sabato 11 febbraio 2012

Radicalismo e Libertarismo. Intervista a Davide Leonardi

Intervista a Davide Leonardi, fondatore insieme a Fabio Massimo Nicosia dell’Associazione “Diritto e Mercato”. Nel marzo del 1997 fu il promotore presso la sede dell’associazione per l’iniziativa radicale Enzo Tortora del convegno “Liberali, liberisti o libertari? Non solo Milton Friedman”, il primo momento di introduzione alle tesi anarco-liberali in casa radicale e uno dei primi dibattiti pubblici in Italia sull’anarco-capitalismo.

1) Come ti sei avvicinato al libertarismo?
Credo di non essermi mai avvicinato al libertarismo, nel senso che mi sono piuttosto scoperto libertario da sempre. La mia conoscenza degli autori libertari americani è successiva alla maturazione di convinzioni anarco-liberali. Se vuoi la mia via al libertarismo è per molti versi analoga e antitetica a quella rothbardiana del diritto di secessione. Rothbard parte dalla considerazione che una volta riconosciuto il diritto di secessione a una nazione, non c'è alcun motivo logico per non estendere tale diritto a entità collettive sempre più piccole, fino ad arrivare alla secessione individuale. Per me il diritto a non cooperare nasce invece dall'analoga estensione del diritto di obiezione di coscienza a qualsiasi sfera della vita, ma è un diritto a non cooperare in nome di una diversa volontà di cooperazione, quindi in questo senso antitetico al libertarismo "dei cazzi nostri", che tanto terreno fertile ha trovato nella sensibilità leghista. Ciò che unisce me e Fabio Nicosia, e che rappresenta un po' il fondamento dell'associazione Diritto e Mercato, è lo sviluppo di un pensiero libertario autonomo rispetto all’anarco-capitalismo e, per così dire, autoctono all'area radicale. Ciascuno di noi ha seguito strade diverse, ma la comune sensibilità scettica ha portato entrambi a concepire la proprietà privata come un frutto del libero mercato e non viceversa, come vorrebbero i rothbardiani.

2) In Italia siete stati tra i primi a discutere di anarco-capitalismo, ricordo il convegno all’Associazione radicale Enzo Tortora di Milano, raccontaci quell’esperienza.
No, non siamo stati tra i primi. All'epoca del convegno che hai ricordato era già in corso un dibattito semi-clandestino, un po' salottiero sull'anarco-capitalismo e le idee di Rothbard, grazie a Carlo Lottieri, circolavano in ambienti leghisti, humus dell'odierno Movimento Libertario di Leonardo Facco. Inoltre LiberiLibri stava pubblicando proprio in quegli anni le prime edizioni italiane di Block, Rothbard, Friedman Jr, Nock, ecc. Certamente siamo stati i primi a tentare iniziative politiche in tal senso. Il convegno, tenutosi in C.so di Porta Vigentina presso la storica sede dell'associazione radicale Enzo Tortora - sebbene abbia totalmente fallito lo scopo che mi ero prefisso - aveva nelle sue intenzioni un taglio politico e non culturale. Il successo e l'entusiasmo suscitato da quell'evento ci diedero l'opportunità di raccogliere una piccola pattuglia di radicali e simpatizzanti di altre forze politiche del centrodestra sul progetto di fondazione di un Movimento Libertario. Il progetto fallì perché non fummo in grado di concepire e organizzare iniziative concrete realmente incisive, ma credo che la nostra crescente esposizione abbia in... qualche modo pungolato l'enclave rothbardiana, spingendola a serrare le fila e uscire allo scoperto.

3) Precisamente quali erano i tuoi obiettivi? Cosa ti aspettavi?
Ero e sono convinto che l’anarco-liberalismo e i radicali abbiano bisogno l’uno dell’altro. Non solo ritengo il primo perfettamente coerente con la nostra storia, ma credo che, in Italia, l’anarco-liberalismo potrà realmente affermarsi solo se sarà di sinistra. L’anarco-capitalismo di stampo rothbardiano, è una versione rigorosa e intransigente di un liberalismo etico e giusnaturalista che nel paese di Macchiavelli non ha mai realmente messo radici. Non sono mancate voci isolate in tal senso, ed è innegabile che esista un’adesione elitaria e ideologica al libertarianism d’importazione, ma quando si fa ricorso al diritto di resistenza bisogna fare appello alla carne e al sangue e purtroppo non è sufficiente affermare in continuazione che esistono dei diritti naturali per farli esistere. Nell’Italia contemporanea sono stati radicali col berretto frigio, illuministi, positivisti e socialisteggianti a dar corpo al diritto di resistenza, fondandolo su nonviolenza e laicità… e nonviolenza e laicità portano dritti all’anarco-liberalismo senza passare per i diritti naturali. E’ questa la riflessione che avrei voluto provocare.

4) Come si svolse invece il dibattito?
Non ci fu un vero dibattito. La maggioranza dei relatori, composta da rothbardiani convinti, presentò la cosa nel modo più indigesto per la sensibilità radicale: diritto naturale e balene private. Il risultato fu la curiosità di pochi e la reazione immunitaria dei più. Negli anni successivi ho visto sempre più giovani radicali attratti dal libertarismo e oserei dire viceversa, ma sono due mondi - benché convergenti nella lotta politica contingente - filosoficamente agli antipodi. Ero e sono ancora convinto che il libertarismo, in Italia, si affermerà realmente solo se sarà un'evoluzione del movimento radicale, ma per ora manca qualche anello di congiunzione. Per avvicinare i radicali all'anarchismo non serve un dibattito sull'anarchia, ma piuttosto un dibattito sui fondamenti teorici del radicalismo stesso a cui - è inutile negarlo - un partito laico e carismatico è ontologicamente refrattario. In verità i radicali sono assetati di teoria, prosciugati come sono dall'azione. L'interesse che tante volte ho visto suscitare dalle teorie anarco-liberali si è rivelato a conti fatti un interesse per un approfondimento teorico purché sia, e non tanto nell'anarco-liberalismo in sé. Ma proprio per la debolezza filosofica strutturale del radicale, qualsiasi dibattito che si presenti come confronto tra radicalismo e altro rischia di scatenare reazioni immunitarie o contaminazioni tossiche.

5) Quali sono i fondamenti teorici del pensiero radicale da approfondire secondo te?
Per me le radici anarchiche dei radicali sono da ricercare nella nonviolenza, che oltre ad essere la quadratura del cerchio liberalsocialista, altro non è che una versione laica e giuridicamente più sensata dell'assiomatico principio di non-aggressione di Rothbard. Non a qualsiasi norma, infatti, può disobbedire il nonviolento, giacché infrangere il divieto di coercizione significa metter in atto condotte violente. Non disobbedisco, cioè, a una norma perché è ingiusta, ma è ingiusta quella norma alla quale posso disobbedire e – ciò che è più interessante – è giusta quella norma alla quale non posso disobbedire.Il problema, dunque, non è come portare il dibattito sull'anarchia in casa radicale, ma come riprendere il dibattito sulla nonviolenza, sul quale venne messa una pietra tombale trent'anni fa, al XXV congresso del PR che elaborò il preambolo allo statuto, l'unico documento radicale che abbia qualche parvenza di manifesto, insieme alla prefazione di Pannella al libro di Valcarenghi.

6) Puoi illustraci meglio il rapporto tra non-violenza e libertarismo e le sue connessioni con l’esperienza radicale?
Come ho detto, la pratica della nonviolenza, e mi riferisco segnatamente alla disobbedienza civile, fa implicitamente appello a una legge non scritta che vieta le condotte coercitive e solo quelle. Tale norma fondamentale non è fondata su dogmi religiosi o razionalisti, bensì sul corpo fisico dell'individuo e a ben vedere su limiti logici intrinseci al concetto stesso di diritto. Questa portata contenutistica e sostanziale della disobbedienza civile - che le lotte degli anni ‘70 avevano messo in luce e che avversari intelligenti dei radicali come Baget Bozzo mostravano di aver compreso meglio dei radicali stessi - io credo sia stata confusa con una potenziale deriva dogmatica e giusnaturalista che col preambolo allo statuto del Partito Radicale si è voluto neutralizzare, sostituendola con un principio di legalità Bobbiescamente fondato su carte internazionali, ma incapace di eguagliare la forza di quell’originaria intuizione fisicalista. Non è un caso che da allora la nonviolenza radicale si sia orientata sempre meno alla disobbedienza civile e sempre più al digiuno, che fu lo strumento preferito anche da Gandhi nella seconda parte della sua rivoluzione, quella in cui doveva costruire lo Stato indiano, perché la disobbedienza civile di per sé è incapace di costruire Stati, li può solo smantellare. Né è un caso che oggi Pannella abbia tirato fuori dal cappello l'ircocervo dei "diritti naturali storicamente acquisiti" (un colpo al cerchio giusnaturalista e uno alla botte giuspositivista), perché - voglio credere - si è reso conto dei limiti di quella scelta del 1981.

7) In sostanza tu proponi un superamento del preambolo allo statuto?
E’ l’evoluzione del dibattito sui diritti umani che lo impone. Il carattere fondativo della dichiarazione universale, il presunto consensus omnium gentium, che per Bobbio superava il problema del suo fondamento filosofico - assunto che ha inciso non poco sul dibattito di quel congresso radicale - è stato messo in discussione dai fatti degli ultimi decenni. La fragilità che l’universalismo empirico legato alla contingenza storica ha mostrato, richiede oggi, se non un fondamento teoretico dei diritti umani, per lo meno una revisione del loro contenuto. Può aspirare all’ambita universalità di consenso una dichiarazione così vasta al punto da essere incongruente? E’ quello che si chiedono oggi tanti intellettuali di sinistra. Il liberal canadese Michael Ignatieff - che non è certo un libertarian texano - ha proposto di sfrondare la dichiarazione da tutti quei diritti sociali, che incarnano di fatto una concezione di vita buona e che minano alla base qualsiasi pretesa di universalismo di fronte al pluralismo morale e culturale. Ignatieff propone di limitare i diritti umani alla difesa della sola libertà negativa e non sulla base di qualche assunto etico - filosofico, ma in base all’osservazione molto pragmatica che solo l’individualismo liberale si presta a difendere gli oppressi dalla violenza del potere senza imporre valori e stili di vita occidentali.

8) Individualismo Liberale e Individualismo Libertario, come e perché tra i Radicali?
Liberale o libertario, credo che l’individualismo in quanto tale vada superato se si vuole far fronte alle critiche che già il minimalismo di Ignatieff ha suscitato. L’individualismo, argomentano i suoi detrattori, è esso stesso un valore occidentale e per tanto non può ispirare una carta dei diritti che pretende di essere universale. Ciò che necessariamente unisce i contraenti della dichiarazione è se mai la fede nel diritto come sola forma possibile di pace, un concetto ben espresso dal nostro Non c'è Pace senza Giustizia. Il diritto, non l’individuo, è il bene giuridico supremo e dunque possiamo reinterpretare il minimalismo di Ignatieff come difesa di quelle condizioni, e solo quelle, che rendono possibile ed effettivo un ordine giuridico in quanto tale. Questo minimalismo non è diverso nei contenuti da quello proposto da Ignatieff, perché consiste di fatto nella difesa della libertà negativa, che è poi quel divieto alla coercizione implicito nella nonviolenza, senza il quale qualsiasi sanzione giuridica perde di significato. E’ curioso come fu proprio Norberto Bobbio a sottolineare che tanto il positivismo, quanto il realismo giuridico sembrano concordi nell’individuare nella coazione la caratteristica distintiva della norma giuridica. La moderna teoria della coazione - secondo le formulazioni datene da Kelsen e da Ross, rispettivamente un positivista e un realista giuridico – definisce il diritto come un complesso di norme che regolamentano l’uso della forza. Con tale definizione la scienza giuridica rinuncia al proposito di occuparsi esclusivamente di come il diritto si produce e non di che cosa esso stabilisce, mettendo in discussione il preteso formalismo delle dottrine positiviste e realiste. Come affermò lo stesso Bobbio “è questa una conseguenza che non è ancora stata messa nel dovuto rilievo, ma che meriterebbe un attenta riflessione.”

9) Da queste considerazioni e pragmaticamente, cosa dovrebbe riprendere e presentare culturalmente e politicamente il Partito Radicale?
Innanzitutto ridare preminenza alla disobbedienza civile e all’obiezione di coscienza rispetto all’arma del digiuno. Poco importa per quale obiettivo, perché – ripeto – la nonviolenza è un fine in sé. Un’azione di disobbedienza civile partecipata contribuisce alla formazione di un sentimento liberale e libertario più di mille libelli che enunciano apoditticamente l’esistenza di presunti diritti naturali.

10) Tra i libertari di "destra" e di "sinistra" cosa proporre? Come colpire?
Il Movimento Libertario di Facco è molto attivo nell’ambito della diffusione culturale, ma quando si attiva politicamente diventa una cellula radicale. E non è questo, un loro limite, ma solo l’ennesima dimostrazione che quella tracciata diversi decenni orsono da Marco Pannella è l’unica strada possibile per una rivoluzione liberale in Italia. Facco e Fidenato hanno messo in campo azioni di disobbedienza civile, sul sostituto di imposta e sulla libertà di semina, che avrebbero potuto benissimo compiere da radicali. Non solo nei contenuti hanno ripreso nostri cavalli di battaglia, ma anche nel metodo si sono ispirati a Pannella, autodenunciandosi e appellandosi a fonti di diritto positivo, a dispetto della loro professione di fede giusnaturalista. Non mi stupirebbe se tra qualche anno, dopo un po' di esperienza di lotta nonviolenta, approdassero anche loro a uno statuto ambiguo come quello del PR, in cui si dichiarerà il diritto e la legge anche diritto e legge del Movimento Libertario. Mi chiedo: c’era bisogno di un soggetto politico ad hoc per fare questo? Non sarebbe più utile un’associazione radicale tematica, ad esempio sulla libertà fiscale, magari guidata dagli stessi Facco e Fidenato, che conduca le sue azioni nonviolente sotto l’egida e con il know how del movimento radicale? Quanto ai left-libertarians… che cosa vuoi che ti dica? Dammi pure del visionario, ma per me il partito radicale è il soggetto politico left-libertarian! Noi anarchici e radicali dobbiamo solo penderne atto.

11) Spesso tra libertarian e left-libertarian vi sono discussioni riguardo al rapporto tra Proprietà, Mercato e Libertà. Tu cosa ne pensi?
Da dove partire e come bilanciare questi rapporti? Non credo nei diritti naturali e tanto meno credo che la proprietà privata sia un diritto naturale. Credo invece nella nonviolenza e in una proprietà privata fondata sulla nonviolenza, ossia sul mutuo consenso o – il che è lo stesso - sul libero mercato. La libertà – che non è partecipazione, bensì massimizzazione delle concrete possibilità d’azione – si fonda su un delicato equilibrio tra diritto di escludere e libertà di circolazione (intesa in senso lato come possibilità di godere direttamente e indirettamente di ciò che la natura e non l’uomo ha creato). Il primo può essere acquisito solo a spese di quest’ultima e non reputo funzionale a tale equilibrio un istituto della proprietà privata che non tenga conto di questo conflitto. Il diritto di escludere è la vera funzione della proprietà privata. E’ il diritto di escludere che ci dà la possibilità di godere dei frutti del nostro lavoro (così come di oziare indisturbati all’interno della nostra proprietà se lo preferiamo) e non viceversa. Perché nascondersi dietro a un dito? Il diritto di escludere non ha bisogno di giustificazioni morali per un libertario, ma solo di un giusto prezzo e il giusto prezzo è definito in termini di libertà di circolazione che esso sottrae agli escludendi.

12) Definiresti le tue posizioni geolibertarie?
Certamente. Henry George ha proposto un meccanismo concreto per attuare un principio che è sempre stato presente nella tradizione liberale, da Smith a Locke a Paine a Mill, ecc., quello del pari diritto alla terra e alle risorse naturali: non c’è lavoro, né recinzione che giustifichi l’appropriazione esclusiva di tali risorse senza adeguate garanzie per gli esclusi. In sostanza il georgismo consiste nel trattare i diritti di proprietà alla stregua di un diritto di suolo o di superficie, al fine di determinare un’indennità che possa risarcire i titolari, ovvero i cittadini rimasti esclusi dall’usufrutto, ma non per questo espropriati del loro diritto di co-proprietari. Il principio rothbardiano dell’homesteading, sottraendo l’acquisizione originaria del bene-terra a qualsiasi forma di contrattazione, in pratica ne fissa un prezzo artificialmente basso, con tutto ciò che ne consegue in termini di scarsità delle risorse. Il principio georgista, molto più conforme ai dettami della scuola austriaca, sottopone alle dinamiche di mercato la distribuzione dei titoli di proprietà, come qualsiasi altro bene e in questo senso può dirsi perfino più liberista dell’anarco-capitalismo rothbardiano.

13) Credi che nella sua variante georgista il libertarismo sia più appetibile per un Partito Radicale dalle radici azioniste e liberalsocialiste?
Il georgismo riesce in modo estremamente semplice e lineare a unire i principi liberali a esigenze socialiste di equità e non in termini di compromesso, ma come parte di un unico sistema perfettamente coerente che non sacrifica un’oncia dei diritti individuali. Sulla base delle premesse georgiste si può concepire un reddito di cittadinanza o se si preferisce un welfare universalistico che non sia frutto di una redistribuzione forzosa delle risorse allocate dal mercato, ma piuttosto il risultato dell’applicazione dei principi di mercato in assenza di diritti di proprietà definiti a priori. Il Georgismo è in questo senso, un autentica filosofia liberalsocialista e non esiterei a definire il geolibertarismo, la sua variante anarchica che costituisce il paradigma left-libertarian, un sistema anarco-liberal-socialista.

link: http://www.domenicoletizia.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=20:radicalismo-e-libertarismo-intervista-a-davide-leonardi&catid=7&Itemid=103

5 commenti:

Massimo Messina ha detto...

Quindi, Davide, proponi la costituzione di un'associazione geolib strutturata dentro Radicali Italiani?

Io non sarei d'accordo, almeno non nella fase iniziale, perché ritengo che così ci precluderemmo la possibilità che reputo molto probabile di attrarre simpatie da parte di chi con i Radicali non vuole avere a che fare, per varie ragioni. Ritengo che abbiamo la potenzialità di attrarre simpatie ed apporti provenienti dai mondi liberale, libertario, socialista, ambientalista, autonomista così come da associazioni economiche o culturali non caratterizzabili "politicamente".

Davide Leonardi ha detto...

Federarsi a Radicali Italiani è un atto molto impegnativo - non solo economicamente - che non avrebbe senso fino a quando non fossimo in grado di dare un contributo più che intellettuale alla lotta politica. Quindi nella "fase iniziale" sono contrario anch'io alla costituzione di un'associazione radicale geolibertaria, ma è pur vero che il radicalismo italiano è sempre stato il punto di incontro delle anime libertarie, liberali, socialiste e ambientaliste, dunque è di fatto la tradizione politica nella quale il georgismo si situa naturalmente. Non a caso siamo radicali io, Fabio Nicosia, Domenico Letizia e mi sembra di capire che nemmeno tu disdegni questa etichetta.
Inoltre negli ultimi anni i radicali hanno dato vita a iniziative non coordinate tra loro come Milano si Muove, la crescente attenzione al dissesto idrogeologico, l'associazione rientro dolce, le iniziative parlamentari della Zamparutti per spostare il peso fiscale sul consumo ambientale, ecc. che troverebbero nei principi geolibertari un loro comune denominatore filosofico-politico. Mi auguro quindi che siano soprattutto le simpatie radicali ad arrivare, anche perchè - come ho detto a Domenico in questa intervista - il fondamento georgista della proprietà privata è un ingrediente necessario per liberare le forze anarco-liberali di area radicale e porre le basi per un'evoluzione in senso left-libertarian dei Radicali Italiani.
Detto questo, sono d'accordo che caratterizzarsi come radicali per ora terrebbe lontane realtà per noi interessanti, come ad esempio il movimento NO TAV, che sono purtroppo preda di squatter anticapitalisti. Credo che i vari movimenti nimby che sempre più frequentemente nascono in Italia (si è costituito di recente un comitato NO TAP contro il gasdotto nella costa del salento) abbiano un'anima georgista inconsapevole che trova purtroppo un sostegno ideologico solo nell'ecologismo anti-industrialista. Noi geolibertari possiamo offrire a questi comitati una dignità liberale e nel contempo fornire ai radicali una chiave per interpretarne le istanze, con l'ambizione di avvicinare nel medio-lungo termine i due mondi. Solo a quel punto, se riuscissimo in questa impresa, un'associazione radicale geolibertaria avrebbbe delle ragioni concrete per esistere.

Massimo Messina ha detto...

No, non disdegno affatto l'etichetta. Sono stato iscritto negli anni '90 al Movimento dei Club Pannella - Riformatori e non ho mai capito perché finirono di esistere quasi subito dopo essersi costituiti, così come militavo tra i radicali all'epoca dei referendum radicali sempre degli anni '90 e della campagna Emma for President, poi, da radicale e socialista, mi iscrissi ai Socialisti Riformisti Siciliani, federati con Socialismo è Libertà di Rino Formica & C. e quindi con entusiasmo accolsi la Rosa nel Pugno, che poi pure appassì. Poi mi allontanai dai Radicali principalmente per l'uso sconsiderato di strumenti per me violenti quali lo sciopero della sete.

Per quanto riguarda le iniziative "geolibertarie" dei Radicali, OK, ma pure nel PD ho sentito che c'è stato chi ha proposto fiscalità che potremmo definire quasi georgista, oltre alla componente liberal e mariniana che non solo vedo con simpatia, ma ritengo pure sia potenzialmente una nostra interlocutrice, se non ci presentiamo come geoanarchici. Io mi auguro che le simpatie arrivino da ogni parte! Per me, come anche tu hai affermato nell'intervista, i Radicali sono già left-libertarian e quindi nostri potenziali interlocutori privilegiati, ma non esclusivi.

Sui NO TAV penso che si possa essere geoisti sia da NO TAV sia da SÌ TAV. Parlo di ciò che da siciliano mi sta più a cuore: la questione del ponte di Messina ed il MUOS. Su entrambe le questioni sono dalla parte dei movimenti che sono principalmente supportati dai partiti ecologisti e di estrema sinistra, ma non escludo ci possano essere geolib che siano per il ponte di Messina o addirittura per il MUOS. Di certo noi geolib siamo anche verdi, ecologisti, ma nulla abbiamo a che fare con i verdi che si oppogono a qualsiasi forma di progresso tecnologico e non solo.

Davide Leonardi ha detto...

Sono d'accordo con te, il punto per me rilevante dei comitati NO TAV e affini non è tanto l'opposizione alle opere pubbliche in quanto tale, ma la rivendicazione di una voce in capitolo sulla gestione del territorio da parte delle comunità che lo abitano.

Massimo Messina ha detto...

Non posso che pienamente concordare.