venerdì 12 giugno 2009

Gheddafi alla Sapienza

L'intervento del rais libico Muammar Gheddafi ieri pomeriggio nell’Aula magna della Sapienza di Roma è stato qualcosa di pazzesco, sia per ciò che ha detto (ma che era immaginabile visto il personaggio) che per il modo in cui è stato accolto dall'Università (per non parlare dell'accoglienza che gli è stata data da tutta l'Italia istituzionale). Diversi studenti e docenti gli hanno posto domande (alcune di queste fatte senza neppure documentarsi adeguatamente) e Gheddafi ha avuto modo di spiegare la sua politica senza alcun minimo contraddittorio. Un gruppo di studenti del movimento di contestazione L’Onda ha cercato di intervenire leggendo un testo dalla platea dell’aula magna. Il servizio d’ordine li ha subito zittiti spegnendo loro il microfono. Il servizio d'ordine ha pure impedito ai giornalisti di alzarsi per osservare meglio l’accaduto. Al termine della cerimonia i contestatori hanno tentato di nuovo di parlare, ma sono stati sopraffatti da applausi e fischi provenienti dalle prime file della platea. Gheddafi ha risposto lanciando baci e ringraziando la platea.
Fuori dall'Ateneo ci sono stati diversi scontri tra studenti e polizia. Gli studenti hanno lanciato secchi di vernice rossa e palloncini ripieni di essa verso gli agenti per "ricordare il sangue versato dagli immigrati respinti" (secondo le parole degli studenti). Alla vernice addosso, polizia e carabinieri hanno reagito con una carica.
Con un'ora di ritardo sul protocollo, il rais è poi giunto in Campidoglio dove ad attenderlo c'era Alemanno. Il colonnello libico è stato accolto da un applauso, si è affacciato alla balconata sulla piazza del Campidoglio intrecciando le mani e alzando le braccia al cielo in segno di vittoria. Uno striscione con la scritta "Benvenuto Gheddafi, forza Roma" è stato esposto sulle transenne disposte davanti a palazzo Senatorio. A srotolarlo alcuni tifosi giallorossi che così esprimono il proprio pensiero in merito al possibile interesse di una cordata libica per l'acquisto della società.

28 commenti:

luigi ha detto...

Al di là delle cose specifiche che Gheddafi ha detto - su cui credo di poter condordare con Massimo; al di là della opportunità politica dell'incontro - su invece non ho un'opinione precisa; al di là di tutto questo, desiderei sottolinerae qualcosa di incredibile (questo dunque è il luogo migliore per dirla), ma che passa inosservata, e cioè: che m... c'entra Gheddafi con l'Università? Questo testimonia di un sistema - il nostro sistema universitario - che è cosa loro, cosa politica. Nelle università si dovrebbe far scienza e cultura. Non ho mai sentito di qualche leader politico che dice le sue cose in qualche Università statunitense! La cosa mi sembra indicativa!

Massimo Messina ha detto...

Gheddafi è anche ideologo della sua rivoluzione e del suo sistema politico. Mi andrebbe benissimo se venisse solo in tale veste e si confrontasse con gli studenti e gli studiosi sulle sue idee, ma tutto ciò non è possibile se viene qui da padrone di uno Stato con il quale il nostro Stato intrattiene relazioni d'affari oltre che le ovvie relazioni diplomatiche ed ora anche trattati politico-militari (é assurdo, ma è così con il trattato che il governo Berlusconi ha fatto con la Libia).

luigi ha detto...

Tu dici che in quanto ideologo della sua rivoluzione, non ti dispiace che Gheddafi venga in visita in qualche università italiana. È la tua opinione, io non la condivido. Il mio punto era un altro: la Sapienza non ha invitato Gheddafi per motivi di studio. L’invito ha una indiscutibile provenienza politica, quella stessa politica che considera (perché di fatto è così) l’università e le scuole italiane come casa propria. In questi giorni siamo andati tutti a votare, dove? Nessuno ci fa caso, ma sono state sospese delle lezioni per adibire le scuole a luoghi pubblici politici. C’è dietro il mostro della nozione di pedagogia di stato, che i liberalsocialisti alimentano e purtroppo anche i liberali faticano a liberarsene, sulla base di un dogma: la pedagogia di stato è l’unico strumento per garantire a tutti l’istruzione. Credo che si possa tranquillamente mettere da parte questo dogma, questo feticcio e pensare a vie alternative per perseguire lo stesso obiettivo in un regime educativo radicalmente non-statale e libero.

Massimo Messina ha detto...

In una società con così forti disparità economico-sociali ed anche culturali non credo sia un bene ciò che proponi, almeno per ciò che riguarda gli anni dell'istruzione obbligatoria, che forse sono diventati troppi in Italia.

luigi ha detto...

Ciò che propongo non richiede una società con minori disparità economiche. Il punto è quel dogma, che a questo punto, alla luce del tuo commento, posso riformulare come segue, in veste di domanda: perché dobbiamo pensare che in una società con forti disparità economiche la pedagogia di stato sia l'unico modo di garantire a tutti i cittadini il bene dell'istruzione???

Massimo Messina ha detto...

Non penso sia l'unico modo. Semplicemente non ne conosco altri. A te l'onere di presentarmeli.

luigi ha detto...

Massimo,
i modi alternativi non si scoprono né si conoscono: si inventano. Tolto quel pregiudizio, è una questione di studio. Spetta non a me, ma ai politologi studiare le vie. I filosofi morali - ma io non lo sono, anche se qui lo sono stato un po' - propongono degli ideali, nella fattispecie un'educazione, ricerca etc. radicalmente libere da ipoteche politiche. Chi condivide questo ideale? Il filosofo può rimuovere certi crampi mentali, ma sbaglierebbe a prendere il posto degli studiosi. In generale, il problema si pone per le classi sociali che non possono permettersi l'istruzione. Ma che cosa fa lo stato per quelle classi sociali che non possono permettersi di comprare il pane? Io non credo che sarebbe plausibile pensare di istituire forni di stato, forse è più convincente istituire assegni di disoccupazione, o stipendi minimi garantiti. Ecco.. credo che questo esempio possa fornire uno schema generale in cui inquadrare anche il poblema delle classi sociali economicamente disagiate relativamente all'istruzione. Bisogna anche tener conto che un sistema educativo radicalmente non-statale e radicalmente concorrenziale è esso stesso interessato, senza l'ausilio di interventi statali (e con questo non sto dicendo di mettere da parte forme di intervento statale), ad accaparrarsi non solo i migliori insegnanti e i migliori ricercatori, ma anche i migliori studenti, quale che sia la loro appartenenza sociale, istituendo borse di studio interne (non a pioggia o indifferenziate, ma veri e propri investimenti).

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
credo di capire che vuoi mettere sul mercato l'educazione e la ricerca. Tutto ciò che hai detto mi convince, ma non per ciò che riguarda gli anni dell'istruzione obbligatoria, che, ripeto, ridurrei. Liberalizzare totalmente il sistema formativo dalle scuole superiori in su mi sembra possa essere considerata una rivoluzione non solo per l'Italia e ce n'è abbastanza per essere oggi visti come matti esprimendo tali idee. Che vuoi di più da me, che mai sarò ministro né dell'istruzione né di di altro?

luigi ha detto...

dò, dal punto di vista formativo, più importanza alla scuola dell'obbligo che alle scuole superiori, quindi non si capisce perché vuoi che la seconda sia libera e ben funzionante e la prima no. Insomma, perché non ti convinvo per la scuola dell'obbligo? Quanto alla sua riduzione, non lo so. è davvero molto difficile dire quando sia il momento giusto per far cessare l'obbligazione.

Massimo Messina ha detto...

Voglio che la scuola dell'obbligo sia gratuita ed accessibile a chiunque e ciò è sufficiente per renderla monopolio di Stato.

luigi ha detto...

Dunque tu vuoi due cose: che la scuola dell'obbligo sia gratuita; che la scuola dell'obbligo sia accessibile a tutti. Sono due cose e non una. Poi dici che proprio per questo deve essere monopolio di stato. Il monopolio di stato è giustificato solo se si vuole la scuola dell'obbligo gratuita, perché la si può rendere accessibile a tutti senza ricorrere alla monopolizzazione di stato, nei modi che abbiamo visto nei precedenti commenti; o credi che pensando alla liberalizzazione delle scuole superiori o dell'università io pensi a renderle non accesibili a tutti?! Nel mezzo c'è la grande questione dell'obbligatorietà, perché... vediamo se riesco a spiegarmi: se cominciamo a giustificare l'obbligatorietà scolastica, credo che ci troveremmo in gravi difficoltà a giustificare quando l'obbligatorietà debba cessare, senza cadere in contraddizioni con le giustificazioni dell'obbligatorietà stessa. Voglio dire: forse c'è qualcosa di aporetico nel rendere consistenti le giustificazioni della obbligatorietà e le giustificazioni di un termine della obbligatorietà. Ma questo lo dico solo di passaggio perché forse non ha rilevanza pratica. Il punto invece è un altro: perché si dovrebbe volere che la scuola dell'obbligo sia gratuita? Questa è la domanda che ti pongo.

Massimo Messina ha detto...

Semplicemente perché lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato. Sarebbe una doppia imposizione e, da liberale, preferisco minimizzare ciò che lo Stato pretende dai suoi cittadini.

Unknown ha detto...

Massimo,
è un discorso che non regge, perché ha conseguenze paradossali (in un senso non tecnico). Tu dici minimizzare le imposizioni dello stato, e in nome di questo principio dici che lo stato non mi può imporre di mandare i miei figli a scuola e poi per giunta chiedermi di sborsare quattrini per obbedire alle sue leggi. Ma... il guaio grosso con questo tipo di ragionamento è che lo stato dovrebbe anche passare gli alimenti ai miei figli, perché anche in questo caso si dà l'obbligo di mantenere materialmente i figli e nello stesso tempo si chiede di scucire quattrini per farlo. In nome del principio che tu fai valere, dovremmo pretendere che lo stato, poiché ci obbliga a nutrire i nostri figli, sia esso stesso a passare gli alimenti! Mi sembrano conseguenze inaccettabili!

Massimo Messina ha detto...

Obbligo di mantenere significa obbligo di comprare in base alle proprie capacità reddituali e/o patrimoniali il necessario per nutrire, vestire e soddisfare tutti gli altri bisogni. Che altro potrebbe significare se fosse lo Stato direttamente a fornire direttamente tali beni e/o i soldi per comprarli?

Unknown ha detto...

??? Temo di non capire. Che cosa vuoi dire?

Massimo Messina ha detto...

Se fosse lo Stato a fornire i beni e/o i soldi per soddisfare i bisogni dei figli li manterrebbe e quindi non avrebbe senso l'obbligo di mantenere i figli, casomai potrebbe impormi l'obbligo di ricevere il mantenimento statale.
Allo stesso modo uno Stato che fornisce l'istruzione obbligatoria per i figli li istruisce, appunto, obbligando i genitori non ad istruirli, ma a mandarli a scuola.

Unknown ha detto...

Appunto! Ma lo stato non mantiene i figli di nessuno, obbliga a mantenerli di tasca propria. Perché una situatione analoga (non abbiamo bisogno della perfetta coincidenza) sarebbe per te inaccettabile relativamente all'istruzione, cioè perché sarebbe inaccettabile che lo stato obblighi i propri cittadini a istruire (mandandoli a scuola) i figli di tasca propria?

Massimo Messina ha detto...

Per rendere economicamente vantaggioso ad un privato occuparsi imprenditorialmente di scuola (e stiamo parlando della scuola più lontana dal mondo del lavoro, quella primaria e media inferiore) lo Stato dovrebbe permettere monopoli sparsi nel territorio che, come ci spiega la scienza economica, avrebbero un tale potere sulla domanda da decidere il prezzo nella loro curva dei ricavi unitari, con le conseguenze che possiamo immaginare in una situazione tale di monopolio privato legato ad un obbligo d'istruzione e magari pure a sussidi per chi non ha i soldi per pagare la retta scolastica. Hai presente la corruzione dei corsi di istruzione professionale? A gestire tali scuole sarebbero mafie molto ma molto più potenti degli attuali enti di formazione professionale, che già fanno abbastanza schifo. Altro che liberismo! L'unico liberismo che conosco è distinguere il più nettamente possibile il settore pubblico da quello privato. Nel secondo lo Stato deve entrare il meno possibile come nel primo i privati devono entrare il meno possibile.

luigi ha detto...

Massimo,
io ho risposto alle motivazioni che hai avanzato contro la liberalizzazione delle scuole dell’obbligo in un tuo precedente commento, in cui affermavi che queste devono essere monopolio di stato «perché lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato». Adesso avanzi altre argomentazioni. Ne prendiamo atto: vuol dire che le prime non valgono più? Mi piacerebbe capirlo, altrimenti andiamo a zig zag e così anche i tuoi lettori. Comunque, il secondo tipo di argomentazione mi lascia molto perplesso. Cioè: una situazione di monopolio privato non è ovviamente auspicabile (in genrale, non solo per le scuole), infatti ciò che dico spesso è che il privato è una condizione necessaria ma non sufficiente per la liberalizzazione. Ma nel tuo ragionamento c’è un pregiudizio o comunque un’affermazione non giustificata da nessuna scienza economica, e cioè che la scuola dell’obbligo – a differenza della scuola non obbligatoria – non sia imprenditorialmente interessante se non in condizioni di monopolio, per giunta garantite dalla stato per mezzo delle sue leggi. Tutto questo, sulla base di quale teoria?

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
la prima argomentazione vale quanto valgone quelle che ora avanzo e tutte insieme non esauriscono il mio pensiero in proposito. Mai scritto che "la scuola dell’obbligo – a differenza della scuola non obbligatoria – non sia imprenditorialmente interessante se non in condizioni di monopolio, per giunta garantite dalla stato per mezzo delle sue leggi". Semplicemente la scuola materna, elementare e media inferiore viene scelta dalla famiglia in base alla vicinanza e/o raggiungibilità ed è ragionevole pensare che negli oltre 8000 comuni italiani la stragrande maggioranza delle famiglie difficilmente potrebbero scegliere altrimenti. Il monopolio risulterebbe così dall'obbligo all'istruzione. Senza obbligo all'istruzione e ragionevole prevedere che in moltissimi casi non ci sarebbe neppure la scuola, se non sostenuta da soldi pubblici (in qualsiasi modo arrivino, quindi anche attraverso il buono-scuola alle famiglie) per garantire l'accessibilità e quindi la presenza della scuola su tutto il territorio. Ecco creato, comunque, un sistema in cui vengono privatizzati gli utili e pubblicizzate le perdite dei cosiddetti imprenditori, ovvero mafie legali.

luigi ha detto...

Se la prima argomentazione vale ancora, non si capisce perché la lasci cadere così, indifesa. Quanto alla seconda argomentazione - spero che non faccia la stessa fine della prima -, tu a un certo punto consideri uno scenario aperto se la scuola c.d. dell'obbligo non fosse obbligatoria, comincaindo col dire che "senza obbligo all'istruzione e ragionevole prevedere che...". Direi di mettere da parte questo scenario, dal momento che l'obbligo scolastico esiste. Ancora una volta, capisco la conclusione spaventevole che intendi evocare, e cioè quella in cui c'è il monopolio della scuola dell'obbligo da parte delle mafie. Capisco le premesse, e cioè che uno dei criteri importantissimi che orienta la scelta della scuola è la vicinanza (sono d'accordo); che esiste l'obbligo all'istruzione scolastica. Dunque:

Premesse:
1) Esiste l'obbligo all'istruzione scilastica (d'accordo)
2)Uno dei criteri importanti sulla base del quale le famiglie scelgono la scuola è la vicinanza (d'accordo).
Conclusione:
3)Monopolio privato delle scuole dell'obbligo

Scusa la schematicità, ma come fai a passare da 1) e 2) a 3)? Io penso di essere una persona mediamente intelligente, eppure accetto le prime due premesse ma non accetto la conclusione.

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
proponi un "regime educativo radicalmente non-statale e libero" e poi dici che ciò non significa che lo Stato non debba sostenere chi non riuscirebbe con mezzi propri ad accedervi e già ciò lo rende meno "radicalmente non-statale". Poi dici che tale riforma non tocca di per sé l'istruzione obbligatoria e ciò, oltre a renderlo ancora meno non-statale (così il "radicalmente" l'hai già tu stesso di fatto mandato a quel paese), lo rende di certo non libero.
Un settore economico in cui ci si rivolge quasi esclusivamente al fornitore più vicino, si ha l'obbligo legale di usufruirne ed alcuni ricevono soldi pubblici per servirsene non è di certo un settore in cui vi è concorrenza, bensì un sistema in cui vi sono monopoli territoriali sostenuti legalmente (ovvero coercitivamente) e finanziati dal potere pubblico. Tutto ciò, in qualsiasi settore dell'economia avvenga, altro non è che un sistema mafioso di Stato, a mio modesto parere di liberista antimonopolista.

A proposito di economia e di separare la scienza dalla politica, ti faccio notare che la scienza economica è altrimenti detta economia politica. Senza entrare nell'etimologia dei termini, già dall'espressione è chiaro come la scienza economica delle diverse scuole è diversa anche per una diversa visione politica, quella neomarginalista va più d'accordo con un maggiore liberismo di quella neokeynesiana notoriamente.

Luigi ha detto...

Perché gli aiuti economici alle famiglie bisognose dovrebbe rendere meno non-statale la scuola? Stai forse dicendo che la proposta dei sussidi di disoccupazione o dei salari minimi garantiti è una proposta antiliberista perché renderebbe meno libero il mercato in cui tali aiuti sarebbero dirottati? Mah! Tu scrivi che l'obbligo scolastico renderebbe certamente non libera la scuola. Stiamo scherzando? L'obbligo all'istruzionee non rende non-libero alcunché, anzi rende libero chi ne partecipa e contribuisce, oggi molto minimamente, a tenere alta la domanda di istruzione, in modi indipendenti dagli andamenti che caratterizzano il rapporto tra la domanda e l'offerta, agirebbe cioè come una seconda natura da cui prendere le mosse, così come il mercato prende le mosse da altri dati natueali, come i morsi della fame.

Ti faccio osservare che non hai ancora spiegato come dalle premesse 1) e 2) (su cui io concordo pienamente) passi alla conclusione 3) (che io respingo). In questo tuo ultimo commento ti sei limitato a ripetere il sofisma. Anche perché, le premesse 1) e 2) sembrano andare proprio nella direzione opposta alla conclusione da te indicata. Infatti, la premessa 2), l’obbligo scolastico, lo abbiamo detto, contribuisce a rendere il settore scolastico economicamente interessante, interessante a più soggetti- La premessa 2) anch’essa va nella direzione del pluralismo (non del monopolio), perché ciò che è vicino a me non è vicino ad altri, cioè contribuisce a differenziare la domanda.

Credo che una piccola analogia (che in quanto analogia va presa con le pinze) può aiutare a capire queste ultime affermazioni, a proposito di come l’obbligo all’istruzione e il criterio della vicinanza (che però non è, ricordiamolo, l’unico criterio) combattano, anziché favorire il monopolio. L’analogia che propongo consiste nel sostituire la domanda di istruzione sotto obbligo con la domanda di pane per esempio (i morsi della fame possono essere gli analoghi delle sanzioni a cui incorre il cittadino che trasgredisca all’obbligo scolastico, se a qualcuno non piace il pane o è celiaco è invitato a scegliere un altro alimento). Il criterio della vicinanza gioca un ruolo fondamentale anche nella scelta del panificio, eppure a me non risulta che ci sia un regime di monopolio dei panifici gestito da mafie locali etc. etc., ciò che è vicino a me non è vicino ad altri, il criterio della vicinanza cioè differenzia (insieme ad altri criteri) la domanda, e spinge al pluralismo, non al monopolio.

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
gli "aiuti economici alle famiglie bisognose" rendono "meno non-statale la scuola" smplicemente perché gli aiuti di cui parliamo sarebbero statali e statale mi sembra l'opposto di non-statale. I sussidi di disoccupazione (dei salari minimi garantiti non parlo perché non so che siano) non sono antiliberisti, nel senso che non uccidono di per sé il libero mercato, ma di certo lo attenuano. Qualsiasi sostegno pubblico (in qualsiasi forma) ad un qualsiasi settore dell'economia attenua il gioco "naturale" della domanda e dell'offerta.
Obbligo scolastico significa letteralmente e sostanzialmente che non si è liberi di scegliere se usufruire o meno di un servizio... obbligatorio, appunto, che è il contrario di libero. Nessuno scherzo, è solo lingua italiana e principio di non contraddizione, di cui dovresti sapere qualcosa.
Tornando ai concetti base dell'economia politica (classica, marginalista o keynasiana che sia) e di politica economica, qualsiasi politica volta "a tenere alta la domanda" attraverso sostegni pubblici in qualsiasi settore economico è in contraddizione con il liberismo, ovvero con il lasciar fare al libero incontro tra domanda ed offerta.
I "i morsi della fame" fanno pienamente parte degli "andamenti che caratterizzano il rapporto tra la domanda e l'offerta". Il "criterio della vicinanza gioca un ruolo fondamentale anche nella scelta del panificio", ma se panettiere vicino casa triplica follemente il prezzo dei suoi prodotti è ragionevole pensare che fai qualche centinaio di metri in più per andare in un altro panificio o in un supermercato o bottega di generi alimentari, appunto perché monopolio territoriale non c'è. Pensi che aprire una scuola abbia gli stessi costi che aprire un forno? Se chiude un forno non è difficile fornirsi da un altro. Credi che sia la stessa cosa negli oltre 8000 comuni italiani per ciò che riguarda una scuola elementare, ad esempio? Se i costi per aprire un panificio fossero tanti e tali che in ogni comune di qualche decina di migliaia di abitanti solo un imprenditore o due riuscissero ad aprire un panificio e non vi fossero le botteghe di alimentari né i supermercati allora saremmo nell'ipotesi del monopolio naturale territoriale, locale. Se ci fossero sostegni pubblici a chi non riesce a comprare il pane allora saremmo in un regime che conosco poiché o visto, ovvero quello socialista statalista libico, dove il pane è quasi gratuito e così altri prodotti di prima necessità e di libera concorrenza non se ne vede affatto, almeno nel settore pane. Se al regime dei panifici libico (sostegni alla produzione del pane facendone artificiosamente abbassare notevolmente il prezzo) aggiungessimo l'obbligo di comprare il pane arriveremmo addirittura alla Cina comunista di Mao dove tutto ciò avveniva non per il pane, è vero, ma per la ciotola di riso. Come tutto ciò sarebbe per te a favore di un regime "radicalmente non-statale e libero" me lo spiegheresti, cortesemente?

luigi ha detto...

Massimo,
facciamo il punto. Contro la liberalizzazione della scuola dell’obbligo hai avanzato due argomenti. Il primo è questo: «perché lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato». Il secondo è il sofisma di cui sopra. Ripetiamolo: le premesse dicono che 1) Esiste l'obbligo all'istruzione scolastica (su cui non si può non essere d’accordo), 2)uno dei criteri importanti sulla base del quale le famiglie scelgono la scuola è la vicinanza (sono d'accordo); la conclusione sarebbe 3) Monopolio privato delle scuole dell'obbligo. Abbiamo visto che il primo argomento non funziona. Quanto al secondo, concordo sul fatto che qualcosa come il monopolio privato delle scuole dell’obbligo non sarebbe auspicabile. Ho sottolineato però che l’inferenza non sussiste. Infatti, nel tuo ultimo commento, per far funzionare il sofisma, che resta tale, hai aggiunto una ulteriore premessa: i costi esorbitanti per aprire una scuola! Penso che questa ulteriore premessa, contrariamente alle prime due, sia semplicemente falsa (sicuramente infondata). Perché dovrebbero essere così esorbitanti? Tenuto anche conto che cambierebbe radicalmente il paesaggio architettonico delle scuole. Non più immensi palazzi, case circondariali, ma piccoli giardini epicurei. Insomma, non credo proprio che i costi sarebbero così esorbitanti come tu paventi. Perché pensi che dovrebbero essere così onerosi da rendere la scuola dell’obbligo economicamente interessante soltanto in regime di monopolio?

Statale e non statale sono sicuramente opposti, ma non ne deriva che la statalità dei sussidi di disoccupazione renda statale o più statale la scuola o il mercato. È un dato di fatto che non è così! Cosa diversa sono gli aiuti economici alla Fiat o a particolari settori dell’economia, come l’agricoltura.

Tu scrivi che «qualsiasi politica volta a tenere alta la domanda attraverso sostegni pubblici in qualsiasi settore economico è in contraddizione con il liberismo». Sono d’accordo in generale, ma ho già spiegato perché ciò non si verifica nel caso dell’obbligo scolastico. Lo ripeto: l’obbligo scolastico agisce sul mercato come una seconda natura, c’è e basta, è un dato di fatto da cui il mercato deve prendere le mosse, come prende le mosse da altri dati che ci sono e basta. L’obbligo scolastico, in altre parole, non è un agente economico che si attiva o disattiva, aumenta o diminuisce a seconda di particolari interessi economici, ancorché statali: c’è e basta. È una seconda natura.

Massimo Messina ha detto...

Luigi,
liberalizzazione della scuola dell’obbligo significa innanzi tutto togliere l'obbligo. L'argomento «perché lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato» esprimeva una mia preferenza liberale e liberista, il "non può" non va preso alla lettera, bensì è un modo di dire.
Riguardo quello che chiami sofisma, ti invito a leggere la letteratura economica sui monopoli territoriali. Se per scuola intendiamo le strutture educative che pressocché in tutto il mondo scuole sono chiamate, nei regimi privatistici esse finiscono per essere monopoli territoriali.
Se per scuola intendi qualcos'altro allora spiegami nello scenario che prefiguri che obblighi dovrebbero avere tali imprese private per poter essere chiamate scuole? Non dovrebbero in Italia sottostare ai programmi ministeriali? Non dovrebbero avere palestre, aule magne, proiettori, lavagne, cortili, aule attrezzate con banchi e cattedre, insegnanti, bidelli, personale di segreteria, presidi?
La "statalità dei sussidi di disoccupazione" rende di certo "più statale" il mercato, meno libero dai vincoli di legge, meno dipendente dalle leggi di mercato, indipendentemente dal giudizio che poi si dà ai sussidi, semplicemente in base alle definizioni. Qualsiasi aiuto a qualsiasi settore economico ha alla fine effetti "distorsivi" rispetto a come andrebbe il mercato lasciato libero. Va valutato politicamente se vogliamo o meno tale distorsione.
L’obbligo scolastico renderebbe il settore non libero di morire, ad esempio, altro che libertà! Libertà economica non vi è se non c'è la libertà basilare di non fornirsi di tale bene o servizio. Ciò basta, ai miei occhi come argomento contrario alla privatizzazione della scuola, poiché un settore dell'economia privata che non può morire per legge è già un settore mafioso, ai miei occhi. Se un giorno le persone volessero indirizzarsi verso il riso piuttosto che il pane i panifici potrebbero chiudere, la scuola dell'obbligo sarebbe privata dell'obbligo (dovuto alle regole del mercato) di chiudere se le famiglie non la volessero più, invece.

luigi ha detto...

Vediamo un po’. Tu scrivi che ne «l'argomento “perché lo Stato non può dirmi di mandare mio figlio a scuola e poi chiedermi dei soldi per un servizio che non chiedo io, bensì che mi viene imposto dallo stesso Stato”», «il “non può” non va preso alla lettera». Se il senso di “non può” (che certamente è usato in senso non letterale) è tale che l’argomento che ne risulta è approssimativamente questo: “non è legittimo che lo stato mi imponga di mandare mio figlio a scuola e nello stesso tempo mi imponga di sborsare dei quattrini per un servizio che non chiedo io”, allora ne abbiamo già mostrato l’inconsistenza, dal momento che esistono altre circostanze in cui tale doppia imposizione si verifica, circostanze relativamente alle quali nessuno si sognerebbe di affermare quella illegittimità. Se invece il senso di “non può” è tale che l’argomento che ne risulta è questo: “è legittimo che lo stato mi imponga di mandare mio figlio a scuola e nello stesso tempo mi imponga di sborsare dei quattrini per un servizio che non chiedo io”, allora, molto semplicemente l’argomento non c’è più.

Accoglierei molto più volentieri i tuoi inviti a letture sui monopoli territoriali se accompagnati da opportuni riferimenti bibliografici, meglio ancora se da luoghi precisi. Tu scrivi che «se per scuola intendiamo le strutture educative che pressoché in tutto il mondo scuole sono chiamate, nei regimi privatistici esse finiscono per essere monopoli territoriali». Questo è un fatto o un teorema? Se è un fatto mi piacerebbe capire dove e quando è stato appurato e perché dovremmo proiettarlo induttivamente su tutti i dove e i quando. Se è un teorema mi piacerebbe conoscerne la dimostrazione. Se è un dogma – e ha tutta l’aria di esserlo –, allora possiamo metterlo tranquillamente da parte. Per scuola io intendo ciò che comunemente si intende con questa parola. Certo, una scuola non statale è una scuola molto più agile e aperta ai cambiamenti, quelli che possono derivare dalla tecnologia p. es.: facciamo un esempio, se si riuscisse a costruire un robot in grado di insegnare a leggere, scrivere e far di conto, questa invenzione troverebbe nelle scuole private un terreno di sperimentazione molto più facilmente che in scuole ipotecate da interessi elettorali, religiosi etc. L’esempio del robot è volutamente estremo. Nelle scuole italiane la figura del bidello è completamente inutile (tempo fa è stata fatta una inchiesta da Libero su questa faccenda). Credo proprio che sarebbe la prima categoria scolastica a sparire. Quanto agli obblighi che le scuole private dovrebbero avere per essere chiamate scuole, io in generale tenderei a ridurli, proprio per facilitarne l’apertura ed evitare monopoli (eviterei leggi del tipo: occorre che ci sia un cortile di metri quadri tot, occorre che ci siano almeno tot aule, etc.). Più che dai costi per aprire un’impresa, i monopoli sono dovuti a leggi non liberali, a difficoltà ad avere acceso ai prestiti, a sistemi giudiziari imprevedibili. In generale non credo che l’apertura di una scuola comporti investimenti esorbitanti, dal momento che non ha bisogno di particolari e costosissime apparecchiature. Aprire una clinica ha dei costi infinitamente superiori, eppure questo non conterebbe come argomento contro la sanità privata. Lo ripeto, non sono i costi – che, però, nella fattispecie non vedo particolarmente esorbitanti –, ma le leggi e le bardature corporative. Quanto ai programmi ministeriali, non penso sia una buona idea, anzi: penso sia assolutamente pessima. Il programma ministeriale, che però poi non sarebbe più tale, dovrebbe limitarsi a pochi obiettivi la cui valutazione dovrebbe procedere con test standard. Questo vale solo per le scuole dell’obbligo. Le scuole superiori e le università sarebbero completamente libere… [continua]

luigi ha detto...

…. Tu dici che i sussidi di disoccupazione rendono più statale il mercato, perché «qualsiasi aiuto a qualsiasi settore economico ha alla fine effetti “distorsivi” rispetto a come andrebbe il mercato lasciato libero». Mi sembra una tautologia, rispetto alla quale dovresti – se ne hai voglia, perché ciò che io mi propongo non è la difesa della dottrina del liberismo in qualche sua versione debole, forte o fortissima –, innanzitutto, dire perché dovremmo classificare i sussidi di disoccupazione come aiuti a qualche settore economico (a me la cosa non sembra per niente evidente, anzi mi sembra controintuitiva). In secondo luogo, dovresti dire perché dovremmo classificare come più statale il mercato con sussidi di disoccupazione, più libero il mercato senza sussidi di disoccupazione, potrebbe infatti anche darsi il contrario, a meno che non lo stipuliamo per definizione, ma la stipulazione richiede l’accordo, e su questa faccenda non c’è accordo, almeno tra noi due.

Veniamo all’ultimo punto in cui proponi un terzo argomento contro la scuola dell’obbligo privata, quello che taglia la testa al toro. Tu scrivi: «l’obbligo scolastico renderebbe il settore non libero di morire» e «un settore dell'economia privata che non può morire per legge è già un settore mafioso». Dunque, andiamo in ordine. Innanzitutto trovo opportuno ripetere che l’obbligo scolastico non è qualcosa che si attiva o disattiva, cresce o diminuisce a seconda di interessi economici contestualmente determinatati, ma agisce sul mercato come una seconda natura, per esempio come i morsi della fame. I morsi della fame non rendono libero il settore alimentare di morire, benché rendono libero qualche particolare settore alimentare di morire, così come l’obbligo scolastico renderebbe libera qualche particolare scuola di morire, che è ciò che più conta!!! In secondo luogo, come ho già avuto modo di dire, ma adesso ho modo di ripeterlo con più enfasi, l’obbligo scolastico incide minimamente sulla domanda di istruzione, la quale, per il modo in cui oggi è organizzato il lavoro, è di per sé elevata, e probabilmente lo sarà sempre di più. Quando tempo fa il governo Berlusconi si propose di abbassare le tasse, tutto il mondo politico di sinistra, nella processione i comunisti portavano la bandiera, insorse evocando scenari apocalittici, in cui chiudevano gli asili nido, peste e quant’altro solo per difendere una certa ideologia. Ebbene, qualcosa di simile traspare nel tuo commento, in cui tiri in ballo la mafia (che ha subito una connotazione negativa), i libici e i cinesi.