domenica 28 giugno 2020

Neogeorgismo "geselliano", imposta fondiaria, geolibertarismo

Siamo alla quarta puntata dell’intervista geolibertaria. Le domande sono sempre di Dario Farinola e le risposte di Massimo Messina. Le puntate precedenti dell’intervista le trovate ai seguenti link:
  1. Torna in vita GeoLib, con un'intervista
  2. Continua l'intervista: liberalismo, liberismo, socialismo, Henry George ed il georgismo
  3. Georgismo, libero mercato, anarchia
Nella scorsa puntata hai accennato ad un tuo personale neogeorgismo, accennando ad un valore fondiario che si estinguerebbe attraverso la moneta di ghiaccio geselliana o moneta deperibile. Vogliamo approfondire meglio questo concetto?

Attraverso la riforma fiscale di George, la rendita fondiaria va ad alimentare le entrate pubbliche, come unica entrata ed al 100%, di fatto essendo una nazionalizzazione della Terra. Che una nazionalizzazione possa essere in linea con il libero mercato è decisamente controintuitivo, ma così è, se si analizza bene, perché si abbatte un monopolio legato alla violenza e si immette sul mercato la Terra, che circolerebbe da possessore a possessore finché resterebbe nelle mani di chi la userebbe facendola fruttare. Con Terra, poi, abbiamo visto già la volta scorsa che non deve intendersi il terreno agricolo: un metro quadrato di un fondo commerciale in un centro abitato, magari turistico, ha un valore molto più alto di un metro quadrato di qualsiasi terreno agricolo, come tutti ben sappiamo, quindi i principali contribuenti non sarebbero di certo gli attuali piccoli proprietari terrieri, anzi, probabilmente sarebbe più ciò che ne potrebbero ricavare di ciò che dovrebbero pagare.
La riforma georgista porta di certo ad un fortissimo abbattimento del Leviatano, ma solo da un lato, dal lato delle entrate fiscali e ciò non è di certo poca cosa, ma resterebbe comunque un residuo potere da abbattere - quello della scelta di come redistribuire ciò che attraverso la tassa unica è stato raccolto - e quando ci sono soldi di mezzo e qualcuno che si occupa di doverli redistribuire, specialmente se questo qualcuno si arroga di detenere il monopolio della forza, questo qualcuno finisce sempre per abusare del potere che ha. Che costi avrebbe una qualsiasi forma di controllo? Chi controlla il controllore? Per superare questa questione, ho pensato che la soluzione ideale sia l’abbattimento dello Stato, il suo superamento. Come si potrebbe porre, quindi, la questione della redistribuzione del valore fondiario? Ci sono diverse ipotesi in campo, che vengono proposte, in ambito geolibertario e non ho trovato nessuno che proponga ciò che è venuto in mente a me e quindi penso che sia un’idea orginale. Immaginiamo di aver già raccolto tutto il valore fondiario e di volerlo redistribuire a tutti quanti contemporaneamente. Se vogliamo dare ad ognuno il valore pro quota di ciò che è stato raccolto una via è quella di bruciare quel valore monetario, eliminarlo dalla circolazione. Quando si elimina una massa monetaria ciò che si ottiene è la diminuzione dell’offerta di moneta e ciò significa che il valore delle moneta sale, arricchendo così pro quota, ogni detentore di moneta. Ciò significa che non c’è alcun bisogno di redistribuire: basterebbe bruciare, ma perché bruciare se si può sciogliere, senza accendere alcun fuoco? Fuor di metafora, qui ci viene incontro la moneta di ghiaccio o moneta deperibile geselliana. Il valore fondiario, con gli strumenti informatici attuali, non è affatto necessario che venga raccolto ogni anno o ogni mese o comunque ogni periodo più o meno lungo che vogliamo. Può essere raccolto di continuo, in ogni singolo istante, attraverso algoritmi, “raccolto” e “bruciato” o, meglio, “sciolto”, attraverso un tasso (che varia al variare del valore di mercato del valore fondiario) di deperibilità della moneta da applicare ai detentori della rendita fondiaria o a chi inquina (magari anche più alto per chi inquina). Tutto ciò può essere realizzato attraverso organizzazioni volontaristiche, anche in concorrenza tra loro, che si sostituirebbero allo Stato senza per nulla ereditarne la sua violenza.

Tornando all'imposta unica fondiaria quali sono i Paesi che oggigiorno la applicano e con quali risultati?

Nessun Paese al mondo è attualmente georgista al punto da applicare un’imposta fondiaria che regga le intere entrate pubbliche, purtroppo, ma ci sono Paesi che hanno un’imposizione fiscale più georgista di altri, avendo una composizione delle entrate in cui quelle fondiarie sono relativamente maggiori. Paesi che hanno una rilevante imposizione fiscale fondiaria sono la Danimarca, l’Estonia, la Lituania, la Russia, Singapore, Taiwan, ma anche in alcune zone dell’Australia, del Messico (Mexicali) e degli Stati Uniti (Pennsylvania). Non essendo in ognuno di questi casi un regime fiscale totalmente georgista ed essendo Stati così differenti tra loro, ciò che ci può interessare, ai nostri fini, è cercare di vederne gli effetti che dipendono esclusivamente dall’imposizione sulla rendita fondiaria. In generale vi è assenza di evasione fiscale (nascondere il possesso fondiario è per lo meno difficile), una maggiore forza e dinamicità dell’economia (derivante da una minore imposizione fiscale sul lavoro e sulle imprese), una riqualificazione delle zone più depresse (che pagando molto meno delle altre, divengono così "naturalmente" dei paradisi fiscali), una maggiore mobilità fondiaria, una penalizzazione della speculazione sui terreni e quindi uno sviluppo più ecologico, meno costi derivanti dalla burocrazia, cicli economici meno aspri, oltre che un’imposizione fiscale più equa dal punto di vista morale.

Dato che accennavi all'anarchia e al geolibertarismo ci spieghi che cos'è il geolibertarismo e in che cosa si differenzia per sommi capi dal Georgismo classico?

Il termine “geolibertario” e derivati sono stati introdotti da Fred Foldvary, che ha messo insieme l’idea georgista della Terra da considerarsi comune, alla tradizione libertariana statunitense. Per geolibertario io intendo ogni combinazione tra libertarismo individualista ed idea georgista (altrimenti chiamata geoista, da “geo”, prefisso che viene dal greco antico, indicante la Terra). Il georgismo classico presupponeva lo Stato, pur se uno Stato che adottasse per intera la riforma geogista non sarebbe più lo stesso, mentre il geolibertarismo apertamente intende superare lo Stato, mettendo al centro gli individui e quindi il mercato, nel quale le volontà individuali si incontrano.

Quando è nato il geolibertarismo e quali sono gli autori più rappresentativi di questa dottrina?

“Geo-Libertarianism” fu il titolo di un articolo di Fred Foldvary del 1981. Con quell’articolo nasce ufficialmente il geolibertarismo. Non si può, quindi che iniziare da Foldvary, che poi parlò anche esplicitamente di geoanarchismo. Geolibertari ante litteram, comunque, sono stati grandi esponenti dell’Old Right statunitense quali Albert Jay Nock e Frank Chodorov, essendo fortemente liberali, liberisti e libertari così come georgisti. Andando nel passato, comunque, potremmo annoverare tra i geolibertari tansissimi pensatori di varie discipline, arrivando indietro nel tempo fino al grande filosofo cinese Laozi... Autore geolibertario interessante e contemporaneo è di certo Harold Kyriazi. Qui in Italia di certo va menzionato il nostro comune amico Fabio Massimo Nicosia.

Quali sono le più importanti differenze dottrinali tra i principali autori geolibertari?

Penso di non essere in grado di rispondere compiutamente ad una domanda così impegnativa, specialmente se ci proponiamo che questa sia un’intervista a puntate settimanali, con ritmi settimanali e con scopo divulgativo. Dato che sto elaborando la mia di dottrina geolibertaria, ciò che noto maggiormente è ciò che mi sembra non ci sia negli altri che incontro in questo mio cammino di ricerca. Ho conosciuto Henry George anche grazie a Silvano Borruso, che ho finito di considerare come maestro quando mi ha manifestato le sue idee antiebraiche, corporativiste e filofasciste. Ho imparato molto da Foldvary e da Nicosia. Quest’ultimo lo trovo molto vivace, intelligente e stimolante, oltre che vicino alle mie radici pannelliane, ma penso che la parte più interessante dei suoi lavori non stia nelle soluzioni che propone, bensì nelle questioni che pone, questioni che, da libertari amanti del libero mercato non possiamo che pensare che troveranno soluzione nel mercato stesso, il cui andamento è poco prevedibile, in base agli attuali strumenti conoscitivi. Ciò che dobbiamo fare, secondo me, è creare le condizioni affinché possa esserci, magari gradualmente, un mercato veramente e pienamente libero, cioè nonviolento. Questione centrale per me è appunto la nonviolenza teorica e pratica.

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