sabato 5 settembre 2020

Libero mercato: principale strumento nonviolento

Siamo alla ormai consueta puntata dell’intervista geolibertaria, con domande di Dario Farinola e risposte di Massimo Messina. Le puntate precedenti le trovate ai seguenti link:

  1. Torna in vita GeoLib, con un'intervista

  2. Continua l'intervista: liberalismo, liberismo, socialismo, Henry George ed il georgismo

  3. Georgismo, libero mercato, anarchia

  4. Neogeorgismo "geselliano", imposta fondiaria, geolibertarismo

  5. Geolibertarismo, nonviolenza e libero mercato

  6. Anarchia e nonviolenza: due facce della stessa medaglia

  7. Il Partito Libertario di Fabio Massimo Nicosia... e la nonviolenza

  8. Il dittatore libertario di Fabio Massimo Nicosia, la nonviolenza, il libero mercato

  9. Dialogo tra Farinola e Messina sulla nonviolenza

  10. Per la liberazione di ogni specie

  11. Nonviolenza: correlazione tra mezzi e fini

  12. Disobbedienza - anche fiscale - come strumento nonviolento per realizzare il geoanarchismo

 

Nella scorsa puntata, parlando della mia teoria sulla democrazia diretta municipale, dinanzi alla mia osservazione sull'esistenza di diverse opzioni per l'utilizzo di una determinata area comunale, hai sostenuto che una soluzione adeguata possa essere "l'acquisto del consenso". Cosa intendi esattamente e soprattutto ci fai qualche esempio concreto?

Intendo che ognuno che crede sia valida un’opzione si organizzerà come meglio crederà ed i vari “partiti” che così emergeranno dal basso sulla questione avranno più o meno potere contrattuale per tentare di vincere il dissenso sulla propria opzione, sul mercato. Ci sarà una vera e propria trattativa e quindi si concederà qualcosa in cambio del consenso su quella che si ritiene l’opzione da preferire, per qualsiasi motivo la si preferisca. Detto in poche parole: rimettere tutto sul mercato, se si tratta di un bene comune, perché mai si dovrebbe a priori preferire la scelta a maggioranza su ogni questione relativa a tale bene comune? Perché non cercare di conquistare l’assenso di ognuna delle persone coinvolte? Se ci si rende conto del fatto che non è facile una scelta unanime, perché non provare a fare delle trattative che potrebbero anche fare meglio emergere i motivi del dissenso? Se poi non si raggiunge nessun accordo, si può anche decidere insieme di decidere a maggioranza e l’esperienza può anche portare a decidere a maggioranza su diverse questioni, ma perché darlo per scontato a priori? Un esempio di scelta effettuata attraverso il libero mercato piuttosto che attraverso la democrazia municipalista, sinceramente, non mi viene, ma se parti da una questione specifica tu, magari anche una di quelle che hai accennato in precedenza, posso provare ad immaginare come andrebbe in una situazione di libero mercato piuttosto che con una scelta a maggioranza.

 

Parlando di ambiente sta tornando nuovamente di moda discutere di nucleare. Premesso che ovviamente non sono un tecnico della materia e non pretendo nemmeno da te risposte di siffatta natura, qual è la tua opinione a riguardo? Considera che soprattutto da un certo mondo liberista si finge ipocritamente di non sapere che a finanziare il nucleare dovrebbe essere lo Stato che investirebbe un bel po' di denaro a riguardo. Quali sono a tuo modo di vedere vantaggi e svantaggi di una scelta in favore del nucleare? 

Non ho nulla ideologicamente contro l’energia nucleare. Sono un antinuclearista pragmatico: nel senso che se mi si dimostra che, appunto, si può realizzare impianti di produzione di energia dalla scissione (o dalla fusione) dell’atomo che siano umanamente sicuri e le cui scorie possano essere verosimilmente smaltite in modo da non provocare danni insopportabili ed insostenibili a noi ed alle generazioni future, posso dare il mio assenso all’energia nucleare. Ovviamente tutto ciò che ho appena scritto, per me dovrebbe essere nel libero mercato e non nelle mani dello Stato. Senza quest’ultimo non ce la si fa? Allora potremo benissimo fare a meno anche dell’energia nucleare, dato che lo Stato, anche quando fa una cosa giusta, il prezzo da pagare è sempre violenza più o meno grande, in un modo o in un altro.

Sempre a proposito di ambiente, è un dato scientifico accertato che gli allevamenti intensivi rappresentino la seconda causa per inquinamento, oltre che ovviamente luogo di morte e violenza per gli animali. Considerando che ci tieni moltissimo a definirti "nonviolento", oltre alla mia personale proposta da te molto apprezzata su di una raccolta fondi volontaria che possa servire a convincere quel tipo di imprenditore a convertire la propria attività, hai anche altre proposte di natura libertaria per ovviare all'esistenza di questo problema? 

Innanzitutto diffusione di informazione su quelle realtà, che si dovrebbe rendere le più trasparenti possibili, per fare conoscere, poiché aveva ragionissima Einaudi quando affermava che bisogna “conoscere per deliberare”, per scegliere ed una delle scelte da fare, come scelta politica, è la scelta di ciò che mangiamo, essendo consapevoli di cosa “alimentiamo” alimentandoci. Sembra solo un gioco di parole, ma è molto di più. Ogni boccone di cibo che entra nella nostra bocca provoca nella nostra società reazioni economiche tali per cui certe realtà macchiate di lacrime, sangue, torture ed orrori vari continuino piuttosto che vengano contrastate. Ciò dal punto di vista etico di base. Poi c’è la questione, pure etica, dell’inquinamento, che è pure etica perché l’inquinamento non è una cosa astratta e lontana rispetto agli umani, bensì è relativa a noi umani, nel senso che definiamo inquinato un ambiente che diventa più ostile a noi umani, in un modo o in un altro, attraverso emissioni umane. Detto in parole semplici: l’inquinamento è umanità che si fa del male da sé. Maggiore diffusione dell’informazione e dei comportamenti che limitano le emissioni inquinanti, come le scelte alimentari, credo siano ormai doverose e nel mio anarchismo dei doveri ci metto anche il dovere di diffondere informazione e di effettuare scelte alimentari sempre più consapevoli e nonviolente.

 

Nel mondo libertario, indipendentemente dalle sue declinazioni, esiste un argomento controverso: il libero possesso di armi. Qual è la tua posizione a riguardo e soprattutto quali sono a tuo parere i pro e i contro?

Le armi nascono e vengono usate per fare del male, per essere più efficaci ed efficienti nel ferire o addirittura uccidere. Se mi dico nonviolento è perché voglio evitare la violenza o, meglio, ridurla il più possibile. La ratio dell’esistenza dello Stato è, nella teoria hobbesiana, che nessuno usi la violenza se non lo Stato, che ne diventa monopolista per la tutela di tutti. Visto che lo Stato altro non è che un’organizzazione umana, ci sarà un gruppo di persone armate ed una moltitudine disarmata. L’idea dei “libertari” a favore del libero possesso delle armi è che è meglio che ognuno si possa armare, per evitare di divenire facile preda dell’élite al potere. Come dare loro torto, specialmente dopo gli orrori del secolo scorso? La questione di fondo, però, per me è che finché ci saranno armi di offesa e li si userà per ferire o uccidere non si potrà certamente dire di essere per la libertà. Nello stesso momento in cui stai puntando una pistola alla fronte di qualcuno, stai viziando la sua volontà. Si obietta che è differente usare le armi come offesa o come difesa. Per me un’arma da fuoco, un’arma che ferisce e/o uccide è sempre un’arma di offesa, non è uno scudo, che protegge, ma perfora un corpo per ferirlo nei sui organi interni anche avendo in certi casi lo scopo di ucciderlo. In certi casi non nego neppure che si debba giungere ad uccidere per difendere gli aggrediti dagli aggressori, ma dovrebbe essere l’ultima ratio e comunque essendo consapevoli che quella che si sta usando sia la minore violenza possibile, magari in quella circostanza specifica.

 

Adesso affrontiamo un argomento che ultimamente mi sta stuzzicando parecchio. In fase di passaggio dall'attuale modello statale ad un sistema geolibertario quale destino toccherebbe alle aziende statali, parastatali e partecipate? Preferisci privatizzarle e distribuire ai cittadini il ricavato della vendita oppure preferisci trasformare quelle aziende in delle public company in maniera tale che il profitto possa andare a vantaggio dei cittadini stessi? 

Per come mi poni la questione, mi pare molto meglio la seconda opzione, perché se si parla di privatizzazione in fase di passaggio verso l’anarchia, immagino che intendi che ci sia ancora lo Stato e che sia quest’ultimo che privatizza. Immagino che accadrebbe così come in quasi ogni privatizzazione di cui abbiamo assistito negli ultimi decenni, cioè con aziende che hanno beneficiato, a scapito dei consumatori e di altre aziende, della privatizzazione, che è stata tale, ma senza essere una liberalizzazione. Vi è da dire, poi, che non credo affatto che possa esserci una fase di passaggio gestita dall’alto verso l’anarchia. Magari potrebbe esserci un percorso in cui ci siano sinergie positive dall’alto e dal basso, ma se si pensa esclusivamente ad una fase di passaggio gestita dallo Stato per fare autoestiguere quest’ultimo, credo che questo tipo di ragionamenti possano solo essere ragionevolmente essere considerati come vagheggiamenti totalmente velleitari, non aventi probabilmente neppure dignità di ipotesi di scuola.

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