sabato 19 gennaio 2013

Schlag scrive a Piero Angela


Ricevo tramite posta elettronica e qui pubblico la seguente lettera aperta a Piero Angela, a firma Schlag.

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Caro Angela,

venerdì 07/12 ho molto apprezzato il tuo Superquark sull'economia: anche se realizzato senza profusione di mezzi, era apprezzabile, chiarissimo ma poi soprattutto scientificamente corretto, il che, di questi tempi e per la televisione, é un autentico miracolo;

se, di programmi simili, ce ne fossero due o tre al giorno, forse potremmo anche riuscire nel problematico tentativo di rimettere l'Italia in carreggiata.

Lasciamiti tuttavia dire la mia sorpresa del fatto che tu abbia involontariamente evitato l'argomento economico forse più importante ed interessante, cioé quello sulla inevitabile diffusione del benessere

e che io – avendola recepita un po' dagli insegnamenti di Carnegie, ma poi e soprattutto di Gesell (vedi http:\\www.gesell.it ) nel seguente articolo http://www.radicalsocialismo.it/index.php?option=com_fireboard&Itemid=209&func=view&id=48177&catid=1 ho illustrato come segue:

la disoccupazione – beninteso solo quella creata dalla ricerca, dal progresso tecnologico, nonché da nuovi investimenti di capitale – nei tempi lunghi verrà sicuramente superata grazie al passaggio, al monte salari, della totalità del risparmio, da essi consentito; ed é possibile dimostrare ciò.

A vantaggio dei dubbiosi descriviamo un ciclo: intermediario indispensabile, a simile finale vantaggio generale, é l'imprenditoria, che per la ricerca e/o la meccanizzazione affronta costi anche notevolissimi, QUASI SEMPRE A DEBITO, cioé rendendosi garante, presso gli investitori, del loro rimborso.
Ovviamente nell'immediato essa allora é portata molto più ad ammortizzare questi buffi, che non a creare un maggiore benessere per la classe operaia, attraverso l'immediata concessione d'aumenti salariali;
così – poiché é lei che incassa e tiene il mestolo, manu padronali e senza assolutamente chiedere assensi – l'imprenditoria distrarrà i risparmi conseguiti per finalizzarli gran parte ad ammortamento dell'investimento effettuato, resto a proprio utile;
si potrebbe pensare che – terminato l'ammortamento – sia fortemente tentata di continuare a mettersi il tutto in tasca – ma per farlo dovrebbe scontrarsi duramente col sindacato, che ORMAI GIUSTIFICATISSIMAMENTE (cioé non certo alla Landini!) reclama migliorie contrattuali; inoltre si verifica una circostanza, decisiva per tagliare la testa al toro:
a inizio ciclo, la contrazione dei costi non può che essere avvenuta a danno, almeno maggioritariamente, del monte salari, con aumento della disoccupazione e conseguente caduta della domanda aggregata (dipendente da quelli ben più che non dai profitti degli imprenditori, che hanno già da gran tempo soddisfatto la maggior parte dei loro bisogni);
ed a fine ciclo questa caduta della domanda aggregata ostacola le possibilità di vendita del neoprodotto industriale, invece nel frattempo notevolmente aumentato grazie all'entrata a regime dei nuovi macchinari, talché l'imprenditore si ritrova nell'alternativa:
a) continuare ad appropriarsi dei risparmi di costi, però cosi non solo dovendo scontrarsi coi sindacati ma anche non potendo monetizzare la maggiore produzione, ormai in corso e che resta invenduta;
b) oppure appunto compiere il bel gesto di abbandonare, al monte salari, questi risparmi di costi, cosa del resto ormai pienamente consentitagli dal loro conseguito ammortamento, e con la certezza che comunque nel suo portafoglio tale liquidità verrà – forse anche vantaggiosamente – sostituita dai guadagni da completa vendita della neo produzione:
offrendo capra e cavoli, questa é stata finora e sempre sarà la soluzione percorsa, anche se il più delle volte inavvertitamente perché non sempre i risparmi tecnologici sono così sostanziali come quelli che nel 1910 consentirono a Ford la plateale riduzione da 10 ad 8 ore dell'orario di lavoro con contemporaneo aumento del 10% della paga.
La lampante prova di tutto ciò tanto ci é comunque offerta dal fatto che, ai nostri giorni, anche la classe operaia può disporre di beni di consumo, in precedenza privilegio giusto di re e magnati i quali, a controaprova, invidierebbero terribilmente certi beni, come i computers, i cellulari e/o le automobili, che non hanno mai neanche potuto vedere: un odierno manovale insomma vive più e meglio dei vecchi re!
A parte che il momento economico proprio richiederebbe simile iniezione d'ottimismo – perché a mio giudizio la FIDUCIA é, attualmente ed in Italia, la grande assente e latitante -,
a parte che tale lezione d'economia sarebbe preziosa alla dinamica coppia Camusso-Landini, per far loro finalmente apprendere
a) che - in cambio di molti investimenti, di cui nel prossimo futuro s'avvantaggeranno i lavoratori - la CGIL, convergendo col resto della triplice, farebbe bene ad accordare, non solo a Melchionne, quell'immediata SOLIDARIETÀ dei lavoratori, che gli imprenditori GIUSTAMENTE ormai pretendono;
b) che la CGIL non può pretendere, come attualmente fà, che la Fiat, salvo altri, investa centinaia di milioni di euro, caricandosi di debiti, sic et simpliciter per l'unico scopo di poter immediatamente offrire alla classe operaia MIGLIORMENTI REMUNERATIVI,
ma che la classe operaia deve rassegnarsi a prima di tutto consentire l'ammortamento degli investimenti, accettando quel periodo di vacche magre per tutti, che inevitabilmente segue qualunque capitalizzazione, ma che anche annunzia benefici futuri.
  1. che la lotta di classe non é mai stata la levatrice della storia, ma solo una megamignottata marxistica, perché – come giustamente dice Sallustio (Bellum Iugurthinum)– con la concordia anche gli enti piccoli riescono a crescere, mentre con la discordia si dissolvono anche quelli massimi............... (non per niente l'Italia é diventata l' EX-settima economia mondiale!)
....a parte tutto ciò, apparirebbe subito sconfortante che – a fronte di questo sistema imprenditoriale FORTUNATAMENTE abbandonante, completamente ed in favore della classe operaia, i risparmi da innovazione tecnologica, ricerca ed investimenti non appena ammortizzati -
perduri invece ancora un sistema immobiliare dove – ad eccezione dell'ambiente anglotedesco dove è rilevabile, ma non totalmente esteso il diritto di superficie – un inghippo, concordato tra proprietari ed Abominevole (intendi: lo Stato), impedisce de facto un analogo ammortamento degli immobili ed il loro successivo passaggio in proprietà comune,
come sarebbe altrettanto auspicabile, perché i progressi economici non diventano evoluzione vera e propria se non quando diventano estremamente condivisi, cioé quando in pratica se ne avvantaggi la collettività.
E se fosse davvero questo, come dice Gesell, il peccato originario del sistema economico impropriamente chiamato capitalismo (meglio sarebbe pluralismo economico in libero mercato)?
Gesell é infatti uno strenuo sostenitore di questi ultimi due, ma non della proprietà immobiliare PRIVATA perché - da persona raziocinante ed applicando il rasoio di Occam (intendi: Entia non sunt multiplicanda propter necessitatem, ossia le novità teoriche non devono eccedere la loro necessità) –
egli vede in essa l'unico reale impedimento all'instaurazione del Socialismo, risolventesi nell'antico (S. Paolo, Corinzi) CHI NON LAVORA NEANCHE MANGI ! e (Ulpiano) CUIQUE SUUM ; non esclude di potersi sbagliare ma – poiché si sarà sempre a tempo a successivamente correggersi – per il momento potremmo provare a solo eliminare la proprietà privata immobiliare,
e per un po' mettersi a vedere cosa succede, senza subito marxisticamente infognarci in quel totalitarismo di Stato, che già a lume di naso non promette niente di buono.
Dunque parzialmente ridimensionando l'affermazione del suo maestro Proudhon (quello de “La proprietà é un furto”) Gesell distingue nettamente tra la proprietà della terra - che prima di tutto non é opera umana, ma poi é soprattutto ha INSOLITE caratteristiche di ETERNITÀ - e tutte le altre:
infatti per queste ultime - indiscutibilmente opere UMANE – il lavoratore é degno della sua mercede; del resto non c'é problema a riconoscergliene la proprietà, tanto esse sono caduche, offrono quasi sempre fruibilità solo per una frazione della vita del loro approntatore, per cui neanche la successione creerà problemi.
Ma la terra no: finché a reclamarla non verrà un gigantesco Vecchio - canuto e col triangolo in testa! - la terra (e sue superfetazioni) é e deve essere (come da Sue istruzioni) della Comunità, che la frazionerà opportunamente e l'assegnerà, per una certa durata, pro-quota ed in cambio di un corrispettivo, a chi ne faccia richiesta;
sorge subito il problema delle superfetazioni (piantumazioni, costruzioni, opere d'arte, non frutti dell'annata): la Comunità dovrà vederle con occhio favorevole o proibirle? Secondo l'utilitarista Gesell questo incremento sulla proprietà comune deve esser visto molto FAVOREVOLMENTE,
anche per l'indiscutibile apporto occupazionale che queste superfetazioni offrono - lasciandole ammortizzare (pienamente INTASSATE e con recupero a loro favore dell'eventuale svalutazione monetaria e delle spese incrementative di manutenzione), contro impegno che, appena ammortizzate, siano abbandonate alla Comunità.
Momentaneamente sorvolando sulle difficoltà applicative - completamente affrontate e risolte in modo ingegnosissimo, ma su cui t'intratterrò a tua richiesta - proviamo ad immaginare la nuova vita nella Weltanschauung gesellista in cui tutti gli immobili, dopo 50 o più anni anni diventino dei Comuni:
a) sia S. Paolo che Proudhon son accontentati, nessuno può più vivere di rendita, per cui il PIL, con grande e generale vantaggio, viene impinguato anche col prodotto del lavoro di tutti gli attuali capitalisti, che attualmente invece son sempre e solo bocche da sfamare (e poi con quella razza d'appetito!) e mai braccia produttive.
b) i Comuni a regime incassano molti canoni di concessione immobiliari (dovrebbero cercare di associarci tasse solo nel transitorio necessario all'ammortamento) e sono tributari dello Stato, assicurandogli i fondi necessari al bene comune:
il patrimonio comunale si incrementa, anno per anno, del lavoro di milioni d'operatori economici per cui, a popolazione auspicata diminuente o al massimo costante, si può prevedere decrescente il monte dei canoni immobiliari e quindi crescente la facilità di vita.
c) superato il transitorio, non ci sarebbe più da temere il gap del costo del lavoro (rispetto a nuovi paesi emergenti ma non gesellisti), perché questi lo avrebbero inevitabilmente formato dai profitti di capitale (lo sono anche i canoni immobiliari) maggiorati delle tasse, mentre all'altra non necessitan più le tasse (o quantomeno non nella stessa percentuale).
Quindi teoricamente Gesell ha ragione a mettere in rapporto di causa ed effetto quella succitata anomalia della proprietà immobiliare con l'inevitabilmente decadimento del sistema capitalistico, poiché le leggi dell'economia possiedono la stessa ineledubilità delle leggi fisiche:
guarda caso MONTI – pur essendo un terribile cialtrone – con l'IMU sta GOFFAMENTE copiando il canone concessorio gesellista, addossandoci però i difetti del turco e dell'ebreo più che non anche facendoci fruire di qualcuna delle loro buone qualità,
come la semplicità, la scelta del tempo (immobile ammortizzato e quindi non cumulando rate di mutuo e canone), volontarietà e quindi anche ELUDIBILITÀ del sistema Gesell: ad esempio una semplice rinunzia alla concessione ci potrebbe sgravare del canone su quella vecchia casa dei nonni, al paese, svuotatosi d'abitanti,
che non si riesce più a vendere perché i valori immobiliari son stati fatti crollare e quindi attualmente essa proprio non vale più nulla, anche se attualmente si dovrà continuare a pagarci sopra l' INIQUA IMU, con l'illusoria speranza di prima o poi rifarsi.
Non pensi che sarebbe interessante una trasmissione su simili concetti?.............allora falla ed io non solo sarò a tua completa disposizione per qualunque implementazione e/o ulteriore spiegazione; ma anche - però non dispongo di grandi mezzi - metterò volentieri a disposizione quanto non mi sia necessario, per l'allestimento della trasmissione.
Saluti anarco-socialisti. Schlag (Francesco RAUCEA)
 

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