userà. Come verrà usata nessuno al momento attuale può dirlo. Sarà un dittatore? Sarà un partito democratico (ovviamente non mi riferisco qui al PD)? Chi può dirlo? Di certo si può dire che il nostro sistema democratico non è, al di là del giudizio sulla bontà o meno della democrazia. In un sistema in cui il padrone dei mezzi di comunicazione di massa è capo del governo, ha grandi interessi nell'edilizia, nell'editoria, nel cinema, nella finanza, nel calcio ed in chissà quanti e quali altri settori, che democrazia c'è? In un sistema elettorale dove a decidere chi entra in parlamento sono poche decine di persone con le liste bloccate (mancando le preferenze) che democrazia è?
Riguardo le riforme economiche strutturali penso che lo Stato dovrebbe dare solo le pensioni sociali, di vecchiaia e di invalidità. Lasciando il resto alla libera (quindi non più obbligatoria) previdenza privata ed introducendo anche serie ed universali misure di protezione sociale per chi veramente non riesce a trovare mezzi di sopravvivenza. Andrebbero fatti anche tagli alla sanità, insieme ad una seria razionalizzazione del settore. La nostra sanità non è molto più costosa di quella degli altri Paesi, ma gli sprechi sono troppi e spesso scandalosi. La spesa pubblica andrebbe complessivamente tagliata e contenuta. Molti dipendenti pubblici dovrebbero semplicemente essere licenziati! Riguardo i costi della politica li renderei quasi pari a zero! Tagliamo i soldi ai politici e diamo loro dei rimborsi per le loro spese documentate, con l'obbligo di rendere pubblici (sul web) i loro conti. Gli sprechi ci sarebbero comunque, ma di certo ci sarebbe anche maggiore controllo democratico.

venerdì 4 giugno 2010

La politica delle illusioni

In un Paese civile una televisione di Stato come la RAI (che riceve soldi pubblici) non fa programmi scemi come l'Isola dei famosi e non fa concorrenza alle altre reti televisive raccogliendo introiti derivanti da pubblicità. In Italia né la sinistra né la destra intendono cambiare questa cosa squallida. Le emittenti televisive nazionali pubbliche e private sono sotto il controllo del regime, ma il regime non è solo Berlusconi.
Berlusconi piace perché fa credere che "mangia e fa mangiare", ma con la sua politica fa solo i suoi interessi, spogliando l'Italia degli onesti che lavorano e non hanno i suoi privilegi. I politicanti sono tutti uguali, però i politici non sono tutti politicanti! Berlusconi non piace a due terzi di italiani, ma questo non significa nulla. Egli fa politica con i suoi soldi e con la creazione di illusioni. La Lega Nord è tutt'altra roba, molto più pericolosa. Berlusconi non ci sarà più, la Lega Nord resterà, purtroppo.

giovedì 3 giugno 2010

Risaniamo e rilanciamo l'economia nella giustizia sociale

L'Italia ha adesso necessità di una seria politica di risanamento e di rilancio dell'economia attraverso misure che si pongano obiettivi che siano anche di giustizia sociale. Abolire le province (tutte) era nel programma elettorale di questi che ora sono al governo e sarebbe stata una misura seria che andava nella giusta direzione, ma non hanno affatto neppure un briciolo di coraggio e di buon senso e si muovono solo per i loro miopi interessi personali, di partito e di casta.

mercoledì 2 giugno 2010

Il 2 giugno di Radicali Italiani e PDM

Oggi, accanto alla parata delle forze armate, vi è stata un'altra manifestazione: quella dei Radicali Italiani e del "Partito per la tutela dei diritti dei Militari e delle Forze di Polizia" (PDM). Maurizio Turco, deputato radicale eletto nelle liste del PD ed appartenente a tale gruppo parlamentare, nonché cofondatore del PDM, ha rilasciato ieri sera la seguente dichiarazione:

“La questura di Roma ci ha comunicato che il Ministero della Difesa dopo averci chiesto di non deporre la corona di alloro al Milite Ignoto alle ore 11 come avremmo voluto ma alle 13, avrebbe infine voluto che ciò avvenisse alle ore 15,15. E questo lo sapevamo tant’è che stamane abbiamo comunicato che di ignoto c’è già il milite e non c’era bisogno che lo fosse anche la manifestazione. Contemporaneamente ci è vietato di esporre in Piazza Venezia dalle 13 alle 14 uno striscione recante la scritta 'per e con le vittime del dovere, del servizio e dello Stato' e 10 bandiere della Repubblica italiana abbrunata. Confermiamo che domani alle 13 saremo, con chi lo vorrà, in Piazza Venezia. Vogliamo solo esporre il nostro striscione e le nostre bandiere per e con le vittime del dovere, del servizio, dello Stato e per la legalità, lo stato di diritto, la democrazia.”