Di Fabio Massimo Nicosia
Ogni tanto si discute ancora su
che cosa sia di destra e che cosa sia di sinistra, e se abbia senso ancora una
tale distinzione. Trattandosi di parole, il loro significato va ricostruito
storicamente e nella verifica empirica dell’oggi. Salvo errore, i termini “destra”
e “sinistra” nascono con la Rivoluzione Francese, per rispecchiare le
collocazioni parlamentari dei diversi schieramenti. Sicché noi possiamo dire,
con Murray N. Rothbard, che a destra si situavano gli statalisti dell’ancien régime,
mentre a sinistra si collocavano i liberali rivoluzionari che si
contrapponevano loro.
Un primo elemento salta dunque
agli occhi: la sinistra moderna (prima della modernità questo linguaggio non
era noto) nasce liberale e antistatalista. Quel liberalismo ha figliato via via
radicali e anarchici, sicché gli uni e gli altri sono di sinistra in questo
senso.
Tuttavia, dato che il liberalismo
ha come fondamento l’idea dei pari diritti, in questo progredire a sinistra è
emersa anche un’idea di eguaglianza, da coniugarsi con quella di libertà. Ciò è
particolarmente evidente in quelle correnti anarchiche, che massimizzano tanto
il concetto di libertà, quanto quello di eguaglianza.
Che cosa ha creato un
cortocircuito, in questo processo di assimilazione della libertà
all’eguaglianza
dei diritti? Il fatto che siano sopravvenuti, all’interno delle correnti
di
sinistra, orientamenti volti esplicitamente a utilizzare lo
strumento-Stato per
realizzare quegli obiettivi di eguaglianza, per conferire loro certezza e
stabilità nel tempo, quando la sfida è proprio destatalizzarli.
In ciò ha fatto spicco ovviamente
il marxismo. Ma non ci si stancherà di ripetere che anche Marx era mosso
e
animato da intenti e sentimenti libertari, avendo più volte precisato
che alla
fase della presa del potere e della dittatura del proletariato avrebbe
dovuto
seguire un processo di dissoluzione dell’apparato statale come organismo
autonomo rispetto alla società, e, così, sopravvenire un mondo di libero
dispiegamento dei bisogni individuali, senza alcuna mediazione
burocratica,
almeno nel modello inizialmente concepito. Ora, Marx prevedeva ciò su
base economica, mentre è più facile che ciò avvenga oggi per via
giuridico-istituzionali, sotto i colpi delle contraddizioni intrinseche
all'idiocrazia, che si sforza di organare i poteri per via privatistica,
cercando di eludere la questione fondamentale che non è concepibile di
intrattenere relazioni necessitate con organismi di diritto privato.
Si noti, peraltro, che i marxisti
avevano ben presente la distinzione tra Stato nelle mani dell’avversario e
Stato nelle mani proprie. I più lucidi tra i socialisti statalisti, infatti,
non confondevano i due piani, e si opponevano a processi di estensione degli
ambiti di competenza statuali offerti dai conservatori come contropartita ai
ceti deboli. Ma rivendicavano solo per sé, sulla base della propria linea
politica direttrice, che si presume ideologicamente “pura”, siffatto compito di
organamento del sistema in nome degli interessi della classe sfruttata.
Convivono perciò a sinistra due
pulsioni, una verso la libertà e una verso l’eguaglianza, salvo che anche la
libertà presuppone almeno un’eguaglianza, quella dei diritti. Se anche si ritenesse
che la Grundnorm libertaria fosse “fate
quel che vi pare”, tale norma sarebbe eguale per tutti, e quindi norma di
eguaglianza.
Se tutto ciò è sinistra, che cos’è
allora “destra”? Se le distinzioni hanno un senso, e un senso devono averlo,
altrimenti non godremmo di due parole distinte, dobbiamo ritenere che destra
sia l’esatto opposto: ordine, disciplina, gerarchia, contrapposti al “caos” che
deriverebbe dalla loro assenza o dissoluzione.
Qui emerge nuovamente il problema
dello Stato. Perché la destra, a differenza di come pure si potrebbe concepire in
astratto, non immagina il formarsi di gerarchie quali espressioni spontanee
della società, come avverrebbe ad esempio con riferimento alle gerarchie fluide
di un libero mercato, ma sclerotizza dette gerarchie attraverso il loro
incardinamento, anche sotto il profilo delle categorie economiche, nell’apparato
statale. Il modello è quello fascista, dello Stato che si incardina fino al
livello del capo-condominio. La società è quindi interamente burocratizzata,
dimostrandosi all’opposto tanto del principio di libertà, quanto di quello di eguaglianza.
Tutto ciò in teoria. Nella
pratica noi vediamo che destre e sinistre sono oggi egualmente
stataliste, perché
le une e le altre ritengono di ottenere protezione per gli interessi che
rappresentano dalla mediazione e dall’intervento dello Stato. Lo Stato è
una
costante camera di compensazione tra interessi, in arbitrato permanente,
in sé neutrale
tra i diversi interessi che riescono ad accedere alle sue leve, salvo la
sua autonoma
capacità di esprimerne i vari rapporti di forza. La conseguenza è che,
sommandosi le pulsioni stataliste a tutela degli interessi "di destra" a
quelle a tutela degli interessi "di sinistra", si amplia la quota
complessiva di intervento poliziesco, burocratico, penalistico.
Al di là di questo, accade però anche che lo Stato si
rivela sempre più inadeguato a tale bisogna di mediazione. In realtà, il conflitto è oggi tra
interessi che richiedono l’intervento dello Stato in un certo ambito, ma
vogliono che receda da un altro, e viceversa. Sono poche le forze che
richiedono la sua recessione in tutti i campi contemporaneamente, anche perché questa
posizione rischierebbe di peccare di astrattismo e non considerazione e scelta
tra gli interessi concreti.
I liberali-liberisti di destra, ad
esempio, che chiedono che lo Stato inefficiente si ritragga dall’economia, chiedono
però anche altrettanto spesso più Stato nel campo della sicurezza, dell’ordine
pubblico, della pena, del carcere, salvo nelle punte radicali rivendicare l’armamento
privato, di cui però non sembra cogliersi il risvolto più interessante, la
messa in discussione del monopolio della forza da parte dello Stato.
D'altra parte, quando
l'antistatalista di destra si approccia allo Stato, lo fa proiettando su
di esso la propria concezione "proprietaria", sicché, ad esempio, lo
Stato dovrebbe difendere i suoi confini dall'immigrazione, così come un
proprietario ha tutto il diritto di esercitare lo ius excludendi alios.
La sinistra difende invece lo
Stato del welfare e dei diritti sociali per tutti, ma balbetta quando deve spiegare dove
si prendono i soldi per mantenerlo, problema che la destra ha meno, visto che è
meno attaccata ai diritti sociali. Non è questa la sede per riproporre la
nostra proposta di riforma al riguardo della contabilità pubblica, che
attualmente occulta grande parte delle ricchezze comuni e non le esprime in
bilancio, il che potrebbe consentire di superare le varie obiezioni che la
sinistra non è oggi in grado di affrontare efficacemente.
Vi è poi il campo dei diritti
civili. Il fatto che i diritti civili siano poco sentiti dalla politica deriva
forse dal fatto che sono diritti senza spese, ma che incidono profondamente sul
costume. Quindi vi è un duplice disincentivo ad occuparsene, dato che la
politica non ha nulla da mangiare o guadagnare su di essi, e quindi non si vede
perché dovrebbe assumersi la conseguente responsabilità di modificare
radicalmente il costume, se non quando il costume si sia talmente evoluto, che
non si possa fare altro che adeguarvisi.
Anche qui, sic stantibus rebus, si distinguono una destra e una sinistra, in
attesa che si possano fronteggiare una posizione puramente statalista, di
monopolio culturale, con una puramente anti-statalista. Prendiamo il noto caso
del matrimonio gay o egualitario. Alla luce delle qualificazioni esposte,
ricaviamo che si tratta di proposta chiaramente di sinistra, visto che aumenta
il tasso di libertà e di eguaglianza dei diritti tra gli individui,
introducendo per sovrammercato elementi di “caos”, che molti di destra com’è
noto non apprezzano nei costumi consolidati.
L’antistatalista “di destra”,
inegualitario e contrario all’estensione dei “diritti”, si rivela per il fatto
di sostenere che il matrimonio gay sarebbe istituto “statalista”, in quanto
volto a estendere la presenza dello Stato in nuovi ambiti. Ora, reversibilità
della pensione a parte, che è argomento di diritto pensionistico che non può
non essere identico per tutti i cittadini, è appena il caso di notare che il
matrimonio gay è solo un suggello senza spese -quindi non implicante coercizione tributaria- o con poche spese da parte dello
Stato. Non più di quanto lo sia il matrimonio eterosessuale. E infatti quegli
antistatalisti di destra, talora, ma non sempre, si rifugiano nell’affermazione
di essere contro anche il matrimonio di Stato eterosessuale. Naturalmente non
fanno nulla in tale direzione, perché il calo nel ricorso all’istituto del
matrimonio è dovuto a evoluzioni sociali, che non hanno nulla a che vedere con
l’irrilevante propaganda di quei pochi libertari di destra coerenti. Di certo,
questi anti-statalisti non mettono la stessa foga contro il matrimonio
eterosessuale, di quella che mettono contro il matrimonio omosessuale, e in
questo si manifesta il loro conservatorismo culturale, oltre che il carattere
strabico del loro anti-statalismo.
Il libertario di sinistra mette
invece in discussione anche il conservatorismo culturale, perché questo procura
limitazioni di libertà e costi anche tangibili per il singolo individuo, anche
se l’ideale sarebbe collocare libertari tanto “di destra”, quanto “di sinistra”,
in un unico meta-livello, che consentisse la libera e spontanea espressione nella
società di preferenze tanto conservatrici e tradizionaliste, quanto innovatrici
e di sperimentazione, ponendo le une in concorrenza con le altre; ma non siamo ancora
a questo punto, dato che gli stili di vita alternativi hanno ancora parecchia
strada da compiere per farsi accettare dall’abitudine.
Un altro esempio è dimostrato dall'anti-proibizionismo. Anche qui non si
tratta solo di "droghe", ma di due visioni della società, una che
affida la tutela della morale al diritto penale, un'altra contrapposta
che l'affida al libero mercato, dato che non proibire significa
consentire tutte le scelte alternative co-possibili, ma ciò ancora una
volta non aggrada ai conservatori culturali, che si sentono minacciati
dal "permissivismo", sicché, pure quando non invocano l'intervento dello
Stato in questo ambito, non si fanno particolarmente battaglieri
contro. E ciò a tacere del fatto che un antiproibizionismo di mercato
sarebbe anche una forma di redistribuzione del reddito, nella misura in
cui aprisse a molti la strada della coltivazione, oltre che
dell'autocoltivazione, tanto per stare solo all'esempio delle droghe,
che si potrebbe estendere ad altro.
Solo nella prospettiva in cui lo
Stato venisse coerentemente fronteggiato in tutti i suoi aspetti da un
movimento libertario a tutto campo, la
dicotomia destra-sinistra potrebbe ritenersi superata in un
anti-statalismo
coerente, ma, come detto, non è venuto ancora il momento di ritenere
matura
questa prospettiva, e ciò proprio per le incorenze interne al mondo
libertario.
Lo stesso vale per l’economia.
Sfugge a molti che il più ampio e diffuso libero mercato è in realtà un’istituzione
egualitaria e democratica, perché pone a disposizioni di tutti le risorse naturali
iniziali per poter compete in quel libero mercato, secondo noi esteso al conio monetario. Purtroppo noi vediamo invece
che oggi le parole d’ordine del libero mercato sono utilizzate da chi detiene
il controllo monopolistico o quasi-monopolistico di quelle risorse,
contraddicendo le proprie stesse premesse, dato che monopolio è l’opposto di
mercato libero. Monopolio, si badi, non frutto della libera competizione, ma reso
strutturale dal monopolio statuale sul territorio e, conseguentemente, da
quelle che una volta si chiamavano “patenti regie”: concessioni, brevetti, copyright,
e già il mondo delle concessioni dice tutto, perché è difficile che un grande
concentrato capitalistico-finanziario non sia oggi concessionario in un qualche
senso di un qualche bene o servizio pubblico.
In definitiva, non è venuto
ancora il momento di definirci puramente e semplicemente “anti-statalisti”, perché
non siamo ancora alla fine della storia, e ancora si fronteggiano interessi tra
i quali la scelta appare ineludibile. Sicché crediamo, in conclusione, di aver sufficientemente
argomentato perché noi oggi riteniamo di doverci considerare al tempo stesso “anti-statalisti” e
“di sinistra”.
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