domenica 21 giugno 2020

Georgismo, libero mercato, anarchia

Eccovi la terza puntata dell’intervista geolibertaria. Le domande sono sempre di Dario Farinola e le risposte di Massimo Messina. Le puntate precedenti dell’intervista le trovate ai seguenti link:
  1. Torna in vita GeoLib, con un'intervista
  2. Continua l'intervista: liberalismo, liberismo, socialismo, Henry George ed il georgismo
- Nella scorsa puntata abbiamo fatto riferimento ad Henry George e il georgismo ed ovviamente parlando di georgismo non si può non parlare di imposta unica fondiaria. A tal riguardo va sottolineato come Luigi Einaudi (gigante del pensiero liberale) fosse contrario ad un'imposta unica di questo tipo non perché fosse contrario in sé ma perché semplicemente riteneva che l'esistenza di un'imposta unica fondiaria fosse insufficiente per mantenere l'intero apparato burocratico dello Stato. Secondo te, è sufficiente un'imposta unica fondiaria per mantenere l'ossatura dello Stato così come oggi la conosciamo o ci sarebbe un enorme cambiamento a riguardo?

- Partiamo dal fatto che il valore fondiario è un valore di mercato: dipende dalla domanda e dall’offerta. Quest’ultima, in una situazione in cui tutti i fondi sono occupati, diventa una costante, mentre la domanda dipende principalmente dal numero di abitanti o visitatori. Prendiamo ad esempio una città turistica come può essere Firenze. Un metro quadro di un fondo a Firenze vale molto di più di un metro quadro in un’altra città, magari della stessa Toscana, che è al di fuori dei circuiti turistici. Le entrate, quindi, di un sistema fiscale georgista, indurrebbero pure a politiche di miglioramento dell’ambiente, del territorio, affinché esse attraggano presenze di qualità, turistiche o meno. Tra i grandi economisti e pensatori liberali/libertari che hanno sostenuto l’idea di un’imposizione fiscale di tipo georgista vi sono Hermann Heinrich Gossen, Frank Chodorov, Albert Jay Nock e Fred Foldvary. Tutti questi ci mostrano come tale tipo di imposizione fiscale - accompagnata ad un totale libero mercato - sarebbe il contrario degli interventi statali intesi in senso statalistico, bensì sarebbe la via per l'estinzione di ogni intervento statale. Anche l’idea di Einaudi che tale tipo di imposizione fiscale sia insufficiente per finanziare lo Stato convalida quest’idea. Per un georgista ciò che conta è abbattere la rendita parassitaria, non mantenere lo Stato, che, a ben vedere, è un aggroviglio di rendite parassitarie.

- Uno Stato georgista quali servizi può offrire ai cittadini?

- Qui si possono fare diverse ipotesi. Ciò che conta è che la rendita parassitaria venga redistribuita a chi appartiene (anche virtualmente, come spero di chiarire man mano che espongo la mia idea). Tornando al pensiero che la rendita fondiaria dipende unicamente dalla domanda, cioè in fondo dalle persone che lo valorizzano non avendone il possesso, queste persone vanno pagate, in un modo o nell’altro, anche soltanto eliminando il valore della rendita parassitaria. Chi occuperebbe un fondo il cui valore si estinguerebbe di continuo, prima che egli possa farne qualcosa? Forse solo chi potrebbe trarre dal fondo stesso un valore maggiore della rendita e così si indurrebbe tutti i possessori dei fondi a valorizzarli o a disfarsene, facendoli circolare di possesso finché arrivano in possesso a chi riesca a valorizzarli al meglio. Uno Stato georgista, quindi, è di certo uno Stato in cui il mercato è al centro ed i servizi verrebbero principalmente dallo stesso mercato, secondo domanda ed offerta degli stessi. Io personalmente, ormai, sono per un neogeorgismo che superi il concetto di Stato così come lo conosciamo oggi, perché pensare ad un apparato statale che offra servizi significa mettere al di fuori del mercato tali servizi, con tutte le inefficienze e le distorsioni che ne derivano, ma anche, dal punto di vista etico, con tutte le violenze derivanti dal “monopolio della forza” che, per chi non lo ricordasse, è lo Stato.

- Esisterebbe il welfare state così come oggi lo conosciamo o si troverebbero soluzioni alternative a riguardo?

- Questa domanda che fai mi sembra centrale, appunto, in base a ciò che dicevo. In un’ottica di liberalizzazione di ogni possibile servizio, rimetterei quello che chiamiamo welfare al mercato, totalmente. Ciò, però, può essere fatto unicamente se prima si ridà a chi si era tolto e non attraverso strumenti redistributivi di tipo socialdemocratico, che accrescono il potere discrezionale e coercitivo dello Stato, bensì attraverso l’estinzione del valore fondiario. Piuttosto che ad un’imposta, come la pensava George nel suo tempo, penso ad un vero e proprio valore che si estingue, che si scioglie, come il giaccio al sole. Evoco con quest’immagine la moneta di ghiaccio geselliana, o moneta deperibile. Se il valore monetario della ricchezza detenuta da chi si impossessa dei fondi diminuisse costantemente e abbastanza velocemente, risolveremmo il problema della rendita fondiaria senza per questo dover creare un apparato di acquisizione dell’imposta fondiaria ed evitando pure la questione politica di come redistribuire tali entrate, che, come si sa, hanno la tendenza a restare almeno in parte (parte sempre più consistente) nelle mani di chi li gestisce, che, ammantandosi di buone intenzioni (di solito qui si fa riferimento a concetti quali “bene comune”) finisce sempre per fare i suoi di interessi.

- Su quali parametri oggettivi stabilire l'imposta fondiaria?

- Essendo un valore di mercato direi, continuando ciò che stavo dicendo, nessun parametro oggettivo che non sia la stessa domanda. Le persone, prendendo coscienza del proprio diritto/potere e aggregandosi, potrebbero stabilire il tasso di svalutazione monetaria da applicare quando la moneta va in mano a chi si impossessa delle risorse naturali o ne limita l’accesso o le inquina. Questo sarebbe un neogeorgismo che emergerebbe dal basso e che si relazionerebbe con lo Stato e con gli attuali poteri pubblici volendoli solo sostituire con organizzazioni volontaristiche, perché finché la moneta ci è imposta dall’alto, tutto ciò non potrebbe realizzarsi, se non in maniera distorta dalla violenza, dalla coercizione statalista.

- Eliminando tutte le altre forme di tassazione ci può essere il rischio che l'imposta fondiaria sia estremamente elevata e che in buona sostanza per il cittadino non cambi nulla per quel che concerne il quantum da pagare allo Stato?

- L’imposizione fondiaria grava solo su chi si impossessa dei fondi. In un’ottica neogeorgista si può applicare il concetto a tutte le risorse naturali (tassando chi ne limita gli accessi o le inquina) ed il ragionamento che qui espongo vale anche per esse. Un’imposizione fondiaria non può, per definizione, essere maggiore del valore dello stesso fondo. Se arbitrariamente uno Stato applicasse, nell’ambito di un regime fiscale di tipo georgista, un’imposizione fiscale maggiore della rendita, ciò che otterrebbe sarebbe fare scappare via chi detiene quei fondi, lasciandoli e quindi le entrate sarebbero nulle. Tutto ciò, ripeto, in un’ottica in cui c’è ancora lo Stato, che si finanzia attraverso un regime fiscale georgista, ma, come affermavo prima, le mie idee sono ormai geolibertarie in senso anarchico. Lo Stato non solo non è necessario, ma è anzi più dannoso che altro. Si può distruggere la rendita parassitaria rimettendo tutto al mercato, anche senza il problema di pensare ad un apparato redistributivo. Si possono avere forme di welfare monetario mutualistiche e di mercato. Sono giunto all’anarchia pensando che finché c’è lo Stato c’è violenza ed anche se lo Stato georgista sarebbe quello fiscalmente meno violento, ci sarebbe comunque violenza. Ciò non significa che essa non ci sarebbe più una volta abolito lo Stato, perché esso è uno degli “attori” della violenza, non l’unico.

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