Eccoci
all’undicesimo puntata della ormai consueta intervista
geolibertaria, con domande di Dario
Farinola
e risposte di Massimo
Messina.
Le puntate precedenti sono ai seguenti link:
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in vita GeoLib, con un'intervista
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l'intervista: liberalismo, liberismo, socialismo, Henry George ed il
georgismo
Georgismo,
libero mercato, anarchia
Neogeorgismo
"geselliano", imposta fondiaria, geolibertarismo
Geolibertarismo,
nonviolenza e libero mercato
Anarchia
e nonviolenza: due facce della stessa medaglia
Il
Partito Libertario di Fabio Massimo Nicosia... e la nonviolenza
Il
dittatore libertario di Fabio Massimo Nicosia, la nonviolenza, il
libero mercato
Dialogo
tra Farinola e Messina sulla nonviolenza
Per
la liberazione di ogni specie
Facciamo
un passo indietro e torniamo nuovamente al tema della nonviolenza
come strumento principe di lotta politica. Hai citato strumenti
nonviolenti come: l'esempio, l'educazione, la persuasione, lo
sciopero, la non collaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza
civile e la formazione di organi di governo paralleli. Ci dai una
brevissima spiegazione di ciascuno degli strumenti da te menzionato?
Per
quanto riguarda l’esempio: se pensiamo che qualcosa sia sbagliato,
non va fatto, se pensiamo che sia giusto, va fatto, kantianamente,
sperando anche di venire emulati. Spesso si pensa che se riceviamo un
torto, come un’ingiuria, allora siamo legittimati a rispondere
ingiuriando e che ciò sia legittima difesa. La contro-offesa non è
difesa. Il messaggio implicito in ogni contro-offesa è la
legittimazione dell’offendere e quindi se volevamo perseguire la
sua delegittimazione stiamo proprio agendo al contrario di come
dovremmo. Sulla “persuasione”, possiamo pensare a Capitini,
che, con
questo
termine
(ripreso
da Carlo Michelstaedter e da Gandhi)
indicava la “fede”, sia in senso laico sia in
senso religioso
(la
profonda credenza in determinati valori ed assunti)
e tramite essa, la capacità di persuadere gli altri della bontà del
proprio ideale. Per
quanto riguarda lo
sciopero, per un nonviolento esso è inteso nel senso di interruzione
del lavoro per adempiere ad un dovere più importante e non deve
quindi mai avere come scopo o come effetto danneggiare ingiustamente
qualcuno. Il boicottaggio nonviolento è l’azione di rifiuto di
utilizzare alcuni beni o servizi, ma sempre non avendo come scopo o
effetto danneggiare ingiustamente qualcuno. La disobbedienza civile
si inquadra nell’ambito del rapporto con le autorità, sia in senso
personale che nel senso di norme che si ritengono in coscienza
ingiuste e che quindi ci si rifiuta di applicare, autodenunciandosi
anche, per far emergere la questione nell’ambito dell’opinione
pubblica. Formare
governi paralleli a quelli vigenti può essere una strada da adottare
invitando ad unirsi nel dare legittimità al governo rispettoso delle
libertà (o maggiormente rispettoso) delegittimando quello vigente o,
almeno, tentando di delegittimarlo. Ho voluto qui essere estremamente
sintetico, come mi hai chiesto, ma ognuno di questi strumenti, se
vuoi, in seguito, possiamo trattarlo più a fondo, come penso che
meritino,
oppure soltanto, se vuoi, approfondire
qualcuno di essi.
In
relazione alla mia personale proposta sulla democrazia diretta
municipale mi hai detto che non la vedi con occhi di favore perché
applicheresti il libero mercato anche qui. Allora facciamo un esempio
concreto per focalizzare meglio quello che a parer mio è l'elemento
centrale della questione. Ipotizziamo che in una determinata strada
si fulmino le luci dei lampioni e alcuni cittadini decidano di porvi
rimedio offrendo denaro all'azienda che si occuperà di risolvere il
problema. Da quel momento però chiunque potrà beneficiare di questa
iniziativa e approfittare della situazione senza aver speso nulla.
Trovi corretto tutto questo?
Direi
proprio di sì. Nell’ambito di possibili soluzioni di mercato
inserirei anche il biasimo nei confronti di comportamenti poco
“sociali”. Chi approfitta troppo della generosità altrui
finirebbe per avere meno credito sociale, sarebbe penalizzato ed
escluso da scambi di mercato che altrimenti potrebbero essere
vantaggiosi per lui e quindi la società di conseguenza lo
spingerebbe a muoversi verso la collaborazione piuttosto che il
contrario, per il suo stesso interesse, in una società in cui ognuno
ha la piena responsabilità dei suoi comportamenti e delle sue
azioni. Dal
mercato, poi, possono nascere anche metodologie di persuasione che
coinvolgono i refrattari in maniera del tutto nonviolenta, anche
attraverso “premi” che vengono elargiti a chi si comporta in
maniera virtuosa, che i promotori di una iniziativa come quella da te
ipotizzata potranno anche tenere
in
considerazione. Possono sorgere, ad esempio, associazioni civiche che
danno benefici a chi partecipa a sistemare le luci dei lampioni.
Molti commercianti della zona potrebbero pensare a particolari sconti
per chi ha contribuito a tali cose, sapendo che se le luci non
venivano sistemate ci avrebbero perso economicamente.
Secondo
i critici di una società anarchica quest'ultima non funzionerebbe
perché in caso di invasione da parte di milizie straniere non ci
sarebbe nessuno a proteggere la popolazione. Qual è la tua replica?
Per
me anarchia in senso pieno significa nonviolenza ed a aggressioni
violente penso che in una società anarchica/nonviolenta si dovrebbe
rispondere attraverso la nonviolenza, che implica proteggere gli
aggrediti dagli aggressori, anche attraverso l’uso della violenza,
se non si riesce ad organizzare un esercito nonviolento, ma se
fossimo in una società anarchica nel senso che ho appena espresso
una delle cose che ci sarebbe è la capacità di organizzare una
difesa nonviolenta.
Le
nostre idee sono assolutamente sconosciute alla popolazione. Dato che
non possediamo imponenti mezzi di informazione con quali strumenti e
modalità dovremo cercare di divulgare quanto più possibile le idee
geolibertarie?
La
nonviolenza
teorica e pratica ha a cuore come centrale la questione della
correlazione tra mezzi e fini. Se vogliamo far conoscere l’anarchia
intesa nel senso di organizzazione basata totalmente sulle volontà
individuali, dobbiamo innanzi tutto agire ognuno di noi in base a
tale principio. Se il principio produce buoni frutti, parafrasando il
Vangelo, anche chi interagisce con noi potrà incominciare a pensare
di agire allo stesso modo.
Quando
ho cominciato ad appassionarmi di Georgismo e geolibertarismo per me
era assolutamente normale che Terra, acqua, aria e tutte le risorse
naturali nascessero come res communis, usando il linguaggio
nicosiano. Personalmente soffro parecchio quando penso che negli
ambienti liberali e liberisti questa impostazione sia fortemente
rigettata. L'ultima verifica l'ho fatta qualche settimana fa nel
gruppo di Facebook "Liberali (privato)", gruppo fondato
proprio da te. Avevo fatto un sondaggio per testare l'orientamento
del gruppo (res communis o res nullius) e il risultato è stato
schiacciante a favore della teoria contraria a quella che sosteniamo
noi. Secondo te perché nel mondo liberale e in una parte consistente
del mondo libertario non si riesca a capire che la teoria della res
communis è funzionale proprio alla salvaguardia della stessa libertà
individuale?
Credo
che dovremmo cercare di comprendere le obiezioni che ci vengono
fatte, su cosa si basano e ciò che c’è di buono in esse, quali
istanze ci stanno dietro e come rispondere a tali istanze. Spesso c’è
mancanza di conoscenza, ignoranza, ma c’è anche altro. Ci può
anche essere mancanza di consequenzialità logica, ma anche timore di
un’organizzazione più o meno coercitiva, autoritaria, che gestisca
la Terra comune. Tu stesso ti definisci anticomunista, eppure la
teoria della Terra come res communis è teoria comunista, come si
vede dalla stessa parola e dal suo significato. Perché ti definisci
anticomunista se non perché il comunismo marxista, che si è
impossessato politicamente del termine “comunismo”, è stato una
dei peggiori totalitarismi della storia? Il comunismo aveva come
scopo la liberazione delle persone dalla sottomissione ad altre
persone, ma ciò che ha realizzato è stato una tirannia spietata e
fortemente ideologizzata. Di fronte a tutto ciò, sinceramente, da
geocomunista ho pensato che dovremmo smontare anche la nostra stessa
ideologia, affinché non ci sia neppure mai il rischio che cercando
di applicarla ciò che ne venga fuori sia minimamente paragonabile ai
totalitarismi. Ecco anche perché non penso più che la Terra sia res
communis appartenendo così a tutti noi, bensì che tutti noi
apparteniamo alla Terra, che, molto
probabilmente,
continuerà
ad esistere molto dopo l’estinzione
del genere umano, almeno vedendo le cose in termini scientifici.
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