mercoledì 17 gennaio 2018

La mano invisibile e la mano armata

Inizia con questo articolo, già pubblicato il 5 aprile 2016 nel blog tarantula, la collaborazione di Luigi Corvaglia con GeoLib e siamo onorati di averlo tra noi.
 
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Di Luigi Corvaglia
 
Interno notte. Due personaggi nella luce soffusa di un lume, un giovane uomo e una giovane donna al tavolo di un bistrot. Benché un poeta possa trovare parole romantiche per descrivere la scena, le persone che li osservano appartengono a due categorie note per la loro totale carenza di romanticismo. Sono, infatti, un biologo evoluzionista ed un economista. Il biologo sa che quello che sta avvenendo è un rituale finalizzato all’accoppiamento. Il costo che l’uomo sta sopportando offrendo la cena all’oggetto delle sue brame sessuali non è altro che la versione umana della coda del pavone, cioè l’espressione di un istinto evolutosi sotto l’influenza del cosiddetto “principio dell’handicap”. Tale principio afferma che quanto più un comportamento è “costoso”, cioè quanto più comporta un handicap per chi lo produce (come la inutile e antiadattativa coda del pavone), tanto più è efficace come messaggio sessuale. Così il giovane dilapida i suoi denari in cene costose in luoghi scarsamente illuminati. L’economista è attento, però, ad un’altra dinamica. Egli riflette sul fatto che la signorina non sa quante risorse di tempo e denaro il giovanotto è disposto a spendere pur di vedersi consegnata la sua virtù e, al contempo, il giovanotto ignora quanta della propria virtù la signorina è disposta a cedere e dopo quanta dimostrazione del suo interesse (espresso in tempo e denaro). Il problema è l’informazione. In Economia ciò che si è disposti a spendere pur di ottenere un certo “bene” si chiama “tasso di sostituzione marginale”. Torniamo quindi al nostro bistrot e immaginiamo che subentri un nuovo personaggio: l’amico fidato di entrambi. In virtù dell’assoluta fiducia di cui fruisce da parte dei due, questi è in grado di acquisire dati assolutamente genuini su quanto questi sono disposti a cedere pur di ottenere. Supponiamo ora che questa persona intervenga in qualità di arbitro nella contrattazione e che, in base alle sue informazioni, fissi un punto di equilibrio al quale i due massimizzino l’entità e la vantaggiosità del loro “scambio”. Dirà così alla signorina che il giovanotto dopo il terzo ristorante senza guadagni non intende insistere. Ciò renderà estremamente probabile che i due trovino un punto di equilibrio ottimale. Questo è noto ai meno romantici come punto di massimizzazione dell’utilità collettiva. È ciò che gli economisti chiamano il punto di ottimo paretiano. L’ottimo, per Pareto, è quella condizione in cui è impossibile migliorare la condizione di qualcuno senza peggiorare quella di qualcun altro. La situazione pareto-ottimale si sarebbe qui ottenuta in quanto gli “scambisti” sarebbero stati ancorati ad un punto di riferimento oggettivo, cioè ad un parametro. Un parametro è un criterio condiviso e conosciuto dai vari attori ed utilizzato per prendere le decisioni. Questo parametro è il “costo” della propria scelta.
 

 
La “Teoria dei giochi” è una branca matematica che utilizza situazioni artificiali (i “giochi”) come modelli del reale e valuta gli esiti delle interazioni in termini di guadagni (pay off positivo) e perdite (pay off negativo). Un “gioco”, quindi, è una condizione conflittuale in cui esistono uno o più contendenti che cercano di massimizzare il proprio guadagno. In pratica, la teoria dei giochi è la definizione in termini matematici del modo in cui si comportano gli individui quando si trovano in una situazione che può portare alla spartizione o alla vincita di qualcosa. In altri termini, si applicano le regole della matematica per descrivere e, in certa misura, prevedere l’andamento di uno scenario interattivo reale tramite una simulazione (il gioco, appunto). È quindi un campo di studi situato all’incrocio fra matematica, economia e psicologia sociale. Non solo. Ad esempio, è stata proprio la teoria dei giochi a fornire delle convalide al “principio dell’handicap” in biologia.
In “teoria dei giochi” la condizione in cui i costi siano condivisi e conosciuti, come nel caso della interazione fra i due giovani con la mediazione dell’amico fidato, si chiama “situazione parametrica”, laddove la condizione di ignoranza (dei tassi di sostituzione marginale) , è chiamata “situazione strategica” perché prevede l’utilizzo di strategie quali l’attacco, il bluff, ecc. da modificarsi in base alle risposte degli altri giocatori. È il caso dei due senza l’amico fidato. Il giovanotto potrebbe basarsi su una strategia di attacco e, aiutato da un discreto tasso alcolemico, potrebbe saltare addosso alla signorina. Non sa però se ne riceverà i favori sperati o un sonoro ceffone. Noi tutti viviamo immersi in strutture di rischio, perché l’esito delle interazioni è sempre incerto, e siamo pertanto costretti ad agire in base a presunzioni.
La differenza fondamentale fra le due condizioni è che nella situazione strategica ogni azione di un “giocatore” dipende da quella degli altri, mentre in quella parametrica no. Nella condizione strategica (tipo i due giovani senza l’amico), cioè, la scelta di un giocatore dipende da ciò che si attende facciano gli altri agenti in relazione alla propria scelta (ad esempio, da cosa il giovanotto si attende quale ricompensa di tre cenette romantiche, un mazzo di fiori e un cinema da parte della signorina) . Si definisce equilibrio parametrico, invece, quello in cui la scelta di ogni agente può essere analizzata isolatamente da quella degli altri. È il caso della scelta dei clienti di un supermarket. Ognuno, conscio dei parametri (i prezzi) effettua la sua scelta, insensibile a quelle degli altri. In questo caso le condizioni in cui un agente sceglie sono descritte da parametri che non dipendono dalla sua scelta. La condizione esistenziale dell’uomo allo stato di natura è squisitamente strategica. L’esemplificazione in termini di “gioco” ne è il celeberrimo “dilemma del prigioniero”.
È la nota situazione, proposta da Flood e Dresher della Rand Corporation, nel 1950, in cui due tizi vengono interrogati in stanze differenti e sono posti nella condizione di scegliere se confessare o no, inconsapevoli di cosa stia facendo nel frattempo il complice. Viene inoltre spiegato loro che:
  1. se solo uno dei due confessa, chi ha confessato evita la pena; l’altro viene però condannato a 7 anni di carcere.
  2. se entrambi confessano, vengono entrambi condannati a 6 anni.
  3. se nessuno dei due confessa, entrambi vengono condannati a 1 anno.
Qui non c’è nessuno ad arbitrare. Nessun amico fidato. In tale situazione, ogni attore, all’oscuro della mossa della controparte, è costretto a scegliere una opzione con la complicazione aggiuntiva che l’esito della propria scelta è una funzione anche della scelta dell’altro. Il guadagno maggiore, in simili condizioni, premia la scelta egoistica definita “defezione” (cioè, confessare, fregando l’altro e ottenendo la libertà) piuttosto che quella definita “collaborazione” (cioè, l’omertà). Nello stato di natura, il dilemma del prigioniero è la norma. Lo stato di natura è una condizione di onnipresente, pervasiva strategicità. È un dilemma del prigioniero ripetuto all’infinito. È a ciò che Hobbes si riferisce quando parla di una situazione di “bellum omnia contra omnes”.
Questo discorso non mina solamente l’ingenua antropologia benigna di certo anarchismo, ma rappresenta una seria sfida anche per il pensiero “liberale” e libertario di mercato. Infatti, sembra confutare il fondamentale paradigma dell’individualismo, perché evidenzia che la somma degli interessi individuali non dà luogo all’interesse collettivo. Mentre, infatti, il guadagno finale (pay off) del singolo individuo è più alto quando defeziona che non quando coopera, il pay off collettivo, ottenuto sommando i pay offs individuali, è più alto quando gli individui cooperano che non quando essi defezionano. Insomma, ad ogni singolo individuo conviene tradire, ma alla società conviene che la maggior parte degli individui sia fedele e/o complice. Insomma, nella condizione di natura c’è bisogno di fissare dei parametri, altrimenti l’egoismo porterà dei pay off negativi e lo stato di incertezza strategica diviene la regola. Lo stato è, per esempio, un’entità che fissa dei parametri, le “leggi”. La produzione statale di parametri, quindi, utilizza la “forza”. Del resto, è nota la definizione di stato come detentore del “monopolio della forza” ad opera di Max Weber. Se si impicciasse di definire i parametri anche delle interazioni sessuali potrebbe, per esempio, fissare che due cene bastano. La signorina, dopo, deve concedersi, pena il pagamento di una multa. Consapevoli, ad ogni modo, della pervasività e incertezza della condizione di natura, sono molti coloro i quali temono che lo stato perda potere (cioè il proprio monopolio della forza) a vantaggio di ciò che viene chiamato il “mercato”. Infatti, non sono pochi, neppure fra gli autori di cose politiche, quelli che vedono nel “mercato” stesso una condizione selvaggia, uno “stato di natura” hobbesiano con tanto di homo homni lupus d’ordinanza, quindi una forma di “dilemma del prigioniero”. Il termine “mercato” rimanda alle merci, alla loro produzione, quindi allo sfruttamento capitalistico e alla meschinità mercantile. È termine connotato negativamente da larga parte dell’opinione pubblica, quella più progressista e culturalmente aperta (ma anche da certo comunitarismo destroide…). In verità, come si è visto nell’esempio dei due giovani al bistrot, ma anche dei due prigionieri, qualunque interazione, anche la più lontana dal mondo della produzione ed allocazione delle merci, può essere letta secondo la logica di tipo economico. Si parla di “mercato” perché queste dinamiche sono state studiate dagli economisti. Uno psicologo avrebbe parlato di rinforzi e stimoli avversivi, un cibernetico di logica sistemica, ecc. Comunque, anche in relazione al mercato delle merci, parlarne come di condizione selvaggia e “strategica” è un errore. Commesso da molti. Infatti, alcuni (ad esempio, Joan Robinson, Andrew Shotter, Russell Hardin) hanno sostenuto che il dilemma del prigioniero è la confutazione del paradigma della mano invisibile. In altri termini, che esso mostri il “rovescio”, la faccia malevola , di quella mano di cui Adam Smith ci aveva mostrato solo il “diritto”, cioè gli aspetti benigni . A questi autori sfugge, però, la cosa più importante, cioè che ciò che gli economisti chiamano “mercato” è il gioco parametrico per eccellenza. Non ha niente a che vedere con la condizione di incertezza strategica. Infatti, anche se nel mercato – comunque inteso – non esiste un amico fidato con le qualità descritte nell’esempio dei due giovani al bistrot, la stessa funzione di arbitrato viene svolta in modo impersonale dal sistema dei prezzi. Il mercato distribuisce beni e servizi sulla base di parametri, i “prezzi”, appunto, e ogni individuo effettua le sue scelte nella totale indifferenza delle altrui azioni.
La“mano invisibile” di Smith, il “banditore di Walras” – è il soggetto che fissa il prezzo d’asta a quel valore che determina l’assenza di eccessi di domanda e d’offerta – e il sistema dei prezzi come arbitro hanno in comune il fatto di essere metafore antropomorfiche. Ciò per dire che questi sono soggetti presunti, non reali, che non esistono anche se si comportano come se fossero senzienti. Il mercato, infatti, appare come se fosse dotato di volontà e ottenesse e mantenesse il suo equilibrio per regolazione esogena piuttosto che in modo cibernetico ed autopoietico. Questo arbitro metaforico, se esistesse realmente, avrebbe qualità divine. È tipico attribuire qualità sovraumane a entità inesistenti. Infatti, l’arbitro, questo “amico fidato” di tutti gli individui, sarebbe onnisciente e moralmente perfetto, viste le qualità di assoluta imparzialità e di perfetta conoscenza delle preferenze di tutti gli individui coinvolti negli scambi. Come abbiamo detto, l’informazione è tutto. Il mercato, insomma, si comporta come se fosse programmato da qualcuno, ma non è programmato da nessuno. È per questo che è “razionale”, imparziale e onnisciente. È proprio questa impersonalità a realizza effettivamente l’ideale della “rule of law”. È mano invisibile. Per converso, i parametri dello stato, vale a dire le leggi, non solo sono concepiti e modificati dagli esseri umani, ma devono, altresì, essere imposti da esseri umani tramite il monopolio della forza. È mano armata. In fin dei conti, il mercato e lo stato cercano entrambi di risolvere il dilemma hobbesiano. Questi configurano due diversi tentativi di trasportare gli individui dalla situazione strategica di natura a una situazione parametrica. Cercano, in altri termini, entrambi di alterare le matrici dei pagamenti dei giocatori individuali rispetto alle matrici originarie, che sono quelle di un “dilemma del prigioniero”. Mentre, tuttavia, lo stato lo fa penalizzando la strategia della defezione, il mercato lo fa premiando la strategia della cooperazione. Poiché i parametri del mercato – vale a dire i prezzi – si definiscono e si modificano in modo impersonale e si autoimpongono, si può dire che il mercato è “un’anarchia ordinata” (Buchanan), un “ordine spontaneo” (Hayek), un “anarcosmos” (La Conca). Di fatto, la creazione spontanea di parametri mediante il libero confronto permette di passare dall’anarchia “strategica” (chaos) all’anarchia “parametrica”(cosmos).
Non solo. Mentre il mercato trasporta i giocatori da una situazione strategica a una situazione parametrica senza l’intervento di altri giocatori, lo stato riesce a effettuare questa operazione di trasporto solo mediante la creazione di altri giocatori, vale a dire coloro che gestiscono la macchina statale, i quali danno vita in questo modo a un nuovo tipo di gioco. In questo nuovo gioco alcuni attori hanno un potere virtualmente illimitato di penalizzare gli altri – tutti gli altri e non necessariamente i defezionasti – e di premiare se stessi o i propri amici e “clienti” ai quali questi peculiari giocatori sono in grado di “vendere” qualsiasi tipo di privilegi. Ciò fa saltare i parametri, cioè la matrice dei pagamenti. Fra questi “clientes” figurano anche e soprattutto i rappresentati della casta dei “capitalisti”, cioè di coloro che, in combutta col potere statale, alterano le “regole” del libero scambio a proprio favore.
Il mercato ideale, infatti, è l’ assoluto contraltare di quel sistema di sfruttamento operato dalla casta economica che qualche sprovveduto chiama oggi mercato. Nella realtà del mondo, infatti, i due sistemi, quello della “forza” e quello dello “scambio” (per dirla con Friedman), vivono perversamente avvinghiati. La banda finanziaria antidemocratica è fuori da ogni parametro ed è quindi innervata allo stato proprio per garantirsi di essere al riparo da un mercato che possa definirsi “libero”. Due mani, due pistole. Dall’altra parte delle canne, i cittadini. La democrazia così intesa è ben rappresentata dall’immagine proposta da Benjamin Franklin: “due lupi ed un agnello che discutono su cosa ci sia per cena”. Il sistema per far dissolvere le due caste, quella politica e quella economica, allora, non può essere che quello di allargare l’ambito della libera scelta e del libero scambio, la mano invisibile, a scapito di quello dello stato e del capitalismo monopolistico, la mano armata.
 
 

Dedicato a Riccardo La Conca. È alle lunghe chiacchierate con lui che devo i concetti espressi in questo scritto.

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